La faccia restò immobile qualche secondo. Poi la voce disse: — Fate queste domande.
— Come vi chiamate?
— Non sapreste pronunciare il mio nome. Chiamatemi G’room.
— Siete maschio o femmina?
— Né l’uno né l’altra. Gli individui della nostra razza non sono divisi per sesso come da voi.
— Che razza è, la vostra? — chiese Heseltine.
— Voi ci chiamereste Nioth-Korghai. Le vostre corde vocali non possono pronunciare le nostre sillabe.
Fallada chiese: — Da dove venite?
— Da un pianeta della stella che voi chiamate Rigel. Non è visibile nemmeno ai vostri telescopi più potenti.
— Quanti anni avete?
— Secondo il vostro tempo terrestre, ho cinquantaduemila anni.
Heseltine e gli altri si guardarono sbalorditi. Carlsen chiese: — Tutti quelli della vostra razza vivono così a lungo?
— No. Soltanto noi, gli Ubbo-Sathia. Noi siamo quelli che voi chiamate vampiri.
Fallada stava prendendo appunti, nonostante il registratore. Chiese: — E gli altri Nioth-Korghai quanto vivono?
— Circa trecento dei vostri anni terrestri.
Heseltine chiese: — Come siete diventati vampiri?
— È una lunga storia, questa.
— Vorremmo lo stesso che ce la raccontaste. Continuate.
Il silenzio si protrasse per qualche minuto, tanto che Carlsen cominciò a dubitare che la creatura volesse rispondere. Finalmente la voce si fece sentire.
— Il nostro pianeta è completamente ricoperto d’acqua, e la nostra razza, come avete indovinato, ha la forma di quelle creature che voi chiamate polipi. Ma i vostri molluschi sono quasi privi di cervello. I Nioth-Korghai hanno un cervello sviluppatissimo e un sistema nervoso altrettanto ben sviluppato. Dato che i nostri corpi sono leggeri, possiamo sopportare pressioni enormi. Il nostro metabolismo dipende dai sali dell’elemento fluorina, che nei nostri mari esiste in abbondanza, come il cloruro di sodio abbonda nei vostri. Sul fondo dei nostri mari ci sono immense grotte naturali che sono diventate le nostre città. Sono molto più vaste delle caverne terrestri. Le più piccole raggiungono un’altezza di dieci chilometri.
“Quando il vostro pianeta era ancora nel periodo dei grandi rettili, la nostra civiltà era già altamente evoluta, ma per un aspetto molto importante la nostra civiltà era completamente diversa da quella terrestre. La mente umana si applica con piacere alla soluzione di difficili problemi tecnici. Il vostro ideale più nobile è la scienza. Invece, noi Nioth-Korghai, siamo interessati unicamente alle dottrine che voi definireste religione e filosofia. Ogni individuo, sul nostro pianeta, vuole comprendere l’universo, e alla fine diventarne parte, formare con esso un tutt’uno. Questo spiega perché la nostra razza non è divisa in sessi come qui sulla Terra. I vostri corpi trasmettono la scintilla vitale durante l’orgasmo che sì verifica al compimento dell’atto sessuale. Ma i Nioth-Korghai ricevono direttamente le energie dell’universo. Si innamorano dell’Universo, non l’uno dell’altro. E nei momenti di suprema contemplazione, concepiscono e vengono fecondati dall’energia vitale dell’universo.
“Mentre apprendevamo i segreti dell’universo, imparammo anche a proiettare le nostre menti su lontane galassie. Visitammo la vostra Terra quando i vostri mari cominciavano appena a raffreddarsi. Fummo noi a insegnare alle creature di Marte, simili a vegetali, come edificare la loro civiltà sotto i mari. Noi abbiamo aiutato gli abitanti del vostro pianeta Plutone a fuggire su un pianeta della stella binaria Sirio, quando il loro mondo perse la sua atmosfera. La nostra più grande impresa fu quella di aiutare l’evacuazione di oltre un migliaio di pianeti della Nebulosa del Cancro prima che questa esplodesse e si tramutasse in supernova.
“Voi terrestri non avete idea dei drammi dello spazio interstellare. La vostra visione è limitata. Ma i Nioth-Korghai hanno visto la nascita e la morte di intere galassie. Abbiamo visto isole celesti nascere dal niente. Questi universi sono creature viventi. Possiedono un loro tipo di vita cosmica, a un livello che gli organismi biologici non riescono a concepire. La religione dei Nioth-Korghai insegna che l’intero universo è un cervello immenso di cui i mondi conosciuti sono soltanto singole cellule.
