Arthur Clarke - 3001 Odissea finale

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3001 Odissea finale: краткое содержание, описание и аннотация

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In «3001 Odissea finale» Clarke conclude con un ultimo affascinante episodio la leggendaria saga di fantascienza iniziata con «2001 Odissea nello spazio» facendo fare al lettore un balzo di mille anni nel futuro e rivelandogli una verità che possiamo comprendere soltanto adesso.
Fondendo mirabilmente fantasia e precisione scientifica Clarke ci regala un altro indimenticabile capolavoro sui misteri insondabili dell'universo e sull'eterno, appassionante confronto tra l'uomo e l'ignoto.
Arthur C. Clarke è considerato fra i più grandi scrittori di fantascienza di tutti i tempi. Personalità straordinaria, non solo nel campo della narrativa, scrisse un articolo nel 1945 che portò all'invenzione della tecnologia satellitare. Si spegne il 19 marzo 2008 a Colombo, nello Sri Lanka che tanto amava e in cui viveva da decenni.

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«Lee l’ha vista per primo un’enorme massa nera che veniva su dalle profondità. Sulle prime abbiamo pensato che fosse un branco di pesci — troppo grande per un solo organismo — poi ha cominciato a spezzare il ghiaccio e a muoversi nella nostra direzione.

«Assomigliava piuttosto a un enorme viluppo di alghe marine bagnate e strisciava sul terreno. Lee è corso all’astronave a prendere una telecamera… io sono rimasto a guardare, riferendo il tutto per radio. La cosa si muoveva così lentamente che potevo con tutta tranquillità passeggiarle intorno. Ero più eccitato che spaventato. Pensavo di sapere di quale tipo di creatura si trattasse — avevo visto foto di foreste di alghe al largo della California — ma mi sbagliavo completamente.

«Avrei detto che fosse nei guai. Non aveva alcuna speranza di sopravvivere a una temperatura di centocinquanta gradi più bassa rispetto a quella del suo ambiente normale. Stava congelandosi mentre si muoveva — se ne staccavano pezzettini come se fosse di vetro — ma nondimeno continuava ad avanzare verso l’astronave, una nera onda di marea, rallentando di continuo.

«Ero ancora talmente sorpreso che non riuscivo a pensare con lucidità e quindi non potevo immaginare che cosa cercasse di fare. Anche se si dirigeva verso la Tsien, sembrava assolutamente innocua, simile… be’, a una piccola foresta in movimento. Mi ricordo di aver sorriso… mi faceva venire in mente la foresta di Burnham nel Macbeth…

«Poi all’improvviso ho capito quale fosse il pericolo. Benché fosse del tutto inoffensiva, era pesante — con tutto quel ghiaccio che portava addosso, doveva pesare parecchie tonnellate, anche considerando la scarsa gravità. E stava lentamente, penosamente arrampicandosi sul nostro sistema d’atterraggio… le gambe cominciavano a cedere, tutto avveniva come al rallentatore, come in un sogno… o in un incubo…

«Solo quando l’astronave si mise a vacillare capii che cosa stesse cercando di fare la cosa… ma ormai era troppo tardi. Avremmo potuto salvarci… se solo avessimo spento tutte le luci!

«Forse era una creatura fototropa e il suo cielo biologico si risvegliava quando la luce del sole filtrava attraverso il ghiaccio. Oppure era come una falena attirata da una candela. Il nostro flusso di luce doveva essere molto più brillante di qualsiasi cosa Europa avesse mai visto, persino dello stesso Sole…

«Poi l’astronave crollò. Vidi lo scafo spezzarsi, vidi formarsi una nuvola di fiocchi di neve quando l’umidità si condensò. Tutte le luci si spensero, tranne una che ondeggiava avanti e indietro attaccata a un cavo a un paio di metri dal suolo.

«Non so cosa sia successo immediatamente dopo. Ricordo solo che mi trovavo sotto la luce, di fianco al relitto dell’astronave, con attorno una bella spolverata di neve fresca. Potevo vedere le mie impronte con grande chiarezza. Devo aver corso; forse erano passati solo uno o due minuti…

«Il vegetale — era in questi termini che pensavo a lui — era immobile. Mi chiesi se fosse rimasto danneggiato dall’impatto; grossi pezzi — della grandezza del braccio di un uomo — si erano staccati come ramoscelli spezzati.

«Poi il tronco principale si mosse di nuovo. Si allontanò dallo scafo e cominciò a strisciare verso di me. Fu allora che seppi con certezza che la cosa era sensibile alla luce: io mi trovavo esattamente sotto la lampada da mille watt che adesso aveva smesso di ondeggiare.

