Clifford Simak - Fuga dal futuro

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Fuga dal futuro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel giardino di un fotoreporter, ai piedi di una vecchia quercia, si apre a un tratto, come nelle fiabe, un gran buco nero. Ma le creature che ne escono non sono gnomi o folletti, sono uomini e donne, vecchi e bambini che fuggono dal futuro; o, almeno, così dicono. È un’invasione ordinata e pacifica, che pone però ugualmente problemi gravissimi. Possiamo noi, già sovraffollati come siamo, accogliere e mantenere questi milioni di nuovi venuti che dilagano in ogni parte del mondo? E, d’altra parte, chi avrebbe il coraggio di respingere quelli che sono, in fin dei conti, i nostri discendenti? Finché, a sciogliere i nodi e le esitazioni, interviene l’orrendo nemico da cui i profughi fuggivano e che ora si scatena anche nel nostro tempo.

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— Volete dire che tutti gli abitanti del mondo futuro si rifugiano da noi? Quanti sono?

— Due miliardi circa, credo.

— Ma, signor Presidente, come potremo provvedere a tutta quella gente?

— E proprio per questo che vi ho chiamato. Sembra che non abbiano intenzione di restare qui a lungo. Vogliono tornare ancora più indietro nel tempo… fino a venti milioni di anni fa. Ma hanno bisogno della nostra collaborazione. Devono costruire nuovi tunnel temporali e gli occorrono mezzi e attrezzature da portare con sé.

— Ma noi non possiamo costruire tunnel temporali.

— Ce lo insegneranno loro.

— Costeranno un mucchio di soldi, sia di manodopera sia di materiale. Sono in grado di pagare?

— Non lo so. Non ho pensato di chiederlo. Ma non credo. Nonostante questo, bisognerà che li aiutiamo. Non possono rimanere qui. Siamo già in troppi.

— Credo di cominciare a capire perché mi avete telefonato.

Il Presidente rise. — Non ho solo bisogno di voi, Terry, ma anche degli industriali e di tanti altri. Però voglio sapere in anticipo fino a che punto siete disposti a collaborare. Potreste venire qui? Indirò una piccola riunione.

— Certamente. Fatemi sapere quando, anche se non so bene cosa potrò fare per voi. Comunque, mi guarderò intorno, parlerò con qualcuno… cosa avete in mente, di preciso?

— Non lo so ancora bene, e bisognerà che qualcuno mi aiuti. Da soli, non possiamo assumerci l’onere di tutto. Il governo non può sobbarcarsi tutte le spese, e non penso solo alla costruzione dei tunnel. Non ho la minima idea di quanto verrà a costare tutta l’impresa, ma sarà di sicuro una spesa enorme. I contribuenti non possono sopperire da soli, per cui qualcun altro dovrà aiutarci: i sindacati e l’industria, in primo luogo. Ci troviamo a dover affrontare una crisi di enorme portata che richiederà ricorso a misure straordinarie. Non so per quanto tempo potremo mantenere quella gente.

Ma non ci siamo solo noi — disse Roberts. — Ci sono anche le altre nazioni.

— È vero. Anche loro dovranno fare qualcosa. Se ce ne fosse il tempo, potremmo indire una conferenza internazionale, ma andrebbe per le lunghe, e invece dobbiamo agire in fretta. Almeno in principio dovremo partire su scala nazionale.

— Avete parlato con altri Paesi?

— Con la Gran Bretagna e la Russia — disse il Presidente. — Mi metterò in comunicazione con altri in seguito. Ma non ho parlato di questo. Prima sarà meglio che escogitiamo un piano, poi vedremo cosa ne pensano gli altri. L’importante è mettersi in moto immediatamente e lavorare senza perdere tempo.

— Siete sicuro che quella gente sia in grado di insegnarci a fabbricare i tunnel?… Signor Presidente, mi sembra roba da pazzi. Li vedete gli operai americani che costruiscono tunnel temporali? Pare un sogno, o uno scherzo di cattivo gusto.

— Purtroppo non è così. Siamo nei pasticci, Terry. Non so fino a che punto siano grossi, perché immagino che ci vogliano un paio di giorni per afferrare in pieno la situazione. Quel che vi chiedo, ora come ora, è di escogitare qualche idea, di valutare le nostre possibilità. Vi farò sapere quando dovrete venire. Per adesso sarebbe inutile; mi metterò in contatto appena ne saprò abbastanza da indire la riunione.

— Sempre a vostra disposizione, signor Presidente — disse Roberts.

Il Presidente riappese e chiamò Kim all’interfono. — Di’ a Steve di venire.

Quando Steve entrò, gli chiese: — Hai già parlato alla stampa?

