«Lo hai conosciuto? Com’è?» chiese Cal.
«No, non l’ho conosciuto, e non l’ha conosciuto nessun altro, che io sappia, eccetto i due gemelli: e questo è strano. Sembra che nessuno sappia niente sul suo conto, se non che è chirurgo e biochimico. Sarebbe logico pensare che il capo di un gruppo di ricerca desideri incontrarsi con i suoi collaboratori, ma lui è così inaccessibile…»
Cal lo urtò con il gomito e indicò l’ingresso, sopra il quale si era accesa una lampadina rossa. Il Marine sfoderò la pistola automatica e prese di mira i due che entravano, fino a quando quelli gli mostrarono i distintivi rossi con i nomi di Kurt e Karl Mackintosh.
Kurt si affrettò per mettersi al passo con il gemello, ed entrambi avanzarono svelti nel laboratorio.
Le loro immense fronti sporgenti, esagerate dalla calvizia avanzante e dalle sopracciglia così pallide da sembrare invisibili, grandeggiavano sulle piccole facce imbronciate e davano loro l’aria di cherubini da grandi magazzini. Erano due esseri grassocci e asessuati, ed era difficile credere che fossero i migliori ingegneri cibernetici al di qua della Cortina di Ferro. L’unico elemento dei loro connotati che non fosse da idioti erano i loro occhi. Irrequieti, guizzanti, intelligenti, avevano il colore blu-acciaio di certe mosche.
I fratelli lanciarono un’occhiata alla vasca vuota, un’altra al diagramma, un’altra a Cal.
«Ci aspettavamo di più, da un allievo del MIT scelto per tenere il discorso al termine dell’anno scolastico,» disse maligno Karl, come se parlasse con il fratello.
«È giusto, Karl. Non solo ha rovinato l’esperimento 173b, ma non abbiamo avuto da lui una sola idea originale, e non ha ipotizzato un solo ordinamento biomeccanico.»
«Vero, Kurt.» I due fratelli, forse perché si somigliavano tanto, parevano ritenere opportuno identificarsi spesso a vicenda. «Vero, Kurt. Comincio a domandarmi se il livello d’istruzione del MIT non sia in declino.»
Hita si schiarì la gola. Virando intorno alle cartellette che portavano sotto il braccio, i due girarono verso di lui. «Ma, signori,» disse Hita, «Potter stava giusto discutendo con me la sua nuova idea di un ordinamento biomeccanico. Una specie di ostrica dal guscio d’acciaio, non era così, Cal?»
«Sì. Una specie di… uhm… ostrica dal guscio d’acciaio. Sì. Vedete, presenterebbe numerosi vantaggi. Troppo numerosi per elencarli tutti.»
«Per esempio…?» chiesero insieme i gemelli.
«Be’, ecco… invece d’una perla, produce un cuscinetto a sfera. Certo, è un sistema lento per produrre i cuscinetti a sfere, ma a noi in effetti non interessa la produzione di…»
«Spero, Kurt, che seguirà questa sua linea di ricerca,» disse Karl.
«E scriverà una monografia,» aggiunse Kurt. «Ma nel frattempo l’assegneremo al Progetto 32 come assistente speciale. Può aiutare a montare i cavi dei circuiti, Karl.»
Cal sentì che era stato punito e che nello stesso tempo gli era stata offerta una seconda possibilità. Stava per esprimere balbettando la sua gratitudine, quando la lampada sopra alla porta si accese di nuovo.
«Buonasera!» tuono Grandison Wompler dalla soglia. «Ehi, le cinque sono passate da un pezzo, e noi non paghiamo gli straordinari, vedete.»
I gemelli Mackintosh si raddrizzarono lievemente. Karl disse: «La dedizione alla razza umana non può venire sminuita da banali questioni d’orario.»
«Il nostro lavoro procede,» intonò suo fratello, «giorno e notte, sempre rivolto al conseguimento della pace nel mondo, una pace definitiva ed eterna…»
«È molto bello. Ma è proprio necessario tenere accese tutte queste luci?» Grandison entrò, facendo cenno al Marine di spostare la canna della pistola, e indossò un camice bianco da laboratorio prelevato da un armadietto.
«Il nostro nuovissimo progetto consumerà immense quantità di energia,» l’informò Kurt. «Ma arrecherà benefici incommensurabili alla razza umana.»