«Immaginatevi una quercia — meglio ancora un banano con i suoi tronchi e le sue radici — schiacciata all’infuori dalla gravità, che cerchi di strisciare sulla terra. Giunse a cinque metri dalla luce, poi cominciò a espandersi fin quando formò un cerchio perfetto attorno a me. Probabilmente era quello il limite della sua tolleranza: il punto in cui la fotoattrazione si tramutava in repulsione.

«Dopodiché non successe nulla per diversi minuti. Pensai che fosse morto… definitivamente congelato.

«Poi vidi grandi gemme formarsi sui rami. Era come osservare il film a fotogrammi fissi di un fiore che si apre. In realtà pensavo che fossero fiori — ognuno grande come la testa di un uomo.

«Fragili membrane dagli splendidi colori cominciarono a dispiegarsi. Proprio allora mi venne in mente che nessuno — nessuna cosa — poteva aver visto quei colori correttamente, prima che noi portassimo le nostre luci — le nostre luci fatali — in quel mondo.

«Viticci, stami, che ondeggiavano trepidi… Mi avvicinai al muro vivente che mi circondava per vedere che cosa stesse succedendo esattamente. Neppure allora né in qualsiasi altro momento, provai il benché minimo timore nei confronti della creatura. Ero certo che non avesse cattive intenzioni — posto ovviamente che avesse delle intenzioni.

«C’erano decine di grandi fiori, in vari stadi dello schiudersi. Mentre mi avvicinavo sempre di più alla verità, mi vennero in mente le farfalle, appena emerse dalla crisalide — le ali accartocciate, ancora deboli.

«Ma si stavano congelando… morendo con la stessa rapidità con cui si formavano. Poi, una dopo l’altra, caddero giù dalle gemme natali. Si dimenarono per un po'’ come pesciolini tirati a secco — e finalmente compresi di che cosa si trattava. Quelle membrane non erano petali… erano pinne, o qualcosa di equivalente. Quello era lo stadio larvale della creatura. Probabilmente trascorre gran parte della vita abbarbicata al fondo marino, poi manda quella progenie mobile in cerca di nuovi territori. Proprio come i coralli degli oceani terrestri.

«Mi inginocchiai per guardare più da vicino una di quelle creaturine. Adesso gli splendidi colori erano mutati in un marrone scuro. Alcune delle pinnepetali si staccarono, diventando fragili frammenti mentre congelavano. Ma si muoveva ancora debolmente e, quando mi avvicinai, cercò di scansarsi. Mi domandai come avesse fatto a percepire la mia presenza.

«Poi notai che gli stami — come li ho chiamati — avevano tutti macchie di un blu brillante alle estremità. Assomigliavano a piccoli zaffiri asteria — o alle escrescenze blu sulla valva di un pettine — consapevoli della luce, ma incapaci di formare vere immagini. Mentre osservavo, il blu brillante svanì, le gemme divennero pietre opache, normali…

«Dottor Floyd, o chiunque sia in ascolto, non mi rimane più molto tempo; l’allarme del mio sistema di mantenimento della vita ha appena squillato. Ma ho quasi finito.

«Allora capii cosa dovevo fare. Il cavo di quella lampada da mille watt penzolava fin quasi sul terreno. Gli diedi uno strattone e la luce si spense in una pioggia di scintille.

«Temetti che fosse troppo tardi. Per alcuni minuti non successe nulla. Per cui andai al muro di rami intrecciati che mi circondava, e gli diedi un calcio.

«La creatura cominciò lentamente a districarsi e a ritrarsi verso il canale. La seguii per tutto il percorso fino all’acqua, incoraggiandola con altri calci quando rallentava, percependo il rumore dei frammenti di ghiaccio che si rompevano in continuazione sotto i miei stivali… Mentre si avvicinava al canale, sembrava riacquistare forza ed energia, come se sapesse che si avvicinava alla sua dimora naturale. Mi domandai se sarebbe sopravvissuta per germogliare di nuovo.

«Sparì sotto la superficie, lasciando alcune larve morte sulla terra aliena. L’acqua esposta ribollì per alcuni minuti prima che una crosta di ghiaccio protettivo la riparasse dal vuoto. Poi tornai all’astronave per vedere se c’era qualcosa da recuperare… ma di questo non voglio parlare.

«Ho solo due richieste da sottoporle, dottore. Quando il tassonomista classificherà questa creatura, spero che le darà il mio nome.

«E quando la prossima astronave tornerà a casa, chieda loro di riportare le nostre ossa in Cina.

«Perderò energia tra pochi minuti… vorrei sapere se qualcuno mi sta ricevendo. In ogni caso, ripeterò il messaggio finché potrò…

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