Badava sempre ad arrivare in ritardo a quelle riunioni settimanali dei capigruppo, in modo che tutti fossero già presenti: Zworkin e i suoi due assistenti, più il loro linguista, Markov; Cavendish, rappresentante della NATO; i tre cinesi, che ancora non avevano aperto bocca alle riunioni; Reynaud, l’inviato del Vaticano e Thompson, che rappresentava il gruppo di McDermott, con due dei suoi assistenti.
Uno dei quali era Stoner.
McDermott odiava la presenza di Stoner: era un rompiballe, lo era stato sin dall’inizio. Continuava a insistere perché si preparasse la missione di rendez-vous con la nave aliena.
“Vuole diventare direttore del progetto al posto mio” rifletté McDermott. “Be’, non ci riuscirà mai. Ho la sua ragazza e sono il pezzo più grosso del progetto… E non mollerò! Né l’una né l’altra cosa!”
Quando entrò in sala riunioni e si portò a capo del tavolo, stava ridacchiando fra sé. Tolse pipa, accendino, tabacco, scovolini da diverse tasche del vestito e li dispose sul tavolo, poi si accomodò. Ai saluti dei capigruppo rispose con un solo cenno della testa. Era l’unico a indossare il vestito, o anche solo la giacca; tutti gli altri erano seminudi, sembravano gente in ferie. Persino i russi portavano camicie con le maniche corte.
“È per questo che sono seduto a capo del tavolo” si disse McDermott. “Io mantengo la mia dignità.”
Spostò gli occhi lungo il tavolo. «Dov’è il dottor Reynaud?»
Nessuno lo sapeva.
McDermott diede un’occhiata alla sua segretaria, una dipendente civile della marina di mezza età, seduta in un angolo sulla sinistra, il registratore pronto.
«Era informato della riunione» si scusò la donna.
«Telefonategli» ordinò McDermott. «Trovatelo.» Poi, girandosi verso il gruppo: «Cominceremo senza Reynaud.»
La segretaria fece partire il registratore, poi uscì di corsa.
«Allora» tuonò McDermott «qual è la situazione?»
Gli altri si scambiarono occhiate, chiedendosi chi dovesse essere il primo.
Markov si tirò la barba, poi disse: «Stamattina abbiamo iniziato a trasmettere diversi messaggi radio alla nave…»
«Sì» intervenne Zworkin. «Ho qui una diapositiva che mostra i tipi di messaggi trasmessi e le frequenze che usiamo.» Sfiorò un pulsante inserito nel tavolo, e sullo schermo in fondo alla stanza apparve un elenco.
«Non c’è stata risposta» disse McDermott.
«Non ancora» ribatté Zworkin. «Però sono passate solo poche ore.»
«Da Maui sta per arrivare l’impianto laser» disse Jeff Thompson.
«Su che frequenza opera?»
«Sull’infrarosso… Uno virgola sei micron.»
«Allora non è un laser al CO 2.»
«No. Al neodimio.»
Stoner chiese: «Non potremmo usare il laser come radar, oltre che come canale di comunicazione? Potremmo ottenere dati ad altissima definizione sull’oggetto.»
«Ci servirebbe un impianto ricevente ad alta definizione» disse Thompson.
«Che costerebbe tempo e denaro» aggiunse McDermott.
«Però a Maui hanno l’impianto ricevente, no, Jeff?» insistette Stoner. «Usano il laser per seguire i satelliti.»
“Un rompiballe nato” ripeté fra sé McDermott. Ad alta voce, disse: «Stiamo ottenendo buone informazioni sulla forma e le dimensioni col radar, no?»
Thompson fissò Zworkin, che gli sedeva di fronte.
«Prego» disse il russo, gesticolando con le mani.
Thompson spinse un po’ indietro la poltroncina, sfiorò i comandi del proiettore all’estremità del tavolo.
«Come ha detto Keith» iniziò «abbiamo usato le frequenze di comunicazione anche come radar, registrando gli echi che ci tornano dall’astronave. I risultati che abbiamo sono… enigmatici.»
Sullo schermo apparve un’altra diapositiva. Mostrava una forma ovale. All’interno c’era un ovale allungato, una specie di sigaro piuttosto grosso.
