Si fermò, fissando con un’occhiata di fuoco la scena, poi si appoggiò allo schienale. Arnie guardava innanzi a sé, senza espressione, come aveva fatto durante l’intero discorso.
— E adesso, signori, risponderemo alle domande specifiche che vorrete farci.
La scena sul monitor cambiò. Ora si vedeva l’auditorio di Copenaghen dove aspettavano i rappresentanti della stampa. Sedevano sulle loro sedie, in file ordinate, in atteggiamento di attenzione silenziosa, e i secondi scorrevano lentamente. Davvero sconcertante constatare come le onde radio, pur viaggiando alla velocità della luce, impiegassero secondi misurabili a percorrere l’immensa distanza tra la Luna e la Terra… Poi, all’improvviso, la scena cambiò bruscamente e un certo numero di giornalisti balzò in piedi, gridando per attrarre l’attenzione. Le telecamere inquadrarono uno di essi, un uomo corpulento, con una gran massa di capelli. Sullo schermo, sotto di lui, apparve, in lettere bianche, la scritta: STATI UNITI D’AMERICA.
— Potete precisare chi sarebbe responsabile dei sunnominati «atti di violenza» in Danimarca? La definizione di «potenze nazionali», per usare le vostre stesse parole, potrebbe essere applicata a qualsiasi nazione. Perciò, implicitamente, tutte le nazioni si sentono condannate. E questo è estremamente spiacevole… — concluse, fissando ferocemente la telecamera.
— Dolente che la prendiate così — replicò Holm, con calma — ma questa è la verità. Sono state compiute aggressioni, sono morte diverse persone. Ritengo che sia inutile entrare in dettagli. La stampa mondiale avrà certo domande più importanti di questa da farmi.
Prima che il cronista furente potesse ribattere, fu inquadrato un altro tipo, il rappresentante dell’Unione Sovietica. Se era lui pure irritato, riuscì a nasconderlo bene.
— Naturalmente, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si schiera con le nazioni amanti della pace nel condannare le aggressioni verificatesi in Danimarca! — dichiarò, lanciando uno sguardo carico d’odio al cronista americano, che lo ricambiò. Poi continuò: — Ecco una domanda più importante: che cosa intende farne il vostro paese, della propulsione Daleth?
— Intendiamo sfruttarla commercialmente — rispose Holm, quando furono trascorsi i secondi necessari — seguendo l’esempio delle navi danesi che resero possibili gli scambi commerciali con l’Asia orientale durante il secolo scorso. È stata formata un’apposita società, la Det Forenede Rumskibsselskab , società delle navi spaziali unite, tra il governo e l’industria privata. Intendiamo aprire all’uomo la strada della Luna e di altri mondi. Per il momento, naturalmente, non ci sono ancora progetti specifici, ma siamo certi di avere davanti grandi possibilità. Materie prime, ricerche, turismo… chissà dove si finirà? In Danimarca tutti ne siamo entusiasti, perché ci sembra di poterne trarre vantaggi a non finire.
— Per la Danimarca! — disse il russo prima che venisse inquadrato un altro collega. — Questo monopolio non significa forse che voi impedirete al mondo di trarre la sua giusta parte di profitto da questa avventura? Non dovreste voi, in quanto paese socialista, dividere con gli altri la vostra scoperta… secondo il vero spirito socialista?
Leif Holm annuì, solennemente. — Molte delle nostre istituzioni pubbliche sono socialiste, ma ne abbiamo anche un notevole numero di private e tanto capitaliste da impedirci di rinunciare a quello che voi chiamate «monopolio»… È un monopolio solo nel senso che saremo noi a far funzionare, con un equo profitto, le navi a propulsione Daleth, che apriranno il sistema solare ai paesi della Terra. Cercheremo di non essere troppo avidi, e abbiamo già stipulato un accordo con i paesi scandinavi per la costruzione di tali navi. Siamo certi che questa invenzione andrà a beneficio del genere umano, e consideriamo nostro dovere mettere in pratica tale convinzione.
Il rappresentante della stampa israeliana fu inquadrato nel mezzo di una folla di colleghi eccitati e gesticolanti, e si volse verso la telecamera. Aveva un atteggiamento distaccato, da studioso, con la tendenza a sbirciare al di sopra degli occhiali senza montatura, ma Arnie lo riconobbe come uno dei commentatori più acuti del paese.
