Dapsl sbuffò seccato. «Si dà il caso che questa sia la stagione secca, se non te ne sei accorto. Non è quasi mai successo che abbia piovuto, nell’Ultima Notte dell’Anno».
Rheba fissò pensosamente il ragazzo che stava immobile al suo fianco, con la ciocca di capelli in mano. Un Danzatore della Tempesta, pensò. E una tempesta significava un’enorme quantità di energia.
«Ne sei sicuro?», chiese Kirtn. «Vuoi dire che il pianeta dispone di un controllo metereologico?»
Dapsl scosse il capo. «Roba simile non esiste. In caso di maltempo l’anfiteatro ha un campo di forza di emergenza, che può essere attivato per respingere la pioggia. Ma non preoccuparti, non ce ne sarà bisogno. O avete paura di un po’ d’acqua?»
Rheba fece un gesto d’indifferenza. «Campo di forza o no, che importa?», disse, come se quel particolare non avesse importanza alcuna.
Dapsl si tormentò l’estremità delle trecce bisunte e le gettò indietro, bofonchiando qualcosa fra i denti. Poi riprese a spiegare ai membri della sua piccola compagnia come agire sul palcoscenico, nello spettacolo da cui sarebbero forse dipese le loro vite.
«Poiché dal Loo-chim abbiamo avuto l’onore, e l’altissimo privilegio, di essere l’ultima Azione di quella straordinaria giornata, verrete chiamati fuori dal tunnel quando ormai mancherà poco al termine dell’anno. La durata dell’Azione è stata calcolata al secondo, cosicché finirà esattamente allo scoccare della mezzanotte. Il tempo avrà un’importanza cruciale: terminare pochi secondi troppo presto o troppo tardi guasterebbe la cerimonia, provocando il dispiacere del Loo-chim. Ed è inutile sottolineare cosa significa questo».
Sul volto di Rheba si disegnò un sorrisetto duro: il suo proposito era di dare ben più che un semplice dispiacere alla coppia imperiale, prima che la notte della Concatenazione avesse termine. Al pensiero, una lieve carica elettrostatica le fece gonfiare le chiome, che ondeggiarono nell’aria e accarezzarono il volto di Lheket.
Il giovane Senyasi trasalì, assorbendo d’istinto l’energia che la sua mano captava dalla ciocca di capelli. Poi sorrise, e lo sguardo dei suoi occhi perse la luce vitrea assumendo un’improvvisa vivacità. Lungo le falangi delle dita gli corsero sottilissimi bagliori azzurri, sulle tracce delle latenti Linee di Potenza. Rheba abbassò gli occhi su di lui e se ne accorse. Intuendo quel che era successo interruppe il deflusso di energia, e subito Lheket ebbe un mormorio di protesta.
«Tieni calmo il cucciolotto, o lo rimando in camerata con gli schiavi comuni», sbottò Dapsl. «È già duro tollerare che quella puttana Pelosa venga a disturbare la mia Azione, perché io debba sopportare anche il suo stupido scaldapancia minorenne!»
Sui volti di Kirtn e Rheba comparvero espressioni di rigido furore, che non si curarono di mascherare. Uno dei clepts ringhiò. Come gli J/taals anche i cani da guerra erano sensibili ai mutamenti d’umore della loro J/taaleri. Fra i capelli di Rheba Fssa mandò un ammonimento ai clepts, che si placarono. La ragazza si chiese cosa poteva aver detto loro il serpentello, curiosa di sapere come riusciva a comunicare tanto bene, ma per non irritare ancor di più Dapsl preferì non rivolgergli la parola.
«Continua», lo invitò poi, con voce pacata solo in superficie. «Ma ricorda, piccolo sgorbio, che la tua vita dipende da tutti noi».
«Dovrete sopportarmi ancora a lungo», bofonchiò lui. «Se tutto andrà bene, l’Azione resterà indivisibile».
«Non ricordarmelo», ringhiò Rheba. Da quando erano stati trasferiti lì Dapsl dormiva altrove, e almeno la notte non se lo vedeva attorno. Ma di giorno bastavano pochi minuti al piccolo schiavo per farsi odiare.
