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John Sladek: Il sistema riproduttivo

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John Sladek Il sistema riproduttivo

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Classico romanzo d’automazione, ma anche di indiavolato divertimento, ha considerato John Sladek fra i grandi della fantascienza e la sua pubblicazione in questa collana non poteva mancare. Molte volte la SF si è occupata di macchine, ma mai con il vigore e l’astuzia di questo grande libro: infatti, che cosa accadrebbe se un giorno venisse inventata la macchina capace di figliare? Un interrogativo che quando il romanzo fu scritto sembrava del tutto utopico e futuribile, ma che oggi, in tempi di robot industriali, ha assunto un nuovo, sinistro colorito senza perdere nulla dell’originario divertimento. Se le macchine di tutto il mondo trovassero davvero il sistema di riprodursi da sole, qualcuno, sulla Terra, sarebbe di troppo…

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«Il fatto è,» proseguì Dill, battendo sulla tavola la mano rinsecchita, «che se possiamo presentare al governo un progetto completamente, irrimediabilmente inutile, ci concederanno uno stanziamento per la ricerca pura.»

«E come fai a saperlo?»

«Lo so, come so che il presidente della Commissione per le Spese Industriali è il senatore Dill… mio cugino, capite?»

Grandison non si era ancora abituato all’idea. «Ma… ma su che cosa potremmo fare delle ricerche? Non abbiamo gli impianti necessari.»

«A quello pensano tutto loro, non preoccuparti,» sorrise Dill. «Laboratori di cemento armato, rifugi antiatomici, i Marines di guardia, tutto quello che vuoi. La sola cosa che dobbiamo fare è escogitare un progetto.»

«Che ne direste di un robot?»

«Niente da fare,» scattò Dill. «Abbiamo bisogno di qualcosa che sembri più semplice, in modo che gli altri membri della commissione non ci trovino niente da obiettare, ma che in realtà sia così difficile che noi possiamo impiegarci degli anni. Come un aereo più grosso e più sicuro, per esempio.»

«Ma cosa ne direste comunque di un robot?» insistette Louie.

Ignorando l’agitarsi frenetico del barattolo sotto al suo naso, Moley disse: «Allora, perché non costruiamo una macchina che sia capace di riprodursi? Ho letto di un’idea del genere su Life , proprio l’altro giorno. Una macchina che si riproduce… sembra abbastanza facile, no?»

«Ma a cosa serve?» chiese Grandison. «Oltre a fare duplicati di se stessa, che funzioni ha?»

«Un robot,» dichiarò sottovoce Louie, «potrebbe istruirmi nel combattimento Kabuki corpo a corpo.»

«Non hai ancora capito, Granny,» disse Dill, scrollando il capo con fare paterno. «Non serve a niente. Ed è precisamente questo che vuole il governo. Quello che vogliamo noi. »

«Penso che tu abbia ragione,» disse Grandison. E sospirò. «Mi sembra così disonesto.»

«Creeremo migliaia di nuovi posti di lavoro… gli scienziati, i Marines di guardia, i funzionari governativi che seguiranno la nostra attività.»

«Lo so, lo so: ma noi ci guadagneremo?» scattò il presidente.

«Milioni.»

Votarono subito. Furono tutti «sì,» intorno al tavolo, fino a Louie.

«Sì, credo,» borbottò. «Ma, ehi, Papà, cosa ne diresti di un robot? Eh, cosa ne diresti…»

Grandison tese il braccio e spaccò il barattolo con il mazzuolo. L’estensore a molla scattò, spargendo intorno schegge di vetro e pillole marroni, e liberando dalla prigionia le dita grassocce di Louie il Womp.

«Mozione accolta.»

Capitolo Secondo

Anomalie

$UCCE$$O

Scritta sul muro dei Laboratori di Ricerca Wompler

«Anch’io sono un fallito,» mormorò Cal, fissando la medusa nella vasca. Avrebbe dovuto essere di un rosa acceso e con l’ombrello in alto. «Questa è la fine anche per me, vecchio Plagyodus. Ho rovinato il mio ultimo esperimento.»

Ritenne superfluo aggiungere che quello era il suo primo esperimento presso il Laboratorio di Ricerche Wompler, e che lui era stato assunto esclusivamente grazie al prodigioso errore di una macchina IBM. La massa grigia e sgonfia nella vasca, del resto, non pareva ascoltarlo. Una corda attorta di cavetti multicolori partiva dalla massa e arrivava a un gruppo di quadranti. Erano tutti a zero.

Con un sospiro, Cal cominciò a scrivere sul diagramma appeso accanto alla vasca: «Esp. biomecc. 173b abortito ore 17.50.»