— Se questa scoperta è di tale vantaggio per il genere umano, perché non è stata resa accessibile al mondo intero? La mia domanda è rivolta al professor Klein.
Arnie ebbe solo pochi secondi per prepararsi alla risposta, ma si era già aspettato una domanda del genere. Guardò deciso la telecamera e parlò, lentamente, con chiarezza.
— L’effetto Daleth è qualcosa di più di un sistema di propulsione: potrebbe essere sfruttato facilmente per distruggere. Un paese che si proponesse di conquistare il mondo intero, potrebbe riuscirci in poco tempo, utilizzando questo effetto. E magari annientare il nostro pianeta durante tale tentativo.
— Volete precisare meglio? Sono ansioso di sapere come questa specie di motore a razzo possa fare tutto ciò che dite.
Il cronista sorrise, ma Arnie non si lasciò ingannare. Tutti e due ne sapevano assai più sull’effetto Daleth di quanto volessero ammettere.
— Le sue possibilità sono incalcolabili, perché non è affatto una «specie di motore a razzo». Si tratta di un principio nuovo. Può servire a sollevare una nave, piccola… o grande. E magari anche un’intera fortezza in cemento armato e acciaio, con pesantissimi cannoni. E a trasportare poi questa in una parte qualsiasi del mondo in pochi minuti. E la fortezza potrebbe restarsene sospesa nello spazio in cima al pozzo di gravità, al sicuro da qualsiasi rappresaglia, persino da un attacco con missili dotati di armi nucleari, e distruggere qualsiasi obiettivo con semplici granate. O, se questo non vi sembra sufficientemente atroce, vi dirò che, grazie all’effetto Daleth, sarebbe possibile sollevare enormi masse e perfino piccole montagne, trasportarle sulla Luna o lasciarle cadere sulla Terra: le sue possibilità di distruzione sono illimitate.
— E credete che gli altri paesi del mondo userebbero l’effetto Daleth solo per distruggere, se lo possedessero? — Gli altri cronisti rimasero un attimo in silenzio, avvertendo il duello nascosto nel dialogo fra i due uomini.
— Sapete benissimo che lo farebbero — replicò Arnie, secco. — Da quando in qua l’orribile potenza di un’arma ha distolto qualcuno dal farne uso? Chi è stato capace di compiere un genocidio con i gas velenosi e le bombe atomiche durante una guerra, non si fermerà davanti a nulla.
— E credete che Israele si comporterebbe così? Ho sentito dire che l’effetto Daleth l’avete scoperto in Israele e l’avete poi sottratto a quella nazione.
Arnie si era aspettato la domanda, ma tremò ugualmente sotto il colpo. Quando ricominciò a parlare, la sua voce era tanto debole che i tecnici dovettero alzare il volume audio.
— Non volevo obbligare Israele a scegliere tra la propria sopravvivenza e la necessità di scatenare una tragedia nel mondo. Dapprima pensai di distruggere i miei appunti, ma poi mi accorsi che esistevano buone probabilità che qualcun altro giungesse alle mie medesime conclusioni e scoprisse ciò che avevo scoperto io. Dovevo per forza prendere una decisione… e la presi. — Era irritato, ora, e le sue parole avevano un tono di sfida. — Sono certo di avere agito giustamente, e tornerei a comportarmi così, se venissi a trovarmi nella medesima situazione. Ho portato la mia scoperta in Danimarca, perché, per quanto io ami Israele, è pur sempre un paese eternamente in guerra e potrebbe servirsi dell’effetto Daleth per scopi bellici. E poi ero convinto che, se avessi trovato il modo di fare del bene col mio lavoro a tutta l’umanità, ne avrebbe approfittato anche Israele, e per primo, visto tutto ciò di cui gli sono debitore. Ma la Danimarca, che conosco bene perché vi sono nato, non si trova sotto la minaccia di un’aggressione che possa spingerla a scatenare una guerra. È il paese che per due volte ha votato in favore del proprio disarmo unilaterale. In un mondo pieno di belve, voleva camminare disarmato! La Danimarca ha fiducia. E io ho fede in lei. Può anche darsi che mi sia sbagliato, ma Dio sa che ho fatto del mio meglio…
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