Clifford Simak - Camminavano come noi

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Camminavano come noi: краткое содержание, описание и аннотация

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La crisi degli alloggi, che deve essere molto sentita anche negli Stati Uniti, ha probabilmente ispirato a Clifford Simak questo suo recentissimo libro, dove si dimostra come la sempre più difficile situazione in cui si trovano gli abitanti delle moderne metropoli possa avere, in realtà, un’origine extraterrestre, possa dipendere dalle oscure manovre di una razza d’invasori spaziali. E che l’umanità debba infine la sua salvezza non alla propria intelligenza o alle proprie armi, ma a un’altra «razza», tra le meno nobili del nostro pianeta, non è che una delle molte trovate di questo ironico e movimentato romanzo.

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Mi rialzai, indossai cappello e cappotto. Sforzandomi di non notare il buco semicircolare nella moquette, uscii. Un terribile sospetto si era impossessato di me, terrorizzandomi.

Il mio palazzo sorgeva ai margini di una zona di negozi, che si era sviluppata parecchi anni prima, molto prima che a qualcuno venisse in mente di riempire le campagne di caotici centri commerciali. Se il mio sospetto era fondato, dovevo cercare la risposta tra quei negozi.

Partii a caccia della risposta.

9

Un’ora e mezzo dopo, avevo trovato la risposta. Ed era agghiacciante.

Molte ditte di quella zona avevano ricevuto la disdetta. Molte, il cui affitto aveva una scadenza a lungo termine, avevano venduto. Pareva che la maggior parte degli edifici avesse cambiato di proprietà nelle ultime settimane.

Incontrai persone sull’orlo della disperazione, altre già rassegnate. Alcune se la prendevano a morte, altre ammettevano la sconfitta.

— Le dirò — mi confidò un droghiere — forse non è poi così male. Tra tasse, leggi e altre seccature, che gusto c’era a continuare? Certo, ho cercato un altro locale, ma è stato solo un riflesso condizionato, le abitudini sono dure a morire. In ogni caso non se ne trovano. Così realizzo come meglio posso, ritiro il denaro dalla banca e rimango a vedere che succede.

— Ha già dei progetti? — gli chiesi.

— Be’, mia moglie e io in passato abbiamo parlato spesso di prenderci una lunga vacanza, ma senza mai riuscire a farla, perché il negozio mi legava mani e piedi, e trovare dei buoni sostituti era un calvario.

Poi veniva il barbiere, che sventolava le forbici, aprendole e chiudendole freneticamente.

— Madonna! — esclamò. — Non si può più vivere, qui. Quelli là non ti lasciano più fare niente!

Volevo chiedergli chi fossero “quelli là”, ma non mi diede la possibilità di inserire una sola parola nel suo discorso.

— Che questo non è più un bel mestiere — continuò. — Si viene qui solo per un taglio. Qualche shampoo, ma vuoi mettere, una volta si faceva la barba, e poi un massaggio, e poi metti un po’ di brillantina. Adesso, solo tagli. E quelli là non ti lasciano nemmeno più fare questo.

Riuscii finalmente a chiedere chi fossero “quelli là”, ma disse che non poteva dirmelo. Anzi, la domanda lo scocciò, perché pensava che volessi rigirare il coltello nella piaga.

I titolari di due vecchie aziende, tra gli altri, avevano resistito a ripetute offerte, una più lusinghiera dell’altra.

— Vede, signor Graves — disse uno dei proprietari — a un certo punto stavo per accettare. Forse sono stato stupido a rifiutare. Ma sono molto anziano e questa ditta fa parte di me. Se avessi venduto, mi sarebbe parso di aver venduto me stesso. Non so se riesce a comprendere.

— Certo, la capisco — dissi.

Alzò la mano, una mano diafana, segnata da sottili vene blu, passandosela sul volto e sui capelli bianchi che ancora gli ornavano la testa.

— E poi c’è la questione dell’orgoglio — disse. — Orgoglio nel modo di fare le cose. Le assicuro che nessun altro avrebbe potuto portare avanti la ditta come ho fatto io. Oggi non esistono più le belle maniere, non c’è più cortesia, non c’è più stima. Non c’è più l’abitudine di trovare il lato migliore del prossimo. Gli affari sono ridotti a semplici operazioni di ragioneria, compiute da macchine insieme a uomini che, come le macchine, non hanno un’anima. Manca il senso dell’onore, della fiducia, non c’è più moralità. Sembra di stare in mezzo a un branco di lupi.