Avrebbe perso ben più del suo impiego: la possibilità di svolgere un lavoro che lo avrebbe portato a un dottorato. Tutto quello che tocco , pensò, si trasforma in un fallimento. Come per confermare queste parole, la penna a sfera si rifiutò di scrivere.

Fece una prova, e si accorse che poteva scrivere benissimo sul palmo della propria mano, ma non sul diagramma appeso al muro. Si coprì il palmo di scarabocchi e di firme di prova: «Calvin Codman Potter, Ph. D.»

«È questione d’angolazione,» disse Hamuro Hita, lo statistico del progetto. «L’inchiostro non scorre verso l’alto.»

Cal arrossì, corresse l’angolo e firmò il diagramma. «Grazie. Temo di non avere abbastanza spirito d’osservazione, per uno sperimentatore. In effetti, ho appena rovinato questo esperimento. Credo che d’ora in poi non mi vedrai più da queste parti.»

«Oh, non credo che possano licenziarti per un solo errore. Cos’è successo, del resto?» Hita parlò senza interrompere il suo lavoro, continuando a sommare dei numeri su un calcolatore.

«Ieri sera ho dimenticato di innestare il termostato automatico.» Staccando i fili dagli strumenti, Cal ripescò la flaccida massa grigia e sgocciolante. «Si… si è lessata o qualcosa del genere.» Alzò il coperchio del bidone della spazzatura, vi gettò la medusa e le buttò dietro anche i rigidi fili multicolori. Hita gli indicò con un cenno del capo una sedia accanto alla scrivania, e Cal vi si lasciò cadere.

«È quello che succederà a me, quando scopriranno tutto sul mio conto,» disse, indicando il bidone della spazzatura. «Loro mi credevano un ragazzo geniale e promettente, poiché mi sono laureato primo della mia classe al MIT. Si aspettavano che sbalordissi il mondo. Invece…»

«Invece?»

«Forse è meglio che non ne parli neanche. Diciamo che sono stato assunto per errore, e ho paura che possano scoprirlo da un momento all’altro.»

Hita annuì, e i due uomini piombarono in un cupo silenzio. Dopo aver finita l’addizione, il matematico cominciò a pulire la pipa di radica con la lama di un paio di forbici dall’impugnatura nera. Cal girò lo sguardo intorno a sé, incapace di vincere l’impressione che stava dicendo addio al laboratorio. Addio, computer modulare QUIDNAC; addio, labirinto per «ratti» fototropici; addio, soluzione in cui cresceva un verde albero cristallino, ogni ramo del quale faceva parte di un circuito elettronico; addio, forgia automatica in miniatura. Non dimenticò di dire addio all’ingresso principale, sorvegliato da un adolescente impettito e serissimo che indossava l’uniforme del Corpo dei Marine.

«Qui ostentiamo tutti falsi colori,» disse Hita, estraendo un volumetto in brossura dal cassetto della scrivania. «Sai perché i Wompler mi hanno assunto? Perché Louie voleva imparare l’Origami. Secondo lui, io sono giapponese, ergo… »

«Non ci credo!»

«Ma tu sei qui solo da una settimana. Conosci appena i Wompler, padre e figlio. Non hai ancora incontrato il capo del progetto, il dottor Smilax. Immagino che tu abbia avuto a che fare soprattutto con loro. »

«Vuoi dire i fratelli Mackintosh?»

Hita sorrise. «Ovvero, come li chiamano alcuni, i fratelli Frankenstein.»

«Ma quello che mi hai detto a proposito dell’Origami!»

«Ufficialmente, sono un matematico. In pratica, i miei doveri includono anche insegnare l’Origami a Louie. Ho dovuto studiarmelo anch’io, naturalmente. Per fortuna, ho trovato questo libretto all’emporio.» Sfogliò le pagine del volumetto in brossura. «Comunque, è un buon impiego. Qui posso guadagnare abbastanza per mettere in piedi presto un mio laboratorio statistico, ed è sufficiente che faccia lo stupido per mezz’ora al giorno.»

«Ma come hai fatto a imbrogliarli, se non lo conosci neanche tu?»

«È facile. Vedi, Louie pensava che l’Origami fosse una specie di tecnica giapponese d’autodifesa. Ho potuto stabilire le mie regole, e così andiamo d’accordo. Gli ho detto che ero ‘forbice nera’, e lui è rimasto debitamente impressionato.

«In quanto a Grandison Wompler, non so perché, ma sembra convinto che io dovrei parlare spagnolo. Quei due mi sono piuttosto simpatici. Ci sono addirittura dei giorni in cui riesco a sopportare i fratelli Frankenstein. L’unica persona, oltre a loro, che mi mette i brividi qui dentro è il dottor Smilax.»

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