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Arthur Clarke: 3001 Odissea finale

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Arthur Clarke 3001 Odissea finale

3001 Odissea finale: краткое содержание, описание и аннотация

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In «3001 Odissea finale» Clarke conclude con un ultimo affascinante episodio la leggendaria saga di fantascienza iniziata con «2001 Odissea nello spazio» facendo fare al lettore un balzo di mille anni nel futuro e rivelandogli una verità che possiamo comprendere soltanto adesso. Fondendo mirabilmente fantasia e precisione scientifica Clarke ci regala un altro indimenticabile capolavoro sui misteri insondabili dell'universo e sull'eterno, appassionante confronto tra l'uomo e l'ignoto. Arthur C. Clarke è considerato fra i più grandi scrittori di fantascienza di tutti i tempi. Personalità straordinaria, non solo nel campo della narrativa, scrisse un articolo nel 1945 che portò all'invenzione della tecnologia satellitare. Si spegne il 19 marzo 2008 a Colombo, nello Sri Lanka che tanto amava e in cui viveva da decenni.

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O forse aveva solo sognato di dormire? Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato prima di svegliarsi. L’elmetto era già sparito, insieme con il Cerebrale e il suo equipaggiamento.

«È andato tutto bene», disse raggiante la caposala. «Ci vorranno alcune ore per controllare che non ci siano anomalie. Se i suoi dati sono KO… voglio dire OK… domani avrà la sua calotta cerebrale.»

Poole apprezzava lo sforzo di ricordare l’inglese arcaico di chi si stava occupando di lui, ma non poté fare a meno di desiderare che la caposala non avesse fatto quel malaugurante lapsus linguae.

Quando giunse il momento dell’adattamento definitivo, Poole si sentì di nuovo come un ragazzino che si apprestasse a scartare qualche giocattolo nuovo e meraviglioso sotto l’albero di Natale.

«Non dovrà più sottoporsi a tutti quegli aggiustamenti», lo assicurò il Cerebrale. «Il trasferimento inizierà subito. Le farò una dimostrazione di cinque minuti. Adesso si rilassi e se la goda.»

Una musica delicata e carezzevole lo avvolse; benché fosse qualcosa di molto familiare, risalente ai suoi tempi, non riuscì a identificarla. Aveva una nebbia davanti agli occhi, che si aprì mentre l’attraversava…

Già, stava camminando! L’illusione era assolutamente convincente. Poteva udire l’impatto dei piedi sul terreno e, ora che la musica era cessata, sentiva un vento leggero soffiare tra i grandi alberi che sembravano circondarlo. Li riconobbe, erano sequoie, e sperò che esistessero anche nella realtà, da qualche parte sulla Terra.

Si muoveva di buon passo — troppo veloce per star comodo, come se il tempo fosse leggermente accelerato in modo da poter percorrere più strada possibile. Eppure non era consapevole di alcuno sforzo; si sentiva come un ospite nel corpo di qualcun altro. La sensazione era accentuata dal fatto di non avere il controllo dei propri movimenti. Quando cercava di fermarsi o di cambiare direzione, non succedeva nulla. Continuava la sua passeggiata.

Non importava; stava godendosi quella nuova esperienza — ed era in grado di valutare quanto potesse creare assuefazione. Le «macchine del sogno» che molti scienziati del suo secolo avevano previsto — spesso allarmati — ora facevano parte della vita quotidiana. Poole si chiese come il genere umano fosse riuscito a sopravvivere; gli avevano detto che gran parte di esso non c’era riuscita. A milioni si erano bruciati il cervello e molti avevano perso la vita.

Naturalmente lui era immune da tentazioni del genere! Avrebbe usato quel meraviglioso strumento per apprendere di più del mondo del Terzo Millennio e per acquisire in pochi minuti capacità che altrimenti avrebbero richiesto anni prima di essere padroneggiate. Be’, magari, di tanto in tanto, avrebbe potuto usare la calotta cerebrale solo per divertimento…

Era arrivato al limitare della foresta e adesso osservava un largo fiume. Senza esitazione, vi s’immerse e non provò timore quando l’acqua gli arrivò sopra la testa. Sembrava alquanto strano che potesse continuare a respirare con naturalezza, ma pensò che fosse molto più interessante il fatto di poter vedere alla perfezione in un ambiente in cui gli occhi umani non riuscivano a mettersi a fuoco senza qualche ausilio. Era in grado di contare tutte le scaglie della splendida trota che lo aveva appena superato, all’apparenza indifferente alla presenza di quello strano intruso.

