«Ce lo stiamo chiedendo ancora adesso. Chiamiamolo ologramma, proiezione… certo, potrebbe essere una contraffazione. Volendo, la si può fare in un sacco di modi., ma non in questa situazione! E poi ovviamente bisogna tener presente quel che è successo dopo.»
«Lucifero?»
«Sì. Grazie a quell’avvertimento, riuscirono ad andarsene appena in tempo, prima che Giove esplodesse.»
«Per cui, qualunque cosa fosse, l’immagine di Bowman era amichevole e cercava di aiutarci.»
«Possiamo desumerlo. E quella non fu l’ultima volta che apparve. Potrebbe essere il responsabile di quell’«altro messaggio» in cui ci avvisava di non cercare di atterrare su Europa.»
«E noi l’abbiamo fatto?»
«Solo una volta, per un incidente… quando la Galaxy venne dirottata e costretta a scendere proprio lì, anni dopo, e l’astronave gemella, la Universe, dovette andare a recuperarla. È tutto qui… con quel poco che i nostri robot monitor ci hanno detto degli abitanti di Europa.»
«Sono ansioso di vederli.»
«Sono anfibi e assumono tutte le forme e le dimensioni. Appena Lucifero ha cominciato a sciogliere il ghiaccio che copriva tutto il loro mondo, sono emersi dal mare. Da allora si sono sviluppati a una velocità che sembra biologicamente impossibile.»
«Da quel che ricordo di Europa, non c’erano diversi crepacci nel ghiaccio? Forse avevano già cominciato a strisciarvi attraverso e a dare un’occhiata in giro.»
«È una teoria ampiamente accolta. Ma ce n’è un’altra molto più articolata. Potrebbe riguardare anche il monolito, ma in un modo che non abbiamo ancora capito. Ciò che ha dato vita a questa linea di pensiero è stata la scoperta di TMA-0, proprio qui sulla Terra, quasi cinquecento anni dopo la sua epoca. Immagino che gliene abbiano parlato.»
«Solo a grandi linee. Ha avuto tanto da fare per aggiornarmi! Ho pensato che il nome fosse ridicolo dal momento che non era un’anomalia magnetica ed era in Africa, non su Tycho.»
«Lei ha perfettamente ragione, com’è ovvio, ma ci siamo fissati con quel nome. E più apprendiamo sui monoliti, più l’enigma si fa oscuro. In particolar modo perché sono tuttora l’unica prova di una tecnologia avanzata, a parte quella della Terra.»
«È questo che mi ha sorpreso. Ci avrei dovuto pensare da quella volta che abbiamo captato segnali radio provenienti da qualche parte. Gli astronomi avevano iniziato le ricerche quando io ero ancora un ragazzo!»
«Be’, c’è un indizio… ed è talmente terrificante che non ci va nemmeno di discuterne. Ha sentito parlare di Nova Scorpio?»
«Non mi pare.»
«Le stelle diventano novae in continuazione, naturalmente… e questa non era interessante in modo particolare. Ma prima che esplodesse, Nova Scorpio era nota per avere diversi pianeti.»
«Abitati?»
«Non siamo stati in grado di stabilirlo. Le ricerche radio non hanno captato niente. Ed ecco l’incubo…
«Fortunatamente, la Pattuglia Automatica che controlla le novae colse l’evento fin dall’inizio. Il quale non ebbe inizio nella stella. Prima esplose uno dei pianeti, e poi innescò l’esplosione del suo sole.»
«Mio D… scusi, continui.»
«Capisce qual è il punto? È impossibile che un pianeta diventi una nova… tranne che in un modo.»
«Una volta ho letto una pessima battuta in un romanzo di fantascienza: «Le supernovae sono incidenti industriali.»»
«Non era una supernova… ma sembra che non sia uno scherzo. La teoria più accreditata è che qualcun altro abbia ottenuto energia sotto vuoto… e abbia perso il controllo.»
«Non potrebbe essere stata una guerra?»
«Fa lo stesso; probabilmente non lo sapremo mai. Ma siccome la nostra civiltà dipende dalla stessa fonte di energia, potrà capire perché Nova Scorpio a volte costituisca un incubo per noi.»
