In pochi minuti ci furono soltanto le nuvole di polvere delle macchine lanciate a pazza velocità, ma altre rimasero bloccate, con i paraurti ammaccati, mentre i padroni cercavano scampo a bordo di altre macchine.
Mezz’ora più tardi, i giornalisti imprecavano contro i loro colleghi di città: avevano telefonato la loro storia al giornale dal posto più vicino, e ora in redazione tutti la consideravano una cosa da nulla, che non avrebbe di sicuro impressionato la gente. Sì, certo, appena telefonata la faccenda sembrava importante, ma poi per precedenti esperienze, si sapeva che si sarebbe afflosciata, riducendosi a niente. I contadini, tuttavia, continuavano a insistere con gli ambienti responsabili del governo e delle province affinché facessero fronte alla grave epidemia scoppiata tra gli animali. Bisognava rivolgere una interrogazione al Ministero dell’Agricoltura per i raccolti distrutti, e pensare al rischio che correvano gli uomini se orsi e linci abbandonavano le zone selvagge. Ma soprattutto, il Ministero della Sanità doveva preoccuparsi che l’epidemia non si trasmettesse agli uomini.
Mentre i giornalisti si accapigliavano con i burocrati scettici, si ebbero, tra gli spettatori, vari casi letali. Delle salme si occupò un agente, che più tardi si sentì gelare pensando al rischio corso. La gente era venuta per assistere a un avvenimento insolito e molti erano morti proprio per la loro curiosità, convulsi in viso, con la lingua fuori: morti soffocati.
A questo punto, non si poté più non credere. I medici tentarono di stabilire le cause di quell’autoasfissia — non c’erano tracce di violenza sulle vittime — la stampa cominciò a occuparsi della faccenda. Arrivarono gli elicotteri a riprendere la scena dall’alto. I vari Uffici d’Igiene si misero in moto per scoprire quel che era realmente accaduto. Con l’ausilio di maschere e di complicati apparecchi cercavano d’individuare il virus o il germe responsabile dei decessi. Erano tante le bestie uccise che si dovette ricorrere ai bulldozer perché il contagio non si diffondesse.
Lane e la Warren, che si trovavano in Virginia, appresero i fatti del Minnesota dai titoli cubitali dei giornali esposti in un’edicola.
Lane fermò a un distributore per fare il pieno e mentre la pompa era in funzione attraversò la strada e comprò i giornali.
— Devo provare di nuovo a telefonare — disse la Warren, disperata, quando ebbe letto gli articoli e visto le fotografie. — Quegli uomini con i bulldozer, quegli altri che cercano i virus, disturberanno certo i Gizmo mentre si nutrono, proprio come avete fatto voi vicino ai conigli morti. E quelli, furiosi, li attaccheranno. Bisogna avvertirli in qualche modo: mandare della gente ignara a sotterrare quelle bestie è un vero e proprio omicidio.
Lane fece una smorfia. Qualcosa aveva attirato il suo sguardo verso una montagna lontana, chiaramente visibile da quel posto ai margini della cittadina. Osservò con più attenzione: foresta e prati ondeggiavano vagamente e l’ondulazione era più forte al centro di una grande sfera. La palla avanzava, lenta, inesorabile.
— Temo — disse Lane con calma — che quella gente sia molto meno in pericolo di noi. Guardate laggiù.
E puntò il dito. La Warren guardò e lacrime di rabbia impotente le rotolarono lungo le guance.
— Sì, signor Lane — disse Burke con un certo tono tra il soddisfatto e il compiaciuto. — Siamo tutti in pericolo. Quei Marziani, o Venusiani, o che altro sono, stanno sviluppando una vera e propria offensiva generale. La “cosa” contro le pendici del monte è una schiera di Gizmo che si prepara per il giorno “G”, il giorno dei Gizmo. E allora verrà il bello!
I Gizmo non attaccarono. Al mattino, Lane ne individuò una formazione di massa, in movimento lungo una catena di monti. Le stazioni radar degli Stati Uniti segnalarono un numero altissimo di echi sullo schermo. Si muovevano adagio e non erano aerei. Spiegazione fornita: aree ad altissima ionizzazione atmosferica. Esatto, ma, come troppe spiegazioni scientifiche, insufficiente. Si accontentava di descrivere la causa più evidente del fenomeno osservato, senza andare oltre.
