Clifford Simak - Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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Poco dopo mezzogiorno arrivò alla duna dove avevano trovato la macchina camminante sfasciata. Il teschio dallo scintillante dente d’oro gli rivolse un sogghigno idiota. Lansing non si fermò.

Arrivò alle dune e le affrontò come un disperato. Poche ore appena, si disse. Sarebbe arrivato alla torre prima che tramontasse il sole, e avrebbe potuto stringere Mary tra le braccia. Dopo un’ora o poco più, dalla cima d’una delle dune più alte scorse la torre, e quella vista lo spronò a procedere.

Durante l’intera marcia attraverso il deserto aveva conservato nella mente la visione piuttosto nebulosa di Mary che gli correva incontro e lo chiamava gioiosamente, con le braccia tese, mentre lui scendeva l’ultimo tratto. Ma non fu così. Mary non gli corse incontro per accoglierlo. Non c’era traccia di lei. Dal bivacco non saliva neppure un filo di fumo. Non c’era nessuno, neppure Sandra.

E poi, mentre scendeva correndo verso l’accampamento, vide Sandra. Era raggomitolata contro la base della torre che cantava. Non si muoveva. Il vento agitava lievemente la sciarpa che portava al collo, ed era tutto.

Lansing si fermò, barcollando. Una mano gelida gli toccò il cuore, un brivido di panico lo scosse.

— Mary! — gridò. — Mary, sono tornato! Dove sei?

Mary non rispose. Nulla gli rispose.

Sandra doveva sapere, si disse. Doveva essersi addormentata, ma l’avrebbe svegliata, e lei gliel’avrebbe detto.

Le s’inginocchiò accanto e la scosse delicatamente. C’era qualcosa di strano… Sandra non pesava nulla. La scosse ancora e la spinta la fece girare. Lansing vide la faccia. Era la faccia raggrinzita d’una mummia.

Ritrasse di scatto la mano dalla spalla di Sandra, e il viso ricadde, non più rivolto verso di lui. Morta, pensò… come se fosse morta da mille anni! Incartapecorita nei suoi indumenti che svolazzavano al vento, un guscio vuoto dal quale erano state risucchiate completamente la vita e la sostanza!

Si alzò di nuovo e si voltò di scatto. Vacillando, si accostò al fuoco e tese le mani sopra le ceneri grige. Non sentì calore. Frugò nella cenere, e il fuoco era morto, non era rimasta neppure una brace. Accanto al fuoco spento c’era uno zaino, uno soltanto. Quello di Sandra, molto probabilmente. Lo zaino di Mary non c’era più.

Si lasciò cadere subito. Era stordito… insensibile all’orrore e all’angoscia.

Sandra era morta e Mary non c’era più e il fuoco… il fuoco, pensò, doveva aver impiegato ore per estinguersi completamente. Mary se n’era andata molte ore prima.

La sua mente si liberò, in parte, dal torpore, e il terrore si avventò a colmare il vuoto, ma Lansing lottò per scacciarlo.

Non aveva tempo per abbandonarsi al terrore o al panico. Era il momento di riflettere, di cercare di riflettere, di ricomporre tutti i frammenti, e cercare di capire cos’era accaduto.

Il campo era abbandonato. Jorgenson e Melissa non c’erano, ma questo non significava nulla. Forse sarebbero tornati più tardi. Quando erano partiti s’erano accordati tutti per ritornare entro quattro giorni, e il quarto giorno non era ancora finito.

Sandra era morta, e sembrava morta da un tempo lunghissimo sebbene non fosse possibile. Era ancora viva quattro giorni prima, meno di quattro giorni prima. La torre, si disse amaramente, illogicamente, l’aveva risucchiata e s’era nutrita di lei, l’aveva consumata fino a non lasciare più nulla. L’aveva risucchiata, forse, perché Sandra aveva voluto così, si era abbandonata spontaneamente, in omaggio alla percezione della bellezza che aveva scoperto nella torre.

Mary non c’era più, ma non era fuggita. Non era fuggita urlando nel deserto. Il suo zaino era scomparso. L’aveva preso e se n’era andata. Ma perché non aveva lasciato qualcosa, per dirgli dov’era andata? Magari un biglietto trattenuto da una pietra.

Lansing si alzò e cercò e non trovò nulla; e poi, per essere sicuro, cercò di nuovo e non trovò nulla anche questa volta.

