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Clifford Simak: Fuga dal futuro

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Clifford Simak Fuga dal futuro

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Nel giardino di un fotoreporter, ai piedi di una vecchia quercia, si apre a un tratto, come nelle fiabe, un gran buco nero. Ma le creature che ne escono non sono gnomi o folletti, sono uomini e donne, vecchi e bambini che fuggono dal futuro; o, almeno, così dicono. È un’invasione ordinata e pacifica, che pone però ugualmente problemi gravissimi. Possiamo noi, già sovraffollati come siamo, accogliere e mantenere questi milioni di nuovi venuti che dilagano in ogni parte del mondo? E, d’altra parte, chi avrebbe il coraggio di respingere quelli che sono, in fin dei conti, i nostri discendenti? Finché, a sciogliere i nodi e le esitazioni, interviene l’orrendo nemico da cui i profughi fuggivano e che ora si scatena anche nel nostro tempo.

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— Sì, credo che dovremmo riceverlo — convenne con aria grave Sandburg.

— L’idea che a portarlo qui sia un rappresentante di un’agenzia di stampa mi va poco — disse il procuratore generale. — Le agenzie di stampa non sono enti benefici e hanno la tendenza a tenere per sé le notizie importanti.

— Conosco Tom Manning e Molly — disse Wilson. — Non ci porranno condizioni. Forse l’avrebbero fatto se l’uomo avesse parlato prima a Molly, ma lui ha insistito per conferire col Presidente, dicendo che non avrebbe parlato con nessun altro.

— Non lo riceviamo in veste ufficiale, dopo tutto, e quindi non siamo tenuti a prendere per oro colato quel che dice né ad avere degli obblighi nei suoi confronti — intervenne il Segretario di Stato.

— Confesso che sono molto curioso di saperne qualcosa di più su quei tunnel — disse il Segretario alla Difesa.

— Esistono, visto che ne è uscita tanta gente, e finora non si sono dimostrati pericolosi né dannosi. Ma se oltre alla gente cominciasse a uscire qualche altra cosa?

— Cosa, per esempio? — domandò Douglas.

— Non saprei — rispose Sandburg.

— Hai da obiettare, e fino a che punto, Reilly? — domandò il Presidente al procuratore generale.

— Oh, niente di particolare. La mia è solo la reazione istintiva dell’uomo di legge di fronte alle irregolarità.

— Allora credo che lo riceveremo — dichiarò il Presidente. E a Wilson: — Sai come si chiama?

— Maynard Gale. Ha con sé una figlia, Alice.

Il Presidente annuì. — Voi avete tempo di aspettare? — domandò agli altri.

Tutti annuirono.

— Bene — concluse il Presidente. — Starai qui anche tu, Steve.

8

Il villaggio aveva conosciuto la fame, ma ora la fame era finita, perché una notte era accaduto un miracolo. In cielo, proprio alle spalle del villaggio, si era aperto un buco e da quel buco si era riversato un flusso ininterrotto di grano. Il bambino idiota con la gamba anchilosata, che non apparteneva a nessuno, e oltre alla gamba aveva anche il cervello malato, era stato il primo a vederlo. Mentre si aggirava furtivo nella notte, trascinandosi penosamente appresso la gamba invalida alla ricerca di qualche avanzo da mangiare, aveva visto il punto emergere nel chiarore lunare. Si era spaventato e aveva cercato di scappare, ma la fame che gli torceva le viscere gli aveva impedito di correre. Non sapeva cosa stesse succedendo, ma sapeva che era qualcosa di nuovo, di diverso e che forse ci sarebbe stato da mangiare, così non scappò. Per quanto atterrito si era avvicinato strisciando e poi, quando finalmente aveva visto cos’era, si era gettato sul mucchio che nel frattempo era andato accumulandosi. Si era riempito la bocca masticando e annaspando, ingoiando il grano mezzo masticato, soffocandosi, tossendo, ma continuando a riempirsi la bocca non appena aveva la gola libera. Lo stomaco sovraccarico, non abituato a una tale quantità di cibo, si rivoltò, e il bambino rotolò giù dal mucchio e rimase steso bocconi scosso dai conati di vomito.

Fu là che più tardi lo trovarono gli altri e lo spinsero via a calci perché con quel prodigio che si era verificato ed era stato scorto da un uomo il quale era uscito per fare i suoi bisogni, non avevano tempo di badare a quel piccolo storpio idiota che si era aggregato al villaggio, ma non ne faceva parte.

