— Davvero? Me lo dici tu? Oppure dovrò brancolare nel buio per cercarlo?
— Mmm. Per questa volta te lo dirò. Però poi devi essere tu a cercarlo. Studialo. Le culture malate mostrano lo stesso complesso di sintomi che tu hai descritto… ma una cultura moribonda mostra sempre la cattiveria a livello personale. Le cattive maniere. La mancanza di rispetto per gli altri persino nelle piccole cose. La scomparsa della cortesia, delle buone maniere, è più significativa di una sommossa.
— Sul serio?
— Puah! Dovevo costringerti a scavarlo fuori da sola, così lo sapresti. Il sintomo è serio soprattutto perché l’individuo che lo sfoggia non lo considera mai un segno di cattiva salute, ma anzi un indice della propria forza. Cercalo. Studialo. Friday, è troppo tardi per salvare questa cultura. La cultura di tutto questo mondo, non solo il carrozzone balordo della California.
«Quindi dobbiamo preparare i monasteri per l’Era Oscura che si avvicina. Le registrazioni elettroniche sono troppo fragili. Dobbiamo avere di nuovo libri, con inchiostri stabili e carta resistente. Ma questo potrebbe non bastare. Forse il serbatoio da cui attingerà il prossimo rinascimento dovrà venire da oltre il cielo.» Boss s’interruppe, respirò affannosamente. — Friday…
— Sì, signore?
— Memorizza questo nome e indirizzo. — Le sue mani si mossero sulla consolle; la risposta apparve su uno schermo in alto. Io memorizzai.
— Fatto?
— Sì, signore.
— Devo ripetere per controllare?
— No, signore.
— Sei sicura?
— Se vuoi, ripeti.
— Mmm. Friday, saresti così gentile da versarmi una tazza di tè prima di andartene? Vedo che oggi le mie mani non sono troppo salde.
— Sarà un piacere, signore.
Né Blondie né Anna si fecero vive il giorno dopo a colazione. Mangiai da sola, quindi piuttosto in fretta; mi attardo sul cibo solo quando sono in compagnia. Tanto meglio, comunque, perché avevo appena finito e mi stavo alzando quando dall’impianto di altoparlanti uscì la voce di Anna.
— Attenzione, prego. Ho il triste incarico di annunciarvi che nel corso della notte il nostro Presidente è spirato. Per suo desiderio non vi sarà cerimonia funebre. Il corpo è stato cremato. Alle nove e zero zero, nella sala riunioni principale, si terrà una riunione per chiudere gli affari dell’agenzia. Tutti sono pregati di partecipare e di presentarsi in orario.
Fino alle nove passai il tempo a piangere. Perché? Provavo tristezza per me stessa, suppongo. Sono certa che Boss l’avrebbe pensata così. Lui non provava tristezza per sé, nemmeno per me, e mi ha rimproverata più di una volta per la mia tendenza ad autocommiserarmi. L’autocommiserazione, diceva, è il più demoralizzante di tutti i vizi.
In ogni caso, ero triste per me stessa. Avevo sempre litigato con lui, anche tanto tempo prima quando mi aveva affrancata, rendendomi una Persona Libera dopo che ero scappata. Mi trovai a rimpiangere ogni volta che gli avevo dato una rispostaccia, che ero stata impudente, che lo avevo insultato.
Poi mi tornò in mente che non sarei piaciuta a Boss se fossi stata un verme, una creatura servile senza opinioni mie. Lui doveva essere ciò che era e io dovevo essere ciò che ero ed eravamo vissuti insieme per anni in stretto contatto senza mai, nemmeno una volta, carezzarci la mano. Per Friday è un record. Un record che non m’interessa battere.
Chissà se anni addietro, all’inizio del mio rapporto di lavoro con lui, Boss sapeva con quanta facilità gli sarei saltata in braccio se mi avesse invitata. Probabilmente lo sapeva. Il fatto è, anche se non sono mai arrivata a toccargli una mano, che lui è stato l’unico padre che io abbia mai avuto.