Forse Mary era andata a nord, pensò per incontrare lui e Jurgens sulla via del ritorno. O forse era andata a ovest, sperando di trovare Jorgenson e Melissa, ma sembrava improbabile, perché non aveva avuto simpatia per quei due. O forse era tornata alla seconda locanda, e adesso era là ad attenderlo.

Prima le cose più importanti, si disse Lansing, sorpreso della propria calma. Innanzi tutto sarebbe ritornato all’inizio delle dune e avrebbe cercato, per vedere se fosse riuscito a trovare le tracce di Mary. Se era andata a nord, sicuramente aveva trovato le loro tracce e le aveva seguite; ma in questo caso l’avrebbe incontrata durante il tragitto di ritorno.

Comunque andò a cercare e non trovò altre tracce che le sue e quelle di Jurgens. Le esaminò attentamente, per accertarsi che non ve ne fossero alcune lasciate da una terza persona. Ma non c’erano. C’erano soltanto le loro orme che andavano a nord, e le sue, al ritorno. Nessun altro era passato di là.

Stava calando la notte quando tornò al campo. Per qualche tempo rimase in piedi a riflettere, cercando di pervenire a una decisione. Finalmente decise, e fu una decisione difficile. Ma, mentre cercava di dominare il rimorso, si disse che era l’unica cosa che poteva fare.

Era sfinito. Per quattro giorni aveva camminato, riposando e dormendo pochissimo. Doveva recuperare le forze. Non sarebbe stato d’aiuto a Mary o a se stesso se fosse ripartito immediatamente, stravolto dal sonno, confuso e intontito. L’indomani mattina forse sarebbero tornati Melissa e Jorgenson, e l’avrebbero aiutato nella ricerca. Ma questo, si disse, non era un fattore molto importante: non aveva una grande opinione di quei due, come non l’aveva avuta Mary. Non gli sarebbero stati di molta utilità.

Trovò un po’ di legna e accese il fuoco, fece bollire il caffè, mise a friggere il prosciutto, preparò qualche focaccia e aprì una lattina di salsa di mele… il primo pasto abbondante dopo diversi giorni.

Il pensiero di Mary non abbandonava mai la sua mente; ma si ostinava a credere che non le fosse accaduto nulla, che dovunque fosse doveva essere sana e salva. Cercò di scacciare dalla mente il terrore e la preoccupazione, ma ci riuscì solo in parte.

Si chiese che cosa poteva averla indotta ad andarsene. Qualunque fosse stata la ragione, doveva essere stata convincente, perché in circostanze normali sarebbe rimasta ad attendere il suo ritorno. Doveva aver avuto un motivo pressante per andare, e Lansing cercò di immaginare qualche possibilità. Ma era inutile, a volte terrificante; e subito dopo avere incominciato, Lansing cercò di non pensarci più.

E si chiese anche cosa doveva fare di Sandra. Doveva seppellirla, scavare una fossa e coprirla, e recitare qualche parola impacciata e inutile? Per qualche ragione che non riusciva a comprendere chiaramente, non gli sembrava giusto. Più ci pensava, e più gli pareva che fosse un sacrilegio disturbarla. Forse era meglio lasciarla dov’era, come una vittima sacrificale raggrinzita (e santificata?) ai piedi della torre che cantava. Era un pensiero che non aveva senso, e tuttavia pareva avere una sua logica involuta e demenziale. Che cosa avrebbe desiderato Sandra? si chiese, e non trovò una risposta. Non l’aveva conosciuta abbastanza per intuire che cosa avrebbe desiderato; ed era un peccato, si disse. Forse non aveva conosciuto abbastanza bene nessuno di loro, non li aveva capiti come avrebbe dovuto. Forse, si chiese, per conoscere bene una persona era necessaria tutta una vita?

Di sei che erano, quattro erano andati, e restavano soltanto lui e Mary. Adesso anche Mary se n’era andata, ma l’avrebbe ritrovata, si disse, l’avrebbe ritrovata.

Quando ebbe finito di mangiare, s’infilò nel sacco a pelo. Era quasi addormentato quando lo destò di colpo il singhiozzo del Lamentatore. Non era vicino; proveniva da una certa distanza, lungo la strada, ma era inconfondibile, nel silenzio della notte.

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