Ben Bova - Giove chiama Terra

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Giove chiama Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che in orbita attorno a Giove c’è qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile, dal momento che nessuna astronave terrestre è mai ancora arrivata laggiù. Ma...
Ma queste non sono praticamente le stesse parole con cui abbiamo presentato nello scorso numero
di Zach Hughes?
Il fatto è che Ben Bova e Zach Hughes per una straordinaria coincidenza hanno scritto e pubblicato contemporaneamente due romanzi che partono dalle stesse premesse pur arrivando a conclusioni diversissime. Veda dunque il lettore quali delle due preferisce e tenga conto d’altra parte che il complesso, ricchissimo romanzo di Bova è quasi tre volte più lungo di quello di Hughes e negli USA costa più del doppio, mentre in URANIA costa naturalmente lo stesso. Un’occasione da non perdere.

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Robert S. Dixon John Kraus Cosmic Search — 1979

Jo stava scendendo le scale che dal suo ufficio portavano a pianterreno, quando vide il dottor Cavendish fermo ai piedi degli scalini.

Stupefatta, si accorse che appariva più vecchio di quando erano arrivati sull’isola, poche settimane prima. Il suo corpo era magrissimo, gli abiti gli ballavano addosso, il viso era segnato dalla mancanza di sonno, gli occhi infossati erano cerchiati da borse nere.

«Dottor Cavendish, si sente bene?» gli chiese.

Lui socchiuse gli occhi, la guardò. «Ah, sì… Signorina…» La sua voce si spense.

«Camerata. Jo Camerata. Lavoro qui al centro computer.»

«Oh, sì, certo» disse Cavendish. «Che stupido a non riconoscerla.»

«Posso fare qualcosa per lei?»

Lui scosse piano la testa. «Sono reduce dalla riunione settimanale col professor McDermott. Stavo raccogliendo le forze prima di avventurarmi sotto il sole.»

«Sì, qui dentro si sta meglio» convenne Jo.

«Gli inglesi non sono poi così pazzi, sa. Io odio il caldo. Anzi, penso che influisca sulla mia salute.»

«Non ha l’aria condizionata, in ufficio?»

«Oh, sì. Mi hanno sistemato in uno splendido ripostiglio del centro elettronico. Ho un condizionatore nuovissimo alla finestra. Mi si ghiaccia il tè, se lo metto al massimo. Il difficile è arrivare qui. Dovrò farmi più di mezzo chilometro sotto il sole…»

«Perché non si mette a lavorare nel mio ufficio per mezz’ora o giù di lì? Nel frattempo il sole scenderà, e il vento rinfrescherà un po’ il clima.»

«Nel suo ufficio? Oh, non potrei. Tutte le mie carte, e le mie cose…»

Jo lo prese per il braccio, ricominciò lentamente a salire con Cavendish. «I dati a cui sta lavorando sono inseriti nel computer centrale, giusto? Può usare il mio terminale, e non avrà problemi. Sarà come essere nel suo ufficio.»

«Non ci avevo mai pensato.»

Lei gli sorrise. «Lei è abituato a lavorare con la carta. La mia generazione è abituata a lavorare con l’elettronica. Tutto ciò che le serve può essere richiamato sullo schermo del terminale.»

«Sì, però le ruberò l’ufficio.»

«Io posso lavorare ovunque» ribatté Jo. «Non si preoccupi. Lì starà molto meglio.»

«Lei è di una gentilezza estrema» disse Cavendish.

Raggiunsero l’ufficio. Jo fece accomodare l’altro alla scrivania e gli mostrò come richiamare il suo lavoro sul terminale del computer.

«Meraviglioso» disse Cavendish, con un sorriso.

«Ho anche un bollitore, se le va l’idea di bere tè americano.»

Il sorriso dell’inglese s’increspò. «In bustina? Jo annuì.» Se le serve qualcosa, io sono giù a pianterreno, nel Pozzo.

«Il Pozzo?»

«È il nome che i programmatori hanno dato al vano centrale dell’edificio.»

Cavendish aggrottò la fronte. «C’è anche il pendolo?»

«Il pendolo? Come negli orologi?»

«È un racconto di Edgar Allan Poe. Il pozzo e il pendolo. »

Scuotendo la testa, Jo ammise: «Non credo… Oh, aspetti, non era un film con Vincent Price?»

“Cultura americana” rifletté amaramente Cavendish.

Scambiarono qualche altra parola, poi Jo, soddisfatta di sé come una brava figlia, ridiscese le scale. Cavendish, contentissimo, giocò col computer per qualche minuto, finché il mal di testa non tornò con tutta la sua forza, e lui per poco non si abbatté sulla scrivania.