«E pensare che noi avevamo solo la fusione dei reattori nucleari di cui preoccuparci!»
«Non più, grazie a Deus. Ma in realtà volevo raccontarle altro sulla scoperta di TMA-0, perché è stata una svolta decisiva nella storia umana.
«La scoperta di TMA-1 sulla Luna fu uno shock piuttosto notevole, ma cinquecento anni dopo ne subimmo uno ancor peggiore. Ed era molto più vicino a casa… in ogni senso. Era laggiù in Africa.»
II dottor Stephen Del Marco diceva sovente a se stesso che i Leakey non avrebbero mai riconosciuto quel posto, anche se si trovava a meno di una dozzina di chilometri dal luogo in cui Louis e Mary Leakey, cinque secoli prima, avevano scoperto i nostri primi antenati. Il riscaldamento globale e la piccola èra glaciale (interrotta da miracoli di eroica tecnologia) avevano trasformato il paesaggio e ne avevano completamente alterato la flora e la fauna. Querce e pini stavano ancora combattendo per crescere e per vedere chi sarebbe sopravvissuto ai mutamenti delle vicissitudini climatiche.
Ed era difficile pensare che, in pieno 2513, a Oldovai ci fosse ancora qualcosa che antropologi entusiasti non avessero riportato alla luce. Tuttavia, alluvioni recenti e improvvise — che in teoria non sarebbero più dovute accadere — avevano ridisegnato quella zona e asportato diversi metri di strato superficiale. Del Marco aveva approfittato dell’occasione e ora lì, al limite dell’esplorazione in Profondità, c’era qualcosa a cui non riusciva proprio a credere.
C’era voluto più di un anno di scavi lenti e precisi per raggiungere quella spettrale immagine e apprendere che la realtà era ancora più strana di qualsiasi cosa si potesse immaginare. Escavatrici telecomandate avevano rapidamente tolto i primi metri, poi la solita ciurma di studenti del corso di laurea ne aveva preso il posto.
Erano stati aiutati — o meglio intralciati — da un gruppo di quattro gorilla, che Del Marco considerava più un guaio che un supporto. Tuttavia, gli studenti adoravano i gorilla sottoposti a miglioramento genetico e li trattavano amorevolmente come bambini ritardati. Correva voce che i rapporti non fossero sempre del tutto platonici.
Tuttavia, per gli ultimi metri solo la mano dell’uomo aveva eseguito il lavoro, di solito usando spazzolini da denti dalle setole appositamente ammorbidite. E adesso tutto era completato: nemmeno Howard Carter, osservando il primo bagliore dell’oro nella tomba di Tutankhamon, aveva mai scoperto un tesoro come quello. Da quel momento in poi, comprese Del Marco, le credenze e le filosofie umane sarebbero state irrevocabilmente sconvolte.
Il monolito sembrava essere il gemello esatto di quello scoperto sulla Luna cinque secoli prima: persino la zona di scavo che lo circondava era quasi identica come grandezza. E, alla stregua di TMA-1, era del tutto non riflettente e assorbiva il furibondo bagliore del sole africano e il pallido lucore di Lucifero con la stessa indifferenza.
Mentre guidava i suoi colleghi i direttori di una mezza dozzina dei più famosi musei del mondo, tre eminenti antropologi, i capi di due imperi mediatici — all’interno della fossa, Del Marco si chiese se fosse mai successo che un gruppo così importante di uomini e donne rimanesse completamente muto per così tanto tempo. Ma quello era l’effetto che il rettangolo d’ebano faceva a tutti i visitatori, mentre si accorgevano delle implicazioni che comportavano quelle migliaia di manufatti attorno al monolito.
Perché qui c’era il tesoro che ogni archeologo avrebbe potuto sognare — strumenti di pietra rozzamente sgrezzati, numerevoli ossa, in parte di animali in parte di esseri umani, e quasi tutto sistemato in disegni accurati. Per secoli — no, per millenni — questi miseri doni erano stati portati in quel luogo da creature in possesso solo di un debole barlume di intelligenza, come tributo a una meraviglia che andava al di là della loro comprensione.
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