Lilo ne guardò le date; la più recente aveva duecento anni.
Dalla stanza si poteva uscire solo attraverso la porta della camera stagna. Nella parete di fronte c’era un foto circolare in cui Lilo sarebbe appena riuscita a infilare la testa. Si sedette su una delle poltrone, facendo di quella parete il suo provvisorio «pavimento», e alzò gli occhi sull’altra poltrona del «soffitto». L’effetto non le piaceva.
Non aveva riconosciuto la lastra di vetro quadrata nella parete di fronte alla poltrona; era uno schermo televisivo in bianco e nero. Javelin doveva averlo costruito da sola; Lilo era sicura che non ne esistessero fuori dei musei. Lo schermo si accese e apparve la faccia di una donna in grandezza naturale. Era attraente, anche se più matura di quanto richiedesse la moda. Era raro vedere qualcuno di un’età apparente di più di venticinque anni. Javelin sembrava piuttosto sui trentacinque. L’immagine mostrava solo la testa, e Lilo provò una certa delusione.
«Così vuole noleggiare un’astronave,» disse Javelin. «È una richiesta strana, glielo concedo. Probabilmente sono il solo cercatore a cui potrebbe interessare. Ma in questo momento non mi interessa abbastanza. Comunque ascoltiamo la sua proposta, e sarà bene che sia eccezionale.»
Lilo si era preparata a una discussione lunga e intricata. Quello era stato lo stile dei cercatori che aveva incontrato. Javelin l’aveva presa un po’ di sorpresa.
«Posso fare una domanda? Pensavo che mi volesse qui per vedermi faccia a faccia. Invece sembra che io non possa neppure entrare nella nave.»
« Siamo faccia a faccia,» ribatté Javelin. «Non ho mai installato una videotrasmittente. Doveva venire in questa stanza perché potessi vederla. E adesso, dove vorrebbe andare? E le do un altro suggerimento. Parli chiaro, senza reticenze. Mi dica esattamente cosa vuole.»
«D’accordo. Io… cioè, io, mia moglie e… ricominciamo da capo.» Lilo stava sudando. Aveva la sgradevole sensazione che Javelin la conoscesse, ed era evidente che voleva la verità. Forse Quince l’aveva chiamata e le aveva detto qualcosa.
«Io e altre due persone vogliamo andare alla Linea Calda.»
«In che punto della Linea Calda? Parla della trasmittente su… 70 Ophiucus? Un bel viaggio. Ma immagino che voglia andare nel punto in cui il segnale è più forte.»
«Esatto. Ci può portare là?»
«Certamente. Perché ci volete andare?»
«Questo non posso dirglielo. Mi dispiace, non posso proprio.»
«Non importa. Ha diritto ai suoi piccoli segreti.» Aveva un’aria assorta e Lilo era preoccupata. Sentiva di essere di fronte a una persona astuta, forse anche molto vecchia. Non ne aveva la certezza, ma provava sempre una strana sensazione davanti a qualcuno di più di trecento anni.
«Da dove viene? E come si chiamano gli altri due?»
«Dalla Luna. Vaffa e Cathay. Quanti anni ha?» Non aveva avuto l’intenzione di domandarlo.
«Se non mi dispiace che me lo chieda?» fece un lieve sorriso. «Sono abbastanza vecchia da essere il ramo mancante del suo albero genealogico, Lilo. Sono nata nel 1979, Vecchia Numerazione. Allora mi chiamavo Mary Lisa Bailey. Sono stata la prima donna a mettere piede su Marte, se le interessa. È stata la mia sola comparsa sui libri di storia.»
Lilo non era sicura che le avesse detto la verità. Aveva già incontrato persone che pretendevano di avere un’età strana, e generalmente non le aveva credute. Per quanto ne sapeva, non c’era nessuno che fosse nato sulla Terra e fosse ancora vivo. Dopo tutto l’invasione era avvenuta cinque secoli e mezzo prima, quando la scienza biologica stava muovendo i primi passi. Tuttavia…
«Quindi sarebbe…»
«L’essere umano più vecchio. Non lo dica in giro. L’ultima cosa che desidero è diventare un’altra volta oggetto di interesse. Per inciso, porterò lei e i suoi amici. Quando sarete pronti per partire?»