“Cinquantamila anni fa, la vostra Terra stava avvicinandosi alla fine dell’era glaciale. E gli uomini di quel periodo erano poco più che scimmie… Voi li chiamate uomini di Neanderthal. I Nioth-Korghai decisero che quelle erano le condizioni favorevoli per un grande esperimento: tentare di produrre una forma di vita più intelligente. Questo avvenne durante l’esistenza di Kuben-Droth, uno dei nostri massimi scienziati di ingegneria biologica…”
Fallada interruppe. — Mi sembrava di aver capito che non vi dedicavate alla scienza — disse.
La creatura rimase a lungo in silenzio, e loro temettero che non volesse più parlare. Poi la voce riprese.
— Non abbiamo una tecnologia in senso terrestre. Non ne avevamo bisogno: il mare ci forniva tutto quello che serviva alle nostre necessità più elementari. Ma la scienza sgorga dall’anima e dalla volontà. Il nostro problema fu quello di convincere i vostri uomini dell’età della pietra a sviluppare l’intelligenza. Ma nessuna creature può essere costretta a evolvere contro la propria volontà. Noi dovemmo impiantare una volontà-di-intelligenza in quei vostri progenitori dell’età della pietra, e questo fu possibile unicamente entrando nei loro cervelli, e facendoli sognare. Non potete immaginare le difficoltà che incontrammo. Quegli uomini preistorici riuscivano a sentire intenso piacere ma dimenticavano tutto dopo pochi secondi. Era come cercare di insegnare algebra alle scimmie. Kuben-Droth dedicò metà della sua vita a questo compito, ma purtroppo morì prima d’aver ottenuto i risultati che sperava. Ci vollero settecento anni per produrre un uomo e una donna i cui figli diventarono i capostipiti di una nuova specie di uomini veri. Noi li chiamiamo Esdram e Solaveh. Nella vostra mitologia sono ricordati come Adamo ed Eva.
“Per settecento anni noi avevamo dovuto vivere dentro il cervello e nei corpi di esseri umani. Fu un’impresa pericolosissima. Sostenuti dalle loro energie vitali, godemmo del veleno della loro sensualità, anche se all’inizio ci aveva disgustati. Il vostro mondo era pericoloso e impregnato di violenza, ma era anche molto bello.
“Ma noi eravamo scienziati, e possedevamo abbastanza autocontrollo per sapere che era venuto per noi il momento di abbandonare la razza umana terrestre a se stessa. Lasciammo il vostro pianeta a gruppi di cento, per tornare nel nostro sistema stellare…”
Fallada disse: — Scusate se interrompo un’altra volta, ma Rigel dista dalla Terra centinaia di anni luce. Quanto tempo avete impiegato a fare quel viaggio?
Ancora un lungo silenzio, come se la creatura stesse preparando la risposta. Poi la voce disse: — Voi dimenticate che le energie dell’universo esistono a molti livelli. A livello fisico, l’energia non può raggiungere una velocità superiore a quella della luce. Sul nostro livello, può avere una velocità migliaia di volte maggiore. Il viaggio durò meno di un anno.
“Il nostro gruppo fu l’ultimo a lasciare la Terra. Fummo noi a voler restare il più a lungo possibile. Poi completammo la trasformazione raggiungendo il giusto livello di energia cosmica… potreste chiamarla quinta dimensione… e iniziammo il viaggio.
“Fu durante questo viaggio di ritorno che si verificò l’incidente. Le possibilità erano una su un milione. Non sarebbe dunque dovuto succedere. Eravamo già a metà strada quando passammo a poche centinaia di chilometri da una stella al suo stadio finale: un buco nero. Sono fenomeni fra i più rari nell’universo. Nessuno di noi ne aveva mai incontrati prima. Quelle stelle finiscono fuori dal vostro universo, in un iperspazio privo di dimensioni. Noi decidemmo allora di andare in esplorazione, e questo fu un errore. Alcuni di noi vennero risucchiati in un vortice. Altri, rendendosi conto di quello che stava succedendo ci avvertirono di stare lontani prima di finire nel vortice. Ma era troppo tardi per fuggire. La forza era troppo potente. Tutto quello che potemmo fu ritardare la nostra distruzione. Lo tentammo inserendoci in un’orbita intorno al buco nero. E così continuammo a girargli attorno attirati inesorabilmente dalla sua gravità. Alcuni di noi persero forza e speranza e si arresero. I superstiti continuarono a lottare, decisi a resistere e a mantenere la propria esistenza il più a lungo possibile.
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