Arthur Clarke - 2010 - Odissea due

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2010: Odissea due: краткое содержание, описание и аннотация

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L’astronave Leonov e il suo equipaggio, del quale fa parte l’astronomo americano Heywood Floyd, è in rotta verso Giove con il compito di studiare il misterioso monolito e recuperare l’astronave Discovery. I cinesi battono sul tempo la Leonov ma, una volta atterrati su Europa, la loro astronave viene distrutta da misteriose forme di vita. Nel frattempo David Bowman, sotto forma di un essere superiore ma non ancora svincolato dalla sua natura umana, lancia strani moniti. Qualcosa di importante sta per accadere ma non è ben chiaro chi ci sia dietro a tutto questo e per quale finalità agisca: il monolito nero, replicandosi all’inverosimile, aumenta la massa di Giove facendolo collassare su se stesso fino a trasformarlo in una stella.
Da questo romanzo, nel 1984 il regista Peter Hyams trae il film «2010 — L’anno del contatto», con Roy Scheider protagonista.
Arthur C. Clarke è considerato fra i più grandi scrittori di fantascienza di tutti i tempi. Personalità straordinaria, non solo nel campo della narrativa, scrisse un articolo nel 1945 che portò all’invenzione della tecnologia satellitare. Si spegne il 19 marzo 2008 a Colombo, nello Sri Lanka che tanto amava e in cui viveva da decenni.

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Avevano accolto la sua richiesta precedente; sarebbe stato interessante mettere alla prova la portata della loro benevolenza — ammesso che un termine simile fosse sia pur remotamente applicabile a quegli esseri. E sarebbe dovuto riuscire facile, a loro, fare quanto lui chiedeva: avevano già fornito ampie prove dei poteri di cui disponevano, quando il corpo non più necessario di David Bowman era stato casualmente distrutto — senza porre termine allo stesso David Bowman.

Lo avevano udito, naturalmente; una volta di più, vi fu la fioca eco del sollazzo olimpico. Ma egli non riuscì a captare né accettazione, né rifiuto.

«Sto ancora aspettando la tua risposta, Dave.»

«Rettifica, Hal. Avrei dovuto dire il tuo ultimo messaggio per molto tempo. Per moltissimo tempo.»

Stava anticipando la loro azione… cercava, in effetti, di forzar loro la mano. Ma, senza dubbio, avrebbero capito che la richiesta non era irragionevole; nessuna entità conscia poteva sopravvivere a ere di isolamento senza danni. Anche se essi fossero rimasti sempre con lui, gli occorreva anche qualcuno — un compagno — più vicino al suo livello di esistenza.

Nelle lingue del genere umano esistono molte parole per definire il suo gesto: impudenza, sfrontatezza, chutzpah. Ricordò, grazie al potere assoluto di ricupero che ora possedeva, come un generale francese avesse un tempo declamato: «L’audace… toujours l’audace!» Forse si trattava di una caratteristica umana che essi apprezzavano, o addirittura condividevano. Lo avrebbe saputo presto.

«Hal! Segui il segnale sui canali dell’infrarosso 30, 29, 28… manca pochissimo ormai… il culmine si sta spostando verso l’onda corta.»

«Sto informando il dottor Chandra che vi sarà una pausa nella mia trasmissione dati. Sto attivando l’unità AE-35. Antenna a lungo raggio riorientata… contatto confermato con Radiofaro Terra Uno. Il messaggio inizia:

TUTTI QUESTI MONDI…

Avevano rinviato, in effetti, fino all’ultimissimo momento… o forse i calcoli erano stati, tutto sommato, superbamente precisi. Vi fu il tempo per appena cento ripetizioni delle undici parole quando la mazzata di puro calore si avventò sull’astronave.

Trattenuto lì dalla curiosità, e da un crescente timore della lunga solitudine che lo aspettava, il quid che era stato un tempo Dave Bowman, comandante dell’astronave degli Stati Uniti Discovery, stette a guardare mentre lo scafo ostinatamente passava all’incandescenza prima di evaporare. Per molto tempo l’astronave conservò approssimativamente la propria forma, poi i cuscinetti a sfere del giroscopio gripparono, liberando all’istante il momento accumulato dell’enorme tamburo ruotante. Con una detonazione senza suono, i frammenti incandescenti saettarono lungo la loro miriade di diverse traiettorie.

«Pronto, Dave? Che cosa è accaduto? Dove sono?»

Non aveva saputo che gli sarebbe stato possibile rilassarsi e godersi un momento di riuscito conseguimento. Più volte, in precedenza, si era sentito come un cucciolo dominato da un padrone i cui moventi non erano del tutto imperscrutabili e il cui comportamento poteva talora essere modificato secondo i suoi desideri. Aveva chiesto un osso; e l’osso gli era stato gettato.