Eppure c’era ben di più che una condizione di ionizzazione.
Quel mattino, le aree di ionizzazione erano numerose e vastissime. Anzi, per un certo tempo si temette che disturbassero le regolari operazioni radar. Ma le masse dei Gizmo si spostavano a una velocità massima di cinquanta chilometri all’ora, a seconda dei venti, e quindi era possibile distinguere le tracce lasciate sullo schermo radar dai Gizmo o da un aereo in volo.
In tutte le stazioni vennero registrati sugli schermi più di cinquecento echi simultanei. Impossibile sapere quanti fossero i nuclei distinti. Certo migliaia. Su tutto il paese incombevano masse di Gizmo; forse, meglio, su tutto il mondo. Eppure questi fenomeni rivelati dal radar non erano ancora messi in relazione con l’epidemia scoppiata tra gli animali, con i morti di Serenity, con i casi strani, come l’insolito attacco di asma a Tarzana, in California.
Verso mezzogiorno, Lane fermò la macchina davanti a un negozio e telefonò all’amico, direttore del reparto ricerche di una ditta di prodotti farmaceutici. Coloro che stavano cercando il virus, disse Lane, o seppellendo gli animali morti nel Minnesota, sarebbero caduti vittime, almeno alcuni di loro, della supposta epidemia, e anche i ricercatori muniti di maschera sarebbero stati uccisi da quella stessa morte che cercavano di spiegare. Ma non sarebbe capitato niente a nessuno se la gente avesse tenuto in bocca una sigaretta o un sigaro accesi.
Non osò dire di più. Erano passate appena ventiquattro ore dal suo primo incontro con i Gizmo, e l’esatta cronaca di quelle ore era troppo fantastica perché qualcuno vi prestasse fede.
Dopo la telefonata, Lane puntò a est. Filarono su una strada col fondo di terra battuta e il mondo intorno sembrava pieno di pace. Dai margini della rotabile si alzavano in volo gli uccellini, nei prati pascolavano tranquillamente le mucche, e gli avvoltoi si libravano leggeri nell’azzurro.
Guardò nello specchietto e vide la Warren col capo abbandonato sul sedile, il viso segnato dalla stanchezza, e gli occhi chiusi. Burke stringeva le labbra, pensoso.
Alzò la voce. — Burke — chiamò.
— Sì?
— Cosa state ruminando?
— Non so dove i Gizmo scateneranno l’attacco, ma so che sarà improvviso. Un attacco di sorpresa, e soffocheranno le città con le loro orde rotolanti. Caleranno sulle case, le occuperanno tutte, e la gente finirà massacrata senza neanche sapere cosa sta capitando — sentenziò Burke.
— Pensate che la razza umana sarà distrutta?
— Quasi distrutta! — rispose Burke, sicuro di sé. — Qualcuno, però, riuscirà a sopravvivere e quando i Gizmo attaccheranno, questi scampati risponderanno con artiglierie, bombe incendiarie e lanciafiamme. Ci si metteranno persino i ragazzi con le loro torce, e li spazzeranno via!
— Le torce possono servire per i casi d’emergenza — ribatté Lane — ma ci vuole altro! — e aggiunse: — Un solo essere umano ucciso da quei mostri, un buon cane da caccia ammazzato perché quelli si nutrano di lui… È una cosa intollerabile!
La Warren disse, ad occhi chiusi: — Bisogna scoprire che posto occupavano in un sistema ecologico finora insospettato. Certo sono creature terrestri.
— Derivate dalle divinità pagane? — domandò Lane.
La Warren apri gli occhi. — Probabile. I miti della Grecia e di Roma sono stati spazzati via prima che potessero venire studiati scientificamente. Gli antichi dèi pagani erano semplicemente dei Gizmo. Gli antenati, probabilmente.
La macchina filava veloce. Non era fine settimana e il traffico sulle strade non era intenso. Ma s’incontravano molti autocarri, separati, a coppie o anche in lunghe file. Davanti a loro un grosso autotreno faceva manovra per girare nella loro direzione. Lane rallentò. Con molta difficoltà il pesante veicolo riuscì a invertire la direzione servendosi di una strada laterale che portava a una cascina. Mentre l’autocarro li superava, il conducente fece loro strani segni.
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