Clifford Simak - Fuga dal futuro

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Fuga dal futuro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel giardino di un fotoreporter, ai piedi di una vecchia quercia, si apre a un tratto, come nelle fiabe, un gran buco nero. Ma le creature che ne escono non sono gnomi o folletti, sono uomini e donne, vecchi e bambini che fuggono dal futuro; o, almeno, così dicono. È un’invasione ordinata e pacifica, che pone però ugualmente problemi gravissimi. Possiamo noi, già sovraffollati come siamo, accogliere e mantenere questi milioni di nuovi venuti che dilagano in ogni parte del mondo? E, d’altra parte, chi avrebbe il coraggio di respingere quelli che sono, in fin dei conti, i nostri discendenti? Finché, a sciogliere i nodi e le esitazioni, interviene l’orrendo nemico da cui i profughi fuggivano e che ora si scatena anche nel nostro tempo.

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— Jim, bisogna che ci pensi l’esercito. Nessun altro è in grado di agire tanto in fretta. Dobbiamo sistemarli e tenerli uniti. Non possiamo lasciare che si sparpaglino. È necessario tenerli sotto controllo, almeno per un certo tempo, finché non sapremo esattamente cosa sta succedendo.

— Forse dovremo chiamare la Guardia Nazionale.

— Lo penso anch’io — disse il Presidente. — Ricorri a tutte le risorse di cui disponi. Avete dei ricoveri gonfiabili, no? E per i trasporti e i viveri?

— Siamo in grado di far fronte alla situazione per qualche giorno, anche una settimana. Dipende da quanti sono. Ma poi ci occorrerà aiuto. L’Agricoltura. Il Benessere. Tutti dovranno darci una mano, se appena possono. Ci vorranno molto personale e molte scorte.

— Bisogna che cerchi di cavartela alla meglio finché non escogiteremo qualche progetto — disse il Presidente. — Non preoccuparti per la procedura. Vedrò di appianarti tutto. Parlerò con gli altri. Forse sarà bene che ci troviamo verso il tardo pomeriggio o stasera. Tu sei il primo che ha chiamato. Gli altri finora non si sono fatti vivi.

— La CIA? L’FBI?

— Suppongo che si muoveranno anche loro, ma finora non ne ho saputo niente. Comunque, si metteranno senz’altro in contatto.

— Signor Presidente, avete idea…

— Nemmeno l’ombra. Appena saprò qualcosa, ti riferirò. E voialtri, appena vi mettete in moto, avvisatemi. Conto su di te, Jim.

— Provvedo subito.

— Bene. Ci vediamo.

L’interfono tornò a ronzare.

— C’è Steve — disse la segretaria del Presidente.

— Che entri.

Quando Steve Wilson fu entrato, Henderson gli indicò una sedia. — Accomodati, Steve. Cosa mi dici?

— La faccenda sta assumendo proporzioni imponenti. Hanno invaso tutti gli Stati Uniti e l’Europa. Sono arrivati in Canada, in qualche località del Sud America. In Russia. A Singapore. A Manila. Nessuna notizia, invece, almeno finora, dalla Cina e dall’Africa. E nessuna spiegazione. È fantastico. Incredibile. Vien voglia di dire che non è vero. Invece lo è.

Il Presidente si tolse gli occhiali e li depose sulla scrivania, per poi spingerli avanti e indietro.

— Ho parlato con Sandburg. L’esercito provvederà a fornirli di un ricovero, a nutrirli e alle altre necessità. Come sono le condizioni meteorologiche?

— Non ho guardato il bollettino — rispose Wilson — ma stamattina la radio ha detto che fa bel tempo dappertutto, fuorché sul Pacifico nord-occidentale, dove piove. Ma là piove sempre.

— Ho cercato di mettermi in contatto col Segretario di Stato — disse il Presidente — ma non ci sono riuscito. Williams è a Burning Tree. Ho mandato qualcuno a prenderlo. Ma perché capita sempre tutto di domenica? Immagino che la stampa si stia dando da fare.

— L’atrio è pieno di cronisti. Fra un po’ verranno qui a bussare. Bisognerà che li riceva. Li tratterrò per un po’, ma per le sei al più tardi si aspettano una dichiarazione.

— Di’ che facciamo tutto il possibile, che stiamo esaminando la situazione, che l’esercito sta già dandosi da fare per aiutare quella gente. Sottolinea la parola aiutare. Non li rinchiudiamo in un campo di concentramento. Li aiutiamo. È probabile che si chiami la Guardia Nazionale per il servizio d’ordine. Starà a Jim decidere.

— Può darsi che fra un’ora o due avremo notizie più precise.

— Speriamo. Tu ti sei fatto qualche idea, Steve?