«Ha… eh, mi lasci pensare. Sta andando un po’ troppo in fretta, per me.» Non credeva che avrebbe mai detto una cosa del genere a un cercatore.
«Non avrete bisogno né di vaccini né di passaporti per dove dobbiamo andare. Potete portare trenta chili di bagaglio ciascuno. Quando potete essere pronti?»
«Va bene domani?»
«Allora partiremo fra ottantamila secondi standard. Preparate le carte d’imbarco. Vi cucinerete e vi accudirete da voi. Dovrò fare alcuni cambiamenti strutturali per permettervi di spostarvi sulla nave. Pareti da abbattere, cose di questo genere. Portate dello champagne, d’accordo?»
Lo schermo si oscurò.
«Non so perché abbia accettato così velocemente,» disse Lilo. «Forse ce lo dirà.» I tre stavano dirigendosi verso la grande massa della Cavorite con uno scooter più grande del precedente, nel quale potevano indossare i caschi. Ognuno di loro aveva una tuta e una valigetta.
Lilo aveva ripetuto per tutto il giorno la sua conversazione con Javelin. Aveva detto a Vaffa che non c’era niente che la preoccupasse, che Javelin era solo un’eccentrica e che probabilmente li trasportava solo per divertimento.
In realtà c’erano diverse cose che la disturbavano, ma erano tutte così vaghe che riusciva appena a definirle. Prima di tutto, perché Javelin aveva acconsentito? Più ci pensava e più si convinceva che il fattore decisivo era stato aver detto che venivano dalla Luna e aver nominato Vaffa. A sentire quei nomi, dietro la faccia impassibile di Javelin era cambiato qualcosa.
Poi gli accenni alla Linea Calda. Perché era stata così precisa sulla destinazione? Doveva essere stato il suo strano senso dell’umorismo a farle suggerire che potessero considerare la possibilità di andare su 70 Ophiucus. La maggiore penetrazione umana nello spazio interstellare non era superiore a mezzo anno luce; 70 Ophiucus era a diciassette. Ma aveva fatto una pausa — non era vero? — prima di citare la stella.
Dalla sua prima visita la stanza d’ingresso era cambiata. La parete antistante la camera stagna era stata abbattuta e le poltrone non erano più fissate al suolo. Adesso la stanza era ingombra di strani mobili antichi, tanto che non capivano come sarebbero riusciti ad arrivare dall’altra parte.
Al di là di quella confusione comparve Javelin. Era la prima volta che la vedevano, anche se c’erano troppe cose in mezzo.
«Salve, laggiù!» gridò, guardandoli attraverso i mobili. «Dovrete aiutarmi a caricare questa roba sullo scooter prima di sistemarvi. Non ce la farei a decollare con tutto questo carico.» Poi, più veloce dell’occhio umano, fu accanto a loro.
«Santa Madre Terra, non lo faccia più!» Vaffa sembrava sinceramente scossa. Anche Lilo era sconcertata. Il modo in cui Javelin si era fatta strada in quel labirinto apparentemente impenetrabile era stato sorprendente, incredibile.
Lilo guardò Javelin e vide un sottile cilindro di due metri, che si ingrossava gradatamente al centro e aveva una mano a ciascuna estremità. Il cilindro era flessibile in quattro punti, che rappresentavano il ginocchio, il fianco, la spalla e il gomito. Dalla «spalla», con un leggero angolo rispetto al resto del cilindro, spuntava la testa, con capelli castani tagliati corti. Indossava un semplice tubo azzurro di tessuto che le lasciava scoperti il braccio e la gamba.
Era Javelin, con il braccio alzato. Quando lo abbassava su un fianco, sembrava un grosso temperino.
Non si era semplicemente liberata del braccio destro e della gamba sinistra. Per gli spaziali era una cosa comune togliersi due arti, di solito le gambe. Javelin aveva raggiunto il culmine estetico della magrezza. La cassa toracica, la spalla destra e il fianco sinistro erano stati sostituiti da strutture plastiche. Si era liberata del rene sinistro, del polmone destro e di gran parte dell’intestino. Si era fatta ricostruire il gomito e il ginocchio con giunture a cuscinetto.
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