«Ti spiegherò dopo, Hal. Abbiamo tutto il tempo.»

Aspettarono finché gli ultimi frammenti dell’astronave si furono dispersi, persino al di là delle loro capacità di individuazione. Poi se ne andarono, per contemplare la nuova alba nel luogo predisposto per essi; e per aspettare, attraverso i secoli, di essere nuovamente chiamati.

* * *

Non è vero che gli eventi astronomici richiedano sempre astronomici periodi di tempo. Il collasso finale di una stella, prima che i frammenti sprizzino via nell’esplosione di una supernova, può aver luogo appena in un secondo; in confronto, la metamorfosi di Giove fu un qualcosa di quasi placido.

Ciò nonostante, occorsero parecchi minuti prima che Sascia riuscisse a credere ai propri occhi. Stava procedendo a un normale esame telescopico del pianeta — come se qualsiasi osservazione potesse ormai essere definita normale! — quando esso cominciò a uscire dal campo visivo. Per un attimo egli pensò che la stabilizzazione dello strumento fosse difettosa; poi si rese conto, con uno choc tale da scuotere la sua intera concezione dell’universo, che era lo stesso Giove a muoversi, e non il telescopio. La dimostrazione di ciò lo guardava in faccia; poteva vedere anche due delle lune più piccole — ed esse rimanevano del tutto immobili.

Passò a un ingrandimento minore, per poter vedere l’intero disco del pianeta e non soltanto un maculato grigio da lebbrosi. Dopo alcuni altri minuti di incredulità, si rese conto di quello che stava accadendo in effetti; ma ancora stentava a crederlo.

Giove non si spostava dalla sua immemorabile orbita, ma faceva qualcosa di quasi altrettanto impossibile. Si stava restringendo — con una rapidità tale che l’orlo del pianeta si spostò entro il campo visivo nel momento stesso in cui egli stava mettendo a fuoco lo strumento. Al contempo il pianeta diventava più luminoso e da un grigio opaco passava a un bianco perlaceo. Senza dubbio era più luminoso di quanto lo fosse mai stato nel lungo periodo di tempo trascorso da quando gli uomini avevano cominciato a osservarlo; la luce riflessa del sole non avrebbe mai potuto… In quel momento, Sascia si rese conto a un tratto di quel che stava accadendo, anche se non del perché, e diede l’allarme.

* * *

Quando Floyd giunse nel locale delle osservazioni, meno di trenta secondi dopo, la sua prima impressione fu quella di un bagliore abbacinante che si riversava attraverso le finestre, proiettando ovali di luce sulle pareti. Erano così abbaglianti che dovette distogliere lo sguardo; nemmeno il Sole avrebbe potuto causare una simile luminosità.

Floyd era talmente stupefatto che, per un momento, non associò quella luminosità a Giove; il primo pensiero balenategli nella mente fu: una Supernova! Ma respinse tale spiegazione quasi immediatamente.

Anche la più prossima vicina del Sole, Alfa Centauri, non avrebbe potuto uguagliare, con qualsiasi esplosione concepibile, un così spaventoso sfoggio di luce.

La luminosità si attenuò all’improvviso; Sascia aveva azionato gli schermi solari esterni. Divenne possibile, adesso, fissare direttamente la sorgente luminosa e constatare che si trattava di un mero puntino — una stella come tante altre, apparentemente priva di dimensioni. Quel puntino non poteva aver nulla a che vedere con Giove; quando Floyd aveva osservato il pianeta, appena pochi minuti prima, esso era stato quattro volte più grande del lontano e rimpicciolito Sole.

Fu un bene che Sascia avesse abbassato gli schermi solari. Un momento dopo, la minuscola stella esplose… e, anche attraverso i filtri scuri, divenne impossibile osservarla a occhio nudo. Ma l’orgasmo finale di luce durò appena per una breve frazione di secondo; poi Giove — o quello che era stato Giove — andò espandendosi una volta di più.

Continuò a espandersi finché divenne di gran lunga più grande di quanto fosse stato prima della trasformazione. Ben presto l’intensità luminosa della sfera prese a diminuire rapidamente, fino a ridursi al mero splendore solare; e, a questo punto, Floyd poté constatare che si trattava in realtà di una sfera vuota, poiché la stella centrale continuava ad essere chiaramente visibile nel mezzo.

Egli eseguì un rapido calcolo mentale. L’astronave si trovava a più di un minutoluce da Giove, eppure quella sfera in espansione — che ora si stava tramutando in un anello dall’orlo vivido — occupava già un quarto del cielo. Questo significava che stava venendo verso di loro a quasi — Dio mio! — la metà della velocità della luce. Una questione di minuti e avrebbe inghiottito l’astronave.

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