L’addetto stampa scrollò la testa.

— Be’, non ci resta che aspettare. Però mi pare incredibile dovermene star qui all’oscuro di tutto.

— Vi toccherà anche parlare alla televisione, signor Presidente. La popolazione se lo aspetta.

— Già, me l’immagino.

— Avvertirò tutte le stazioni.

— Sarà meglio che parli con Londra e Mosca e forse anche con Parigi e Pechino. Ci siamo dentro tutti, e dobbiamo agire all’unisono. Ci penserà Williams appena arriva. Io chiamerò Hugh, all’ONU, per vedere cosa ne pensa. Hai idea di quanti ne siano arrivati?

— La UPI ha fatto una stima. Dodicimila all’ora. In un posto. Ma arrivano almeno in un centinaio di posti.

— Per l’amor di Dio! — esclamò il Presidente. — All’incirca un milione all’ora. Come farà il mondo a provvedere a tutti loro? Non abbiamo abbastanza ricoveri né viveri. Ma perché credi che siano venuti? Se arrivano dal futuro, dovrebbero disporre di dati storici e sapere che razza di problemi creerà la loro presenza.

— Cause di forza maggiore — disse l’addetto stampa. — Spinti dalla disperazione. Sicuramente sanno che le nostre risorse sono limitate e che non possiamo provvedere anche per loro. Se sono venuti, è chiaro che si tratta di una questione di vita o di morte.

— I figli dei nostri figli se vengono davvero dal futuro, allora sono i nostri discendenti e non possiamo voltar loro le spalle.

— Speriamo che la pensino tutti così — disse Wilson. — Se continuano ad arrivare con questo ritmo, metteranno in difficoltà la nostra economia, e ne nasceranno astio e risentimento. Si parla tanto dell’abisso fra le attuali generazioni. Pensate a quanto dev’essere più profondo quando l’abisso non è solo fra due generazioni ma molte di più.

— Le varie chiese potranno essere di grande aiuto, se saranno disposte a farlo — disse il Presidente. — Ma se rifiutassero, le cose potrebbero mettersi male. Se qualche predicatore si mette a blaterare dal pulpito contro di loro, siamo fritti.

— Voi state pensando a Billings — disse Wilson, con un sorriso. — Ma non preoccupatevi. Gli parlo io. Eravamo compagni d’università, e non ci siamo mai persi completamente di vista. Però non posso promettervi niente.

— Fa’ tutto il possibile. Cerca di farlo ragionare. Se rifiuta di capire il tuo punto di vista, vedi di trovare qualcuno capace di persuaderlo. Ma più di tutto mi preoccupano quelli del Benessere, che vorranno costringerci a toglierci il pane di bocca per nutrire tutta quella gente, e i Sindacati che saranno preoccupati per tutta questa manodopera extra. Ma i sindacalisti sono gente coi piedi per terra, con cui si può ragionare. Se ne intendono di problemi economici e non mancano di buonsenso.

L’interfono tornò a ronzare, e il Presidente premette il pulsante.

— È in linea il Segretario di Stato Williams, signor Presidente.

Wilson si alzò per andarsene. Il Presidente sollevò la cornetta del telefono, ma prima di rispondere disse a Wilson: — Resta a portata di mano.

— Non dubitate — rispose l’altro.

4

Tutte le spie luminose del telefono di Judy erano accese. Lei stava parlando pacatamente al microfono. Il bordo della sua scrivania era inghirlandato di appunti.

Quando Wilson entrò nell’ufficio, Judy smise di parlare, mentre le spie luminose continuavano ad accendersi e a spegnersi.

— L’atrio è pieno — disse Judy. — C’è un messaggio urgente da parte di Tom Manning. Dice che è importantissimo. Devo chiamarlo?

— Continua il tuo lavoro — disse Wilson. — Lo chiamo io.

Andò a sedersi alla sua scrivania e prese il telefono.

— Tom, qui Steve. Judy dice che è importante.

— Credo di sì — disse Manning. — Molly ha pescato un tizio che a quanto pare è uno dei capi di quelli arrivati in Virginia. Non so quali siano le sue credenziali, posto che esistano, ma sta di fatto che vuole parlare col Presidente. Dice che è in grado di spiegare. Anzi, insiste sul fatto di parlargli per dare una spiegazione.

— Ha parlato con Molly?

— Un po’, ma non di cose importanti.

— E deve proprio parlare col Presidente?

— Così dice. Si chiama Maynard Gale. È venuto con una figlia che si chiama Alice.

— Di’ a Molly di portarli qui. Ma che entrino dal retro. Avvertirò le guardie. Intanto vedo quel che si può fare.

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