— No, non ancora. Continuano a bussare, ma non li ho fatti entrare. Non ho avuto il fegato di affrontarli con quel poco che mi avete concesso di dire. Speravo…

— La tua speranza è stata esaudita — tagliò corto il Presidente. — Puoi dire tutto, salvo due cose: perché sono stati piazzati i cannoni — deve sempre trattarsi di una misura precauzionale — e il fatto che Gale ha esortato a tornare indietro nel tempo anche noi.

— Quindi non posso dire perché scappano dal futuro? Nessuna allusione agli invasori?

— No. Limitati a dire che il motivo dell’esodo non è stato ancora chiarito e che bisogna indagare più a fondo, prima di sapere esattamente di cosa si tratta.

— Non si contenteranno, ma cercherò di fare del mio meglio. E per la vostra comparsa alla TV? HO avvisato le reti principali di riservarvi una mezz’ora in serata.

— Va bene alle dieci? Forse è un po’ tardi, ma…

— No, andrà bene.

— Allora prendi gli accordi del caso. Di’ che basterà un quarto d’ora.

— Butterò giù una “scaletta” sulla quale basare le vostre dichiarazioni.

— Hai già troppo da fare. Incaricherò Brad e Frank di farlo.

— La stampa vorrà sapere se avete già parlato con qualcuno.

— Ho parlato con Sterling a Londra e Menkov a Mosca. Puoi dire che Menkov ha parlato con l’equivalente russo del nostro Gale, il quale gli ha raccontato in linea di massima la stessa storia. Quando ho parlato con Sterling, nessuno dei profughi si era ancora messo in contatto col governo di Londra. Puoi aggiungere che in serata parlerò anche con i capi di altri governi.

— È in previsione una riunione del consiglio dei ministri? Sono sicuro che me lo domanderanno.

— Ho già conferito coi Segretari dei vari Dipartimenti, singolarmente o in gruppo. Adesso è la prima volta da che è scoppiata la grana che non ho nessun ministro qui con me. Parlerò anche con l’opposizione, naturalmente. Ti pare che ci sia altro, Steve?

— Mi faranno di sicuro un sacco di altre domande. Farò del mio meglio. Non è possibile prevederle tutte. Dovranno contentarsi.

— Steve, cosa te ne pare di Gale? Come lo giudichi?

— È difficile. Non mi sono fatto un’impressione ben definita. Solo, non vedo cosa possa aver da guadagnare a non dire la verità, o almeno quella che lui crede sia la verità. Comunque la si consideri, quella gente deve avere un motivo molto grave per scappare in massa, e ha bisogno di aiuto. Forse ci nascondono qualche cosa, forse la situazione è un po’ diversa da come ce l’ha dipinta Gale, ma credo che in sostanza sia tutto vero. Per quanto sia dura da mandar giù, non posso fare a meno di credergli.

— Spero che sia davvero così — concluse il Presidente. — Perché se ci hanno ingannato, per noi saranno guai seri.

18

La macchina guidata da un autista risalì la curva del viale per fermarsi davanti alla bella palazzina riparata dalla vista dei passanti da un folto gruppo d’alberi e di fiori. Quando si fu fermata davanti al porticato, l’autista scese e andò ad aprire la portiera posteriore. Il vecchio seduto all’interno si districò e scese aiutandosi col bastone. Respinse con gesto di stizza la mano dell’autista pronto ad aiutarlo.

— Riesco ancora a farcela da solo — disse ansimando, quando fu finalmente riuscito a scendere e si trovò, un po’ barcollante e malsicuro, in piedi sul viale. — Aspettami qui — aggiunse. — Cercherò di far presto, ma tu, comunque, non ti muovere.

— Certo, senatore — disse l’autista. — Ma quei gradini… mi sembrano piuttosto ripidi.

— Ti ho detto di restare qui — disse il senatore Andrew Oakes. — Vatti a sedere al tuo posto. Quando verrà il giorno in cui non sarò più capace di salire le scale, me ne starò a casa mia e lascerò che i giovani prendano il mio posto. Ma adesso è ancora presto — continuò, con un leggero affanno. — Forse fra un paio d’anni. Chissà. Dipende da come mi sentirò.

Si avviò con passo malfermo verso la gradinata, appoggiandosi pesantemente al bastone. Salì il primo gradino, poi si fermò prima di affrontare gli altri. Man mano che superava un gradino, si fermava a guardarsi intorno, come se volesse scoprire se c’era qualcuno che osava guardarlo. Le sue precauzioni erano inutili, in quanto non c’era nessuno, oltre al suo autista, che si era rimesso al posto di guida ed evitava ostentatamente di guardare dalla sua parte.

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