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Hal Clement: Stella doppia 61 Cygni

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Hal Clement Stella doppia 61 Cygni

Stella doppia 61 Cygni: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel 1942, l’astronomo americano K. A. Strand annunciava che la stella doppia 61, nella costellazione del Cigno, aveva un satellite di massa planetaria, gravitante intorno al suo sole (una delle componenti il sistema binario 61 Cygni) in poco meno di cinque anni. La massa di questo pianeta extrasolare era stata calcolata dallo Strand circa 16 volte superiore alla massa di Giove. Sebbene nei mesi successivi fossero fatte altre segnalazioni di corpi planetari gravitanti intorno ad altri Soli (per esempio il satellite della stella 70 Ophiuchi, con una massa 10 volte superiore alla massa di Giove, e il satellite di Proxima Centauri, la stella a noi più vicina, il quale non sarebbe che il doppio della massa di Giove!), pure la comunicazione dello Strand è una delle più sensazionali: per la prima volta la scienza poteva ufficialmente annunciare l’esistenza di pianeti al di là del sistema solare! E’ sul satellite planetario scoperto dallo Strand che Hal Clement, astronomo egli stesso e insegnante di matematica a Cambridge, si è ispirato per questo suo affascinante romanzo. Immaginate che cosa possa significare vivere su un immenso pianeta, la cui atmosfera è prevalentemente composta d’idrogeno, metano e ammoniaca; dove la forza di attrazione gravitazionale è circa tre volte all’equatore quella della Terra, ma per l’enorme schiacciamento dei poli sale a quasi 700 volte nelle regioni polari; dove dato il velocissimo moto di rotazione del pianeta il sole sorge e tramonta ogni venti minuti, mentre un altro sole, molto più lontano, illumina il cielo senza illuminarlo.

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Lackland non si trovava nella camera su cui dava quella finestra, perciò il mesklinita premette il minuscolo pulsante di chiamata inserito in cima alla rampa. Immediatamente, la voce del Volatore risuonò dall’altoparlante a fianco: — Lieto che tu sia qui, Barl. Ho fatto in modo di trattenere Mach fino a quando tu non fossi arrivato. Adesso lo farò scendere subito. Sarà qui al massimo per la prossima aurora.

— Dove si trova in questo momento? Su Toorey?

— No. Incrocia presso il margine interno dell’anello, a soli mille chilometri di altezza. È là da molto prima che la bufera finisse, quindi non pensare che sia rimasto ad aspettare per causa tua. Ora, prima che arrivi porterò fuori gli altri apparecchi radio che ti avevo promesso.

— Dato che sono solo, non credi che convenga portarne uno soltanto? Quegli apparecchi sono macchine piuttosto massicce e ingombranti.

— Hai ragione. Ci conviene aspettare il trattore a cingoli. Con il trattore potremo trasportare te e gli apparecchi radio fino alla nave. Tu ti attaccherai all’esterno, così l’atmosfera interna non ti farà male.

— D’accordo. E possiamo parlare un po’, mentre aspettiamo, o hai da mostrarmi altre immagini del mondo da cui provieni?

— Certo che ne ho. Sono necessari pochi minuti per montare il proiettore, e sarà ancora abbastanza buio quando avrò finito. Un momento solo!

L’altoparlante tacque, e Barlennan tenne gli occhi fissi sulla porta che si scorgeva in fondo alla camera. Dopo pochi istanti comparve il Volatore, che come al solito camminava eretto con l’aiuto degli arti artificiali che chiamava grucce. Si avvicinò alla finestra, con la testa massiccia abbozzò un cenno d’assenso al minuscolo spettatore al di là dei vetri e si dedicò al proiettore cinematografico. Lo schermo verso cui puntava la macchina si trovava sulla parete direttamente di fronte alla finestra, e Barlennan, tenendo un paio d’occhi fissi sulle mosse dell’essere umano, si acquattò in una posizione da cui poteva osservare ogni cosa molto più comodamente. Attese in silenzio, mentre il sole passava in un pigro arco sulla sua testa. Faceva caldo, nella piena luce del sole, un caldo gradevole, anche se non così forte da provocare un disgelo. Il vento perenne che soffiava dalla calotta polare del nord lo impediva. Stava quasi sonnecchiando, quando Lackland, terminato di mettere a punto la macchina, scavalcò l’orlo della sua vasca di riposo e vi si calò dentro. Barlennan non aveva mai notato la membrana elastica sulla superficie del liquido che manteneva asciutti gli abiti del Volatore; altrimenti avrebbe cambiato idea sulla natura anfibia degli esseri umani. Dalla sua posizione galleggiante, Lackland alzò un braccio verso un piccolo pannello e schiacciò due pulsanti. Le luci della camera si spensero e il proiettore cominciò a funzionare. La pellicola durava una quindicina di minuti e non era ancora finita quando Lackland dovette rimettersi in piedi sulle grucce. Era arrivata la comunicazione che il razzo stava atterrando.

— Vuoi vedere come se la cava Mack o preferisci assistere alla fine della pellicola? — chiese al mesklinita. — Mack probabilmente sarà già sceso a terra, quando la pellicola sarà terminata.