«Che accidenti è?» grugnì McDermott.
«Il nostro visitatore» rispose Thompson. «Alle frequenze più basse, l’oggetto ha la forma di un uovo irregolare e inconsistente. Alcuni indizi sembrerebbero indicare che la forma pulsa, ma potrebbe trattarsi di anomalie dei nostri strumenti. Stiamo controllando. In ogni caso, le pulsazioni, se sono pulsazioni, non seguono ritmi regolari. Direi che è più probabile si tratti di interferenze degli strumenti.»
«Però è inconsistente, non solida» disse Cavendish.
«Esatto.»
«Come una nube di gas» disse McDermott.
«Una nube di plasma» lo corresse Thompson, «Un gas ionizzato che riflette le onde radar a bassa frequenza.»
«Quanto è grande la nube?»
«Oh, un centinaio di metri, centoventi. Più o meno, ha le dimensioni di un campo da football.»
«E la cosa che c’è dentro?»
«Quella dà una riflessione piuttosto solida alle frequenze più alte. È venti metri per cinque. Lo spettro di riflessione è simile a quello del metallo, stando alle prime analisi, o della roccia ad alto contenuto metallico. Sembra che la superficie sia parecchio liscia.»
«A me pare una cometa» mugugnò McDermott.
«Non c’è coda» ribatté Thompson.
«E le foto di Big Eye?»
Thompson si girò verso Stoner.
«Può abbassare le luci, per favore?» urlò Stoner, per farsi sentire dal tecnico che, nella stanza accanto, faceva da balia al proiettore automatico di diapositive.
“Deve sempre distinguersi” borbottò fra sé McDermott.
Stoner fece partire una diapositiva che mostrava una macchia indistinta su uno sfondo scuro. Si alzò, raggiunse lo schermo che arrivava al soffitto.
«Non è visibile una grande struttura…»
«A me pare una maledetta cometa» ripeté McDermott.
Stoner strinse i denti, poi proseguì: «C’è un vecchio trucco degli astronomi,., Jeff, ti spiace far partire la diapositiva seguente?»
La stessa foto apparve sullo schermo, ma questa volta in negativo. Il fondo celeste era bianco-grigiastro, la macchia indistinta grigio scuro.
«Nella foto in negativo si intravede una struttura all’interno della nube» disse Stoner. «In particolare, se socchiude gli occhi, riuscirà a vedere l’oggetto a forma di sigaro che il radar ha rilevato.»
«Di cos’è composta la nube?» chiese Zworkin.
«Sino a ora» disse Stoner «l’analisi spettrografica ci ha dato solo uno spettro solare riflesso. Di qualunque cosa la nube sia composta, riflette la luce del sole quasi come un perfetto specchio.»
«Uno specchio non solido e pulsante» disse Cavendish.
Stoner si rimise a sedere, premette il pulsante del proiettore. L’immagine svanì dallo schermo, e i pannelli fluorescenti sul soffitto si riaccesero.
«È un enigma» disse Zworkin.
«È una cometa» insistette McDermott.
«Troppo piccola…»
«Un frammento di cometa» disse Big Mac, «Ci siamo convinti di aver scoperto un’astronave aliena, e invece è solo un pezzo di cometa.»
Markov scosse la testa. «Non posso crederlo.»
«Ma apra gli occhi!» tuonò McDermott, «È una sfera di gas che circonda un pezzo di roccia metallica.»
«Non si comporta da cometa» disse Stoner. «Non ce chioma, non c’è coda. È troppo piccola. Non possiede lo spettro di una cometa.»
«È un frammento anomalo espulso da una cometa più grande» disse McDermott. «Vi ricordate Kohoutek, nel settantatré? Doveva essere la cometa del secolo, e invece è finito tutto in nulla. Quella cosa è solo un pezzo di roccia con un po’ di gas attorno. Stiamo dando la caccia a un fantasma.»
«Non sono d’accordo» disse dopo un po’ Zworkin. «Se anche però lei avesse ragione, professor McDermott, dobbiamo lo stesso studiare l’oggetto con estrema cura. Se anche si tratta di un corpo naturale, può dirci molto sulla natura del nostro Sistema Solare.»
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