Una sirena! Be’, aveva sempre desiderato incontrarne una, ma aveva pensato che fossero creature del mare. Che di tanto in tanto risalissero la corrente, come i salmoni, per mettere al mondo i piccoli. Se n’era andata prima che le potesse fare quella domanda, prima di confermare o negare quella rivoluzionaria teoria.

Il fiume finiva con un muro trasparente; vi passò attraverso e si trovò in un deserto, sotto un sole splendente. Il calore lo fece sentire a disagio — eppure era in grado di fissare l’astro in tutta la sua furia ardente. Poté persino scorgere, con innaturale chiarezza, un arcipelago di macchie solari vicino al margine. E — ma questo era sicuramente impossibile! — c’era il tenue lucore della corona, del tutto invisibile tranne che nelle eclissi totali, che sporgeva come le ali di un cigno da entrambe le parti del sole.

Tutto svanì nel buio: la musica ossessiva ritornò e con essa la deliziosa frescura della sua camera. Aprì gli occhi (erano mai stati chiusi?) e trovò un pubblico impaziente in attesa della sua reazione.

«Magnifico!» ansimò, quasi con reverenza. «Una parte sembrava… be’, più reale del reale!»

Poi la sua onnipresente curiosità di tecnico riprese il sopravvento.

«Anche solo questa piccola dimostrazione deve aver contenuto una quantità enorme di informazioni. Come vengono immagazzinate?»

«In queste tavolette… le stesse utilizzate dal vostro sistema audiovisivo, ma con una capacità molto maggiore.»

Il Cerebrale passò a Poole un quadratino, all’apparenza fatto di vetro argentato da un lato: era più o meno delle stesse dimensioni dei dischetti di computer della sua gioventù, ma due volte più spesso. Quando Poole lo voltò da tutti i lati, cercando di vedere cosa ci fosse all’interno, apparvero lampi dalle sfumature dell’arcobaleno, ma niente di più.

Si rese conto di avere in mano il prodotto finale di più di mille anni di tecnologia elettroottica, come pure di altre tecnologie non ancora nate ai suoi tempi. E non lo sorprendeva il fatto che, almeno in superficie, assomigliasse molto ai congegni che aveva conosciuto. Ci sono forme e dimensioni adatte alla maggior parte degli oggetti comuni della vita quotidiana: forchette e coltelli, libri, strumenti, mobili, e memorie amovibili di computer.

«Qual è la sua capacità?» si informò. «Ai miei tempi, eravamo arrivati a mettere un terabyte in qualcosa di simile a queste dimensioni. Sono certo che avete fatto molto di più.»

«Non quanto potrebbe immaginare… ovviamente c’è un limite stabilito dalla struttura della materia. Ah, e che cos’era un terabyte? Temo di averlo dimenticato.»

«Vergogna! Kilo, mega, giga, tera… vale a dire bytes per dieci alla dodicesima potenza. Poi il petabyte… dieci alla quindicesima… e questo è il limite massimo a cui sono arrivato.»

«Più o meno da dove siamo partiti. È quanto basta a registrare tutto quello che una persona può sperimentare durante una vita.»

Era un pensiero sbalorditivo, eppure non avrebbe dovuto essere così sorprendente. Il chilo di gelatina all’interno del cranio umano non era molto più grande della tavoletta che Poole teneva in mano, e in nessun modo avrebbe potuto essere altrettanto efficiente come congegno di memorizzazione: aveva altri compiti da affrontare.

«E non è tutto», continuò il Cerebrale. «Con qualche compressione di dati, potrebbe immagazzinare non solo i ricordi… ma la persona vera e propria.»

«E riprodurla di nuovo?»

«Certo; un semplice lavoretto di nanoassemblaggio.»

E così glielo avevano detto, riflette Poole, ma non ci avrebbe mai creduto.

Ai suoi tempi, sembrava già abbastanza meraviglioso che l’intera opera di un artista potesse essere memorizzata in un solo dischetto.

E ora, qualcosa di non molto più grande poteva contenere… l’artista stesso.

7. CONSULTO

«Sono contento», disse Poole, «di sapere che lo Smithsonian esiste ancora dopo tutti questi secoli.»

«Probabilmente non lo riconoscerebbe», rispose il visitatore che si era presentato come dottor Alistair Kim, direttore del Dipartimento Astronautico. «Specialmente adesso che è sparso per il sistema solare — le principali collezioni lontane dalla Terra sono su Marte e sulla Luna e molti dei reperti che ci appartengono per legge sono ancora in viaggio per le stelle. Un giorno li raggiungeremo e li riporteremo a casa. Siamo particolarmente ansiosi di mettere le mani sul Pioneer 10, il primo oggetto costruito dall’uomo a uscire dal sistema solare.»

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