Con una certa riluttanza Barlennan distolse la propria attenzione dallo schermo: — Preferirei vedere la pellicola, ma sarà meglio che mi abitui allo spettacolo delle macchine volanti — disse. — Da quale parte scenderà il tuo compagno?

— Da est, credo. Ho fornito a Mack una descrizione molto precisa del posto, senza contare le fotografie che lui aveva già a disposizione. Un atterraggio da quella parte sarà più facile, data l’inclinazione della sua rotta. Per il momento il sole disturba la tua visuale, ma il mio amico si trova ancora a un’altezza di circa quaranta miglia… guarda bene al di sopra del sole.

Barlennan seguì le istruzioni ricevute e rimase in attesa. Per circa un minuto non riuscì a vedere nulla. Poi, a un tratto, scorse uno scintillio metallico a circa venti gradi sopra il sole nascente.

— Altezza dieci, distanza orizzontale quasi identica — disse Lackland nello stesso istante. — L’ho intercettato col telescopio.

Lo scintillio metallico si fece più vivido e intenso, seguendo la rotta indicata senza la minima deviazione: il razzo si dirigeva direttamente sulla cupola. Nello spazio di un minuto si era avvicinato abbastanza da rendere visibile ogni particolare, anche se tutto si confondeva nei bagliori del sole appena sorto, tanto più che Mack lo tenne immobile per un istante a un miglio circa d’altezza sopra la stazione, lievemente spostato verso est. Barlennan riusciva persino a vedere gli oblò e gli ugelli lungo i fianchi e alle estremità dello scafo cilindrico. La bufera s’era placata quasi del tutto, ma all’improvviso una calda brezza carica d’un forte odore di ammoniaca disciolta cominciò a soffiare dal punto dove i getti del razzo investivano il terreno. Minutissime gocce di una sostanza semiliquida caddero sulle conchiglie oculari di Barlennan, che continuò tuttavia a fissare la massa metallica che si stava lentamente posando sulla superficie del pianeta. Ogni muscolo del suo corpo oblungo era teso fino allo spasimo, le membra anteriori strette ai fianchi, le pinze in una posizione di combattimento così rigida che avrebbero potuto tagliare un reticolato di cavi d’acciaio, i cuori dei vari segmenti del suo corpo, palpitanti furiosamente. Avrebbe certo trattenuto il fiato, se avesse avuto un apparato respiratorio uguale a quello di un essere umano. Sapeva in teoria che quel razzo non sarebbe precipitato, e continuava a ripeterselo; ma essendo cresciuto in un ambiente in cui una caduta di quindici centimetri voleva generalmente dire la morte anche per l’organismo mesklinita, incredibilmente forte e duro, non gli era facile dominare le sue emozioni istintive.

Sul tratto di terreno sottostante il razzo, ancora all’altezza di un centinaio di metri, la neve era scomparsa come per miracolo. All’improvviso la massa scura della vegetazione s’incendiò con un’esplosione violenta di fiamme. Ceneri nerastre si sollevarono dal punto dove il razzo stava per atterrare, mentre il terreno stesso appariva incandescente. Durò solo un istante, poi il cilindro lucente si posò con la leggerezza di una piuma nel centro della radura creata dai suoi getti di fuoco. Alcuni secondi dopo, la serie di scoppi laceranti, che in crescendo avevano superato il rombo fragoroso degli uragani di Mesklin, cessò di colpo. Con una sensazione di dolore quasi fisica, la tensione di Barlennan si rilassò, mentre il mesklinita apriva e chiudeva le pinze per alleviare i crampi.

— Adesso vengo fuori con gli apparecchi radio — disse Lackland. Barlennan non se n’era accorto, ma il Volatore non si trovava più nella sala della cupola. — Mack guiderà il trattore fin qui. Puoi vederlo arrivare, mentre m’infilo la corazza.

Barlennan vide infatti una delle porte del razzo spalancarsi di scatto e da essa emergere il misterioso veicolo, che si mise subito a strisciare lentamente verso la cupola con quei cingoli ch’era impossibile indovinare da quale forza fossero mossi. 11 trattore era molto grosso, tanto spazioso da contenere parecchi individui della razza del Volatore, a meno che l’interno non fosse in gran parte occupato da congegni meccanici. Come la cupola e il razzo, aveva molte e grandi finestre. Attraverso una di queste, sulla parte anteriore del veicolo, il mesklinita poté vedere la figura corazzata di un altro Volatore, che stava evidentemente manovrando il trattore. Qualunque fosse la forza che lo spingeva, il veicolo non faceva nessun rumore, o almeno non un rumore così forte da poter essere udito oltre il chilometro, distanza che ancora lo separava dalla cupola.

Aveva coperto ben poco di quella distanza, quando il sole tramontò, rendendo invisibili i particolari. Esstes, il sole minore, era ancora nel cielo e più luminoso di quanto sia per la Terra la Luna piena, ma gli occhi di Barlennan avevano i loro limiti. Un intenso raggio di luce uscì allora dal trattore lungo la linea di marcia, un raggio di luce che venne a colpire la cupola, ma senza portar vantaggio a Barlennan. Il mesklinita rimase pazientemente in attesa.

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