A Washington era quasi mezzanotte. Negli uffici dell’Ala Ovest della Casa Bianca, le finestre erano ancora illuminate. I monumenti nazionali erano uno sfavillio di luci, anche se le vie del centro erano deserte. Ai turisti veniva consigliato di non uscire di notte, e loro restavano negli hotel, finché l’alba non scacciava dalle strade delinquenti e prostitute.

Il palazzo modernissimo che ospitava il quartier generale della NASA era quasi completamente al buio. Solo in pochi uffici erano accese le luci. Uno di questi era l’ufficio del vicedirettore delle missioni spaziali con equipaggio umano, il dottor Kenneth Burghar.

Jerry White aprì la porta senza bussare e sorrise al suo superiore che, sommerso dalle carte, sedeva alla scrivania.

«Cristo, credevo di essere l’unico fesso dell’azienda a restare qui fin dopo mezzanotte» disse allegramente White.

«Tagli di bilancio» borbottò Burghar. «Vogliono toglierci altri venti milioni dal budget.»

Il sorriso di White si trasformò in una smorfia. «Okay, prenditi il mio braccio sinistro. Quello destro mi serve per firmare la ricevuta dei sussidi di disoccupazione.»

«C’è poco da scherzare, Jer.»

«Giuro su Cristo che mi piacerebbe poterla prendere sul ridere» ribatté White, serio.

Burghar scostò la poltroncina dalla scrivania, si appoggiò all’indietro, si sfregò gli occhi. La cravatta era scomparsa, le maniche della camicia erano arrotolate. Gli avanzi di un taglio di pizza decoravano un angolo della scrivania, assieme a una tazza di caffè bevuta a metà.

«Cosa ci fai qui a quest’ora?» chiese a White.

«Quello che ci fai tu.» White si accomodò sul divano in plastica. «Cerco di smaltire il lavoro di quelli che sono già stati licenziati.»

«A volte mi chiedo se ne valga la pena. Se non gliene frega niente al Congresso e a quelli dell’amministrazione, perché stiamo a rovinarci il fegato?»

«Perché siamo onesti, idealisti.»

«Già. Dovrebbero chiuderci tutti in manicomio.»

White scrollò le spalle. «Forse.»

«Non sarai venuto qui per discutere di misure fiscali, eh?»

«No.» White tolse dalla tasca della giacca un foglio di carta e lo passò al suo superiore.

«Cos’è?»

«È dell’Ufficio Ricerche Scientifiche e Tecnologiche. Sally Ellington e quei geni dell’Ala Ovest devono aver ricominciato a fumare erba.»

Burghar lesse la comunicazione. «Una missione con equipaggio umano a una distanza quattro volte superiore all’orbita della Luna? Che cavolo c’è sotto?»

«Lo chiedi a me? La Casa Bianca vuole che esaminiamo il problema e inviamo un rapporto, subito.»

Burghar sbuffò. «Grazie a Dio non ci chiedono i mezzi per la missione. Ci occorrerebbero dieci anni.»

«Ken, io non ho nemmeno il personale per fare questo studio! Dove trovo gli uomini disponibili per…»

«Il personale disponibile» lo corresse stancamente Burghar. «Sempre pronti agli ordini, ricordi? E quando la richiesta arriva dalla Casa Bianca, le persone “si trovano”.»

«Ma che senso ha? Parlano solo di una missione con equipaggio umano e bersaglio non specificato.»

Burghar scrollò le spalle. «Vogliono tenere il segreto. Probabilmente sarà per qualche operazione militare.»

«No, sarà solo un altro studio idiota che infileranno nei loro archivi a prendere polvere. Perché diavolo dovremmo farlo?»

«Cosa vuoi che ti dica?»

White si avvicinò al suo superiore. «Ken… C’è qualcosa. Sono corse voci. Si parla di una nave aliena nel nostro Sistema Solare. Potrebbe essere questo?»

Burghar si passò una mano nei radi capelli. «Vallo a chiedere a quelli del Comitato di Controllo. Con me non si sbottonano, però forse a te diranno tutto perché giochi meglio a tennis.»

«Sicuro. E Sally Ellington stravede per me.» White non rise. «Sul serio, Ken, che porcheria di studio posso preparare senza uomini disponibili? E a cosa servirebbe? Non abbiamo i mezzi per lanciare una missione con equipaggio umano a quella distanza!»

«Poco ma sicuro. Quindi, fai il solito studio del cavolo e invia il rapporto che vogliono, quando lo vogliono. Non crearti problemi.»

«Non è un’astronave aliena, eh?»

«Oh, merda» gemette Burghar. «Tra un po’ ti metterai a vedere i dischi volanti.»

«Okay, okay… Affiderò la richiesta di Sally ai potenti mezzi a nostra disposizione, con tutta la velocità del caso.»

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