La grande sala riunioni era affollata. In mensa non avevo mai visto nemmeno metà di quella gente, e alcune facce mi erano sconosciute. Conclusi che qualcuno era stato richiamato da fuori ed era riuscito ad arrivare in tempo. A un tavolo in fondo alla sala, Anna sedeva come una perfetta estranea. Anna aveva cartelle di documenti, una serie imponente di terminali, e attrezzature da segretaria. La sconosciuta era più o meno della stessa età di Anna, però al posto del suo calore aveva un’espressione da cerbero incattivito.
Alle nove e due secondi la sconosciuta batté forte sul tavolo. — Silenzio, per favore! Sono Rhoda Wainwright, vicepresidente effettivo di questa agenzia e avvocato fiduciario del defunto dottor Baldwin. Attualmente sono presidente pro tempore e liquidatore per la chiusura delle attività. Sapete tutti che ognuno di voi era legato a questa agenzia da un contratto che lo impegnava personalmente col dottor Baldwin…
Avevo mai firmato un contratto simile? Ero molto perplessa da quel «defunto dottor Baldwin». Era il vero nome di Boss? E come mai il suo cognome coincideva col mio più comune nom de guerre ? Me lo aveva scelto lui? Era passato tanto tempo.
— …Dato che ora siete tutti liberi agenti. Siamo un’organizzazione d’élite e il dottor Baldwin aveva previsto che ogni agenzia del Nord America avrebbe voluto arruolare personale fra i vostri ranghi, dopo che la sua morte vi avesse liberati. Ci sono agenti reclutatori in tutte le sale riunioni più piccole e nell’atrio. Quando chiamerò il vostro nome venite qui a prendere il vostro pacchetto e firmate. Esaminatelo immediatamente ma non, ripeto non , fermatevi a questo tavolo per cercare di discuterne. Per discutere dovrete aspettare che tutti gli altri abbiano ricevuto il loro pacchetto. Vi prego di ricordare che sono rimasta sveglia tutta la notte…
Entrare subito al servizio di un’altra agenzia? C’ero costretta? Ero in miseria? Probabilmente sì, a parte quello che restava dei duecentomila orsi vinti a quella stupida lotteria; e con ogni probabilità dovevo il grosso di quella cifra a Janet o alla sua carta Visa. Vediamo, avevo vinto 203,4 grammi d’oro, depositati presso la MasterCard come 200.000 orsi, ma accreditati in oro in base al cambio di quel giorno. Avevo ritirato 36 grammi in contanti e… Ma dovevo tenere presente anche l’altro mio conto, quello gestito dalla Banca Imperiale di Saint Louis. E i contanti e gli addebiti sulla Visa che dovevo a Janet. E Georges doveva lasciarmi pagare metà di…
Qualcuno mi stava chiamando.
Era Rhoda Wainwright, molto irritata. — State attenta, signorina Friday. Qui c’è il vostro pacchetto e firmate qui la ricevuta. Poi spostatevi a controllare.
Guardai la ricevuta. — Firmerò dopo aver controllato.
— Signorina Friday. State rallentando la procedura.
— Mi metterò in disparte. Ma firmerò solo dopo aver controllato che il pacchetto contenga tutto quello che è scritto sull’elenco.
Anna disse, in tono calmo: — Tutto a posto, Friday. Ho controllato io.
Risposi: — Grazie. Ma tratterò la cosa come tu tratti i documenti classificati: in mano mia e sotto i miei occhi.
Quella cagna della Wainwright era pronta a cuocermi nell’olio, ma io non feci altro che spostarmi di un paio di metri e cominciare a guardare. Il pacchetto era di buone dimensioni: tre passaporti intestati a tre nomi, un assortimento di carte d’identità, documenti vari molto sinceri che corrispondevano all’una o all’altra identità, un assegno intestato a «Marjorie Friday Baldwin» ed emesso dalla Ceres & South Africa Acceptances, Luna City, per l’importo di 297,3 grammi d’oro a diciotto carati; il che mi lasciò esterrefatta, ma non quanto l’articolo successivo: il certificato d’adozione da parte di Hartley M. Baldwin ed Emma Baldwin di Friday Jones, ribattezzata Marjorie Friday Baldwin, documento stilato a Baltimora, Maryland, Unione Atlantica. Nulla sull’orfanotrofio Landsteiner o sul John Hopkins, ma la data era quella del giorno in cui avevo lasciato il Landsteiner.
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