«Sul palco del Loo-chim», riprese Dapsl, «c’è un grosso gong d’argento. Viene suonato due volte all’inizio di ogni Azione, e quattro al suo termine. Ma talora accade che il Loo-chim si annoi e voglia tagliar corto». Ebbe un sorrisetto storto. «In questo caso il gong suona tre volte, e gli schiavi sono portati seduta stante nella Fossa. C’è da sperare che questo non capiti proprio a noi. Comunque, dopo che il gong avrà suonato due volte per chiamarvi, avrete il tempo di contare fino a cento prima di raggiungere il vostro posto in palcoscenico. A questo punto ci saranno ancora due rintocchi, e l’Azione comincerà. Alla fine disporrete dello stesso tempo per sgombrare, discendere la rampa e tornare nel tunnel. Ci sono domande?»
Rheba ne avrebbe avute molte, ma nessuna a cui Dapsl potesse dare risposta. Anche Kirtn tacque. L’ometto li fissò accigliato, quindi staccò dalla parete il foglio di plastica e lo arrotolò.
Kirtn glielo tolse di mano. «Questo lo tengo io».
«E che te ne fai?», protestò l’altro, ostile.
«Dovrò spiegare tutto daccapo ai J/taals. Fssa non ha tradotto il tuo discorsetto per non darti fastidio».
Dapsl pareva in cerca di una valida obiezione per riavere il foglio. Poi borbottò. «Ah, sì? È la prima volta che mostrate per me il doveroso riguardo, voi e le vostre bestiacce».
«Meno parli con loro e meglio è. Siamo stanchi tutti quanti, e a questo punto si deve evitare ogni screzio».
L’ometto annuì cupamente. «Ma non portare fuori di qui il foglio di plastica e lo stilo. Sono oggetti proibiti agli schiavi, e appartengono a Signore Jal. Io sono responsabile che non si commettano infrazioni, qui dentro».
Kirtn stava per voltargli le spalle quando vide rientrare Ilfn, e il volto gli si schiarì. Anche Lheket aveva percepito in qualche modo l’arrivo della sua Bre’n, sebbene fosse scalza e camminasse senza rumore, e si girò verso la porta con espresssione radiosa. Kirtn avrebbe desiderato che Rheba mostrasse per il giovinetto sentimenti più affettuosi, ma ella si teneva molto sulle sue. Da quando avevano lasciato il pianeta condannato, la ragazza era parsa chiudere la porta del suo cuore a tutte le emozioni capaci di colpirla. O forse, rifletté il Bre’n, la realtà era che non provava assolutamente nulla per Lheket.
Andando ad abbracciare Ilfn, Kirtn mise da parte quei pensieri tristi. «Ho una mappa dell’anfiteatro», disse sottovoce. «E tu cosa …»
«Ho fatto il necessario», lo interruppe lei, lanciando un’occhiata cauta a Dapsl. I suoi occhi brillavano ancora d’eccitazione.
«Non temere. Il piccoletto non conosce la nostra lingua».
«Benissimo. Io sono uscita senza difficoltà. Ho trovato la pomata per Rheba, e poi mi sono accordata con uno dei due schiavi».
Rheba si avvicinò conducendo con sé Lheket. Gli occhi del fanciullo erano luminosi e sorridenti come se potesse vedere la sua Bre’n, e quando lei alzò una mano ad accarezzargli il viso se la portò alla bocca e le baciò il palmo.
Quel gesto fu così naturale che Rheba tardò a captarne le sfumature. Si accigliò. Ma usando la sua sensibilità di Danzatrice del Fuoco per studiare il ragazzo e la donna Bre’n, non trovò nulla che divergesse dall’affettuosità per scivolare in qualcosa di esplicitamente sensuale. Tuttavia era certa che fra Lheket e Ilfn esisteva una passione reciproca allo stadio larvale, e la conseguente riflessione la disturbò: era naturale che fra Bre’n e Senyasi vi fosse un’intimità passibile di evolversi in rapporti sessuali?
I suoi ricordi del lontano passato non le consentirono una risposta immediata. Cercò di riportare alla memoria le figure di sua madre, la sua Senyasi-madre, e quella del suo Bre’n-padre. Erano stati anche amanti, oltreché una coppia di Akhenet? Rammentarlo era una cosa impossibile: tutto si sfocava nelle terribili immagini della morte infuocata che era scesa su di loro. Con uno sforzo deliberato ella aveva cacciato nel profondo ogni ricordo dei genitori, sapendo che pensare a loro significava soffrire, e ora il suo tentativo di ripescarli da quell’abisso le dava solo confusione e dolore. Nulla su cui riflettere.
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