«Magnifico. Ottimo lavoro, ragazzi. Ma mi procurerà un nuovo contratto? Renderà famosa Millford? Indurrà il governo a investire altro danaro su di me?»
I due gemelli si scambiarono un’occhiata per un istante brevissimo. «Certamente,» risposero in coro.
Louie si affacciò alla porta e gridò a Hita: «Oh, sei lì!» Sorrise e salutò con un cenno il Marine di guardia, che stava cercando di decidere se doveva sparargli o no. «Hita, ci vediamo in palestra, okay?» Hita sorrise e annuì, e il bollente intruso si ritirò.
Grandison si guardò intorno e notò lo statistico. «Salve, amigo! » disse con un gran sorriso e si avviò verso di lui tendendo la mano. Hita era l’unico membro del personale al quale Grandison stringeva la mano. « Como esta Usted? »
« Muy bien ,» rispose il giapponese, senza entusiasmo.
«Splendido, splendido. Senta, se qualcuno qui non la tratta bene, venga a dirmelo, chiaro? Ho firmato un contratto con il governo, e questo significa che devo assicurare a tutti quanti un impiego giusto e imparziale. Non importa quale sia la vostra razza, il credo, il colore o la religione, siete tutti americani!»
«Ma io non sono americano,» protestò Hita. Grandison finse di non sentirlo.
«Sì, ho ricostruito questa società dal nulla, in meno di un anno… e voglio conservare quello che abbiamo. Abbiamo la mensa migliore, i migliori distributori automatici di caffè, il miglior bowling e la migliore palestra, e i rifugi antiatomici più puliti che si possano acquistare… e voglio che continuiamo ad averli. Voglio che tutti voi ragazzi, bianchi e neri, pieghiate la schiena e ci diate dentro con forza… per la nostra società!»
«Sono certo che facciamo tutti del nostro meglio,» disse Hita, prendendo un paio di forbici. «Be’, adesso devo andare. Adios. »
«Dobbiamo andarcene anche noi, Kurt,» disse Karl. «Dobbiamo conferire subito con il dottor S.; Potter, qui, può farle da guida nel laboratorio, Mr. Wompler.» I fratelli se ne andarono, sincronizzando il passo.
«Ehi,» disse Grandison, nascondendosi la bocca con la mano, «Ho sentito dire da qualcuno che quei due si chiamano Frankenstein.» La voce si abbassò in un bisbiglio confidenziale, l’espressione diventò solenne. «Non sono… non sono mica ebrei, vero?»
«Credo che siano protestanti irlandesi, signore,» disse Cal, cercando di restare impassibile. «Si chiamano Mackintosh. Vuole visitare il laboratorio?»
«Sì, magnifico.»
Davanti ad ogni apparecchio, Grandison si soffermava mentre Cal ne diceva il nome. Allora il vecchio lo ripeteva sottovoce, con un fare vagamente stupito, annuiva con aria saggia, e passava oltre. A Cal ricordava il modo con cui certa gente si comporta alle mostre d’arte moderna, dove i cartellini diventano più importanti degli oggetti esposti. E cominciò anche lui a inventare nomi complicati.
«E questo, come può osservare, è il Mnemonicon Modulare di Mondriaan.»
«…onicon, sì.»
«E la diffrattosfera dell’Empireo.»
«… sfera. Mmm. Capisco.»
Niente poteva stupire Grandison, perché non guardava niente. Cal si scatenò. Indicò la scrivania di Hita e disse: «La termocoppia in chiaroscuro.»
«Coppia? A me sembra una sola. Interessante, però.»
La pipa di radica diventò una «pipetta zigotica,» il portacenere di vetro «la storta di Piltdown,» e la lampada «l’Eolia a condizionamento di fase.» I fermaglietti per le carte diventarono «sfumature.»
«Sfumature. Capisco. Molto bene. E quello che cos’è?» Indicò un oscilloscopio. Cal trasse un profondo respiro.
«Il suo nome completo,» disse, «è angram morfomorfico escatologico pretoriano. È il tipo Endimione, ma di solito noi lo chiamiamo ramificazione.»
Il vecchio lo fissò severamente con gli occhi neri. «Sta cercando di prendermi in giro, per caso? Voglio dire, non sarò uno scienziato esperto, ma sono sicuro di riconoscere un televisore, quando lo vedo.»
Читать дальше