Tutto il villaggio fu immediatamente desto e ognuno arrivò con secchi e giare per portar via il frumento, ma ce n’era molto di più di quanto tutti i recipienti del villaggio potessero contenere, perciò i capi si riunirono per deliberare. Vennero scavate buche in cui fu stipato il grano, il che non era il modo migliore di trattare dell’ottimo frumento, ma dovevano cercare di nasconderlo alla vista degli estranei, e quello era l’unico modo possibile che venne loro in mente sul momento. Poiché la terra era inaridita dalla prolungata siccità, nel terreno non c’erano tracce di umidità che potessero rovinare il frumento, e intanto lo si poteva seppellire fin quando non avessero trovato un altro modo per immagazzinarlo.

Ma il grano continuava a rovesciarsi dal cielo, e la terra era secca e dura da scavare, ed essi non riuscivano a finire il mucchio che continuava a crescere.

Poi, alla mattina, arrivarono i soldati che, respinti gli abitanti del villaggio, cominciarono a caricare il frumento sui camion.

Il miracolo continuava, il grano si riversava ancora dal cielo, ma adesso era un miracolo meno prezioso, in quanto non ne godeva più soltanto il villaggio, ma anche altri.

9

— Immagino che vogliate sapere esattamente chi siamo e da dove veniamo — disse Maynard Gale.

— Sarebbe proprio un ottimo punto di partenza — convenne il Presidente.

— Noi siamo gente semplice e comune che viene dal duemilaquattrocentonovantotto, cioè da un futuro distante circa cinquecento anni da voi. La differenza di tempo fra voi e noi è circa la stessa che intercorre fra la vostra epoca e i viaggi di Cristoforo Colombo.

“Per arrivare qui, ci serviamo di quelli che vi ho sentito definire tunnel temporali, e devo dire che la definizione è abbastanza azzeccata. Noi viaggiamo attraverso il tempo, e io non tenterò nemmeno di cercare di spiegarvi come ciò avvenga. Anzi, se pur tentassi di farlo non ne sarei capace, dal momento che conosco i princìpi temporali solo in linea generale.”

— Dite che viaggiate attraverso il tempo dalla vostra epoca alla nostra — intervenne il Segretario di Stato. — Posso chiedervi quanti di voi hanno intenzione di compiere il viaggio?

— Tutti, signor Williams, se le circostanze, come spero, lo permetteranno.

— Volete dire tutta la popolazione? Avete intenzione di vuotare il mondo del duemilaquattrocentonovantotto di tutta la popolazione umana?

— Questa, signor Presidente, è la nostra più viva speranza.

— E in quanti siete?

— Circa due miliardi. La nostra popolazione, come non avrete mancato di notare, è inferiore a quella attuale, e in seguito ve ne spiegherò il perché…

— Ma perché? — lo interruppe il procuratore generale. — Perché lo fate? Dovete sapere che l’economia mondiale non può reggere la vostra popolazione e la nostra. Qui negli Stati Uniti, forse, che sono uno dei Paesi più ricchi del mondo, la situazione potrà essere tenuta sotto controllo almeno per un certo periodo. Possiamo infatti offrirvi un ricovero e darvi da mangiare. Ma ci sono molte altre zone in cui ciò non sarà possibile nemmeno per una settimana.

— Ce ne rendiamo benissimo conto — disse Maynard Gale — e stiamo facendo il possibile per rimediare. In India, in Cina, in qualche zona dell’Africa e del Sud America, inviamo nel tempo non solo le persone, ma anche scorte di viveri, nella speranza che possano servire. Sappiamo che queste riserve non saranno sufficienti, e sappiamo anche a quali disagi sarà sottoposta l’attuale popolazione del mondo a causa della nostra presenza. Ma dovete credermi quando asserisco che non abbiamo preso questa decisione alla leggera.

— Me lo auguro — disse il Presidente, con una certa durezza.

— Credo — continuò Gale — che nella vostra epoca abbiate speculato sulla possibilità o meno che esistano altre intelligenze nell’universo, giungendo alla conclusione pressoché unanime che devono essercene. Questo fa sorgere la domanda: perché, se esistono, questi esseri intelligenti non ci hanno cercato, non sono venuti a visitarci? La risposta, ovviamente, è che lo spazio è enorme e altrettanto lo sono le distanze fra le stelle, e inoltre il nostro sistema solare si trova all’estremità di uno dei bracci della galassia, molto lontano dalla densità stellare del nucleo galattico, dove deve essersi sviluppata in primo luogo l’intelligenza. Seguono poi gli interrogativi sul tipo di gente — se così possiamo chiamarla — che potrebbe venirci a visitare. E a questo punto la risposta pressoché unanime è che se, col tempo, una razza è progredita al punto da scoprire il modo di viaggiare fra le stelle, deve anche essere pervenuta a un punto di tale sviluppo etico e sociale da non costituire una minaccia.

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