Mi toccò un braccio con la mano diafana, di cui avvertii appena il tocco.

— Ma mi sta dicendo che tutti i miei vicini hanno ricevuto la disdetta o hanno ceduto?

— Quasi tutti.

— Anche Jake, quello del mobilificio? È una vecchia volpe, ma in fondo la pensa come me.

Gli dissi che Jake non cedeva, insieme ad altri sei o sette.

— Jake è fatto come me — riprese il vecchio. — Riteniamo un privilegio essere commercianti, mentre per gli altri è solo un mezzo per far quattrini. Per Jake però è diverso, perché ha un figlio a cui lasciare l’azienda. Forse è per questo che non molla. Io non ho famiglia, solo una sorella. Quando non ci saremo più, finirà anche l’azienda. Ma finché vivremo, rimarremo al nostro posto, a servire i nostri clienti con tutto il rispetto possibile. Per noi il commercio non consiste solo nel calcolare i guadagni. È un modo per portare un contributo alla civiltà. È la colla che tiene insieme la nostra società, e non esiste nessuna professione più onorevole.

Quel discorso mi suonò come uno squillo di tromba proveniente da secoli passati. Per un attimo, mi parve di vedere sventolare vessilli di altre epoche.

Forse anche il vecchio provò le mie stesse sensazioni, perché aggiunse: — Ma oggi è decadenza dappertutto. Siamo rimasti in pochi al mondo, nascosti chissà dove, a mantenere alta la nostra bandiera.

— Grazie mille — gli dissi. — Mi ha fatto bene sentirla parlare così.

Mentre gli stringevo la mano, mi chiesi perché gli avevo detto quella frase. Certo, quell’uomo aveva fatto o detto qualcosa per ridarmi fiducia. Fiducia in che cosa? Nell’Uomo? Nel mondo? Forse anche in me stesso.

Uscii dal locale e mi fermai un po’ sul marciapiede, rabbrividendo nell’aria fredda del tramonto.

Ormai non erano più semplici nessi casuali. Non si trattava solo della ditta Franklin o del mio appartamento o del bar di Eddy. Non era una situazione limitata a poche persone che non riuscivano a trovare casa.

C’era sotto un piano. Uno scopo malvagio, portato avanti con una determinazione e una metodicità diaboliche.

Da qualche parte, dietro tutta quella manovra, c’era un’organizzazione ben oliata che si muoveva rapidamente e in segreto. A quanto sembrava, tutte le transazioni erano avvenute nelle ultime settimane, e tutte miravano a provocare delle chiusure con date quasi coincidenti.

Una cosa non sapevo, e potevo solo cercare d’indovinarla, ed era se fosse stata una singola persona, un gruppo o un esercito di gente a mettersi in affari per poi chiudere tutte le attività. Avevo cercato di scoprirlo, ma nessuno ne aveva idea. Molti di quelli con cui avevo parlato avevano già lasciato i loro quartieri e non ne sapevano niente.

Dalla cabina del telefono di un negozio chiamai il mio ufficio e chiesi di Dow.

— Dove sei stato? — mi chiese.

— In giro — risposi.

— Qui l’adrenalina è alle stelle — disse Dow. — Hennessey ha comunicato di aver ricevuto la disdetta del contratto d’affitto.

— Hennessey! — Mi chiedo perché ne rimasi sorpreso, sapendo quel che già conoscevo.

— Non è possibile — disse Dow. — Non tutt’e due nello stesso giorno!

Hennessey era il secondo grande magazzino della città. Chiusi Franklin e Hennessey, il centro commerciale sarebbe praticamente diventato un deserto.

— Come mai non hai fatto in tempo a pubblicare l’intervista all’aeroporto nella prima edizione? — gli chiesi, cercando di prendere tempo mentre mi chiedevo quante cose sarebbe stato bene rivelargli.

— L’aereo era in ritardo — rispose.

— Perché non è trapelato niente del “caso Franklin”? — chiesi ancora.

— Sono stato da Bruce — disse Dow. — Mi ha mostrato il contratto in gran riservatezza, pregandomi di non rivelarne l’esistenza, per via di una clausola che annullava automaticamente l’atto, in caso di annuncio prematuro.

— E Hennessey?

— La proprietaria dell’immobile era la First National Bank. Probabilmente avranno inserito la stessa clausola nel contratto. Hennessey potrebbe stare lì ancora un anno, ma dopo?

— L’offerta sarà stata vantaggiosa. O almeno, così alta da indurii ad accettare.

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