Mike Resnick
Il mangiatore d’anime
Esiste un mondo, verso il nucleo della galassia, dove la sera il cielo è tanto luminoso che quasi tutte le città — ma la parola avamposti è un termine più adatto — non si sono mai prese la briga di istallare impianti per l’illuminazione. Le configurazioni stellari sono tutte differenti e risulta estremamente difficile un’astronomia di tipo sofisticato, tuttavia, osservando con un potente telescopio, si riesce a intravvedere il nostro sole, un puntino luminoso all’estremità della costellazione chiamata Naso della Strega.
Il nome di quel mondo è Punto Nord, sebbene non sia né un punto, né situato a nord. È composto da una gran massa di terra, poca acqua, un paio di catene montuose, un mastodontico canyon, e sette centri commerciali, piccoli avamposti fatti di bar, ristoranti, banche, alberghi, bordelli, tane per drogati, ispettorati e stazioni radio. La popolazione fissa di questi centri è formata da funzionali e — non sempre — dai proprietari dei suddetti locali; quella di passaggio, che a volte è inesistente e a volte invece è fittissima ma che in linea di massima si attiene alla media, tra le due, è formata da commercianti, minatori, esploratori, cercatori, giocatori, scaricatori, qualche scienziato fra i più avventurosi e incalliti, oltre a una manciata di vagabondi, avventurieri, disadattati. Tutta questa gente viene da ogni parte della galassia, anche se le orìgini di tutti sono terrestri, e hanno ben poco in comune all’infuon dell’amore per la solitudine e di una speranza, che va sempre più allontanandosi, di una ricchezza improvvisa.
Su Punto Nord il centro abitato più piccolo, più infimo, più sudicio, più sinistro, è Porto Inferno, che fa sporadici sforzi per restare all’altezza del suo nome, e a Porto Inferno l’unico edificio capace di contenere più di trenta persone tutte insieme è l’Emporio di Tchaka.
Questo locale è, in primo luogo, una taverna specializzata nei più esotici beveraggi di un migliaio di mondi, ma a seconda del piano e della stanza in cui ci si trova in quell’incredibile labirinto di piani e di stanze, è anche una fumeria d’oppio, un bordello, un ufficio di cambio, un negozio in cui si vendono antiche mappe.
Il centro finanziario e sociale di Porto Inferno è il bar Tchaka. Qui uomini e donne di ogni estrazione e colore — compresi molti che non sono mai stati visti sulla Terra — s’incontrano, contrattano e qualche volta si azzuffano; qui i mercanti parlano più di mille lingue e contrattano più a segni, gesti e smorfie che non a parole; i vecchi logorati dalla vita trascorrono i loro ultimi anni miserandi raccontando fandonie sulla Bestia dei Sogni e altri mostri della mitologia degli spaziali, sempre più vasta e ricca; qui in questo posto dagli strani odori, male illuminato, è possibile comprare tutto quello che può procurare il denaro, dall’oro alla carne alla virtù.
Ed è qui, nel bar di Tchaka, che noi inizieremo la nostra storia, perché è da qui, più di quattromila anni dopo che l’Uomo ebbe lasciato per la prima volta il sistema solare, che Nicobar Lane cominciò la sua singolare, ossessiva caccia al Mangiatore d’Anime.
Il bar era affollato.
Al banco sedeva un terzetto di cercatori di Rakhvad la cui pelle bluastra era più lucida di quella di qualsiasi altra sottospecie umana; un paio di commercianti, elegantemente vestiti con il bottino derivatogli dai loro ultimi affari, sedevano intorno a un tavolino vicino alla porta dove la luce li rendeva ancora più vistosi; in fondo alla taverna, intenti a giocare a jabob - una sorta di blackjeck in cui la Casa aveva 52 probabilità su cento di vincere — sedevano cinque membri della razza umanoide indigena di Dabih Minor, dagli enormi occhi distanziati da felini e dalle orecchie quasi inesistenti. Due prostitute provenienti da un’altra parte della casa, si riposavano bevendo birra, e fulminando nel contempo con occhiatacce chiunque le guardasse. Uomini provvisti di denaro e uomini al verde, uomini coperti di squame o di pelo, quelli che al momento erano ricchi e quelli che al momento erano poveri, gremivano il locale.
In quella massa d’umanità e semiumanità fece il suo ingresso Ector Allsworth, un omone calvo e imponente con la pelle coriacea di un grigiore mortale. Era considerato ricco anche secondo gli standard di ricchezza della città. Si guardò intorno per un attimo coi suoi occhi gialli, poi si diresse al bar. Il barista gli indicò un tale che sedeva solo a un tavolino in un angolo buio e appartato. Allsworth lo ringraziò con un cenno e si avvicinò all’uomo.
— È vostro? — chiese lasciando cadere sul tavolo un piccolo biglietto da visita color oro.
L’uomo lo guardò per un momento.
NICOBAR LANE
— uccido cose —
Porto Inferno
Punto Nord
— In cosa posso esservi utile? — chiese Lane sorseggiando il suo cognac del Cigno.
— Signor Lane — disse l’altro — bando alle parole inutili. Io sono Ector Allsworth, del Sindacato Vainmill.
— Mai sentito nominare.
— Non ne dubito. Si tratta di una delle numerose società finanziarie controllate da Ilse Vescott. Vi dice niente questo nome?
— Da come mi guardate si direbbe che dovrei conoscerlo — disse Lane.
— È senza dubbio la donna più ricca di tutto il sistema Deluros.
— È parecchio distante da qui — osservò Lane. — Questo è un mondo di frontiera, signor Allsworth. Dovete scusarci se non siamo al corrente della situazione sociale e finanziaria di Deluros. Devo dire, tuttavia che le vostre credenziali mi hanno molto colpito, quindi ditemi tutto quello che posso fare per voi.
— Fra tutte le imprese filantropiche del Sindacato Vainmill, ci sono anche vari musei e zoo — disse Allsworth. — Mi hanno detto che voi siete uno dei migliori cacciatori della zona, e noi, abbiamo bisogno di un certo numero di esemplari.
— Ma, signor Allsworth — obiettò Lane — dovete sapere che io non fornisco esemplari agli zoo. “Cacciatore” è un termine troppo generico.
— E allora cosa siete?
— Uno che ammazza — specificò Lane bevendo un altro sorso di cognac. — Io uccido per vivere. Il che non mi vieta di lavorare per i vostri musei. Di cosa avete tanto disperatamente bisogno da essere pervenuto fino a Punto Nord?
— Prima di tutto mi occorrono tre dozzine di Vermisciocchi — disse Allsworth.
— Si può combinare. Quanto siete disposto a pagare?
— Cinquemila crediti l’uno.
— Niente da fare — disse Lane. — Da queste parti nessuno ha più fiducia della durata della vostra Democrazia. I crediti non valgono la carta su cui sono stampati.
— E va bene — disse Allsworth. — Dite voi.
— Voglio esser pagato in dollari della nuova serie “Maria Teresa” che sono in corso sul sistema Corvus.
— Il sistema Corvus! — esplose Allsworth. — Quel branco di rivoluzionari pazzi!
— Me ne frego della loro politica — ribatté Lane. — A me interessa solo il loro denaro. Dodicimila dollari per ogni esemplare.
Allsworth pensò un attimo, poi fece un segno d’assenso. — Mi occorrono anche cinque Finti Tuffatori.
— Può volerci anche un anno per trovarli.
— Ventimila dollari l’uno e una gratifica del quaranta per cento se me li procura in quattro mesi.
— Può andare, ma scordatevi della gratifica. Può darsi mi ci voglia più di un anno. Altro?
— Solo un’altra cosa ancora.
— Mi stavo chiedendo dove volevate andare a parare.
— Non capisco.
— Vermisciocchi e Finti Tuffatori non sono cose che si trovano all’angolo della strada, ma neanche poi tanto rare da indurre un uomo come voi a venire fin qua solo per dirmi che ve ne occorre qualche esemplare. Potevamo combinare l’affare per radio. Quindi è evidente che volete qualcos’altro.
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