John Varley - Linea calda Ophiucus

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Linea calda Ophiucus: краткое содержание, описание и аннотация

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Lilo era morta, processata, condannata, suicidata. Ma era anche viva. Anzi, c’erano molte Lilo...
Negli anni della dispersione dell’umanità sugli altri pianeti del sistema solare, dopo che gli Invasori ebbero conquistato la Terra, la clonazione era un sistema di sicurezza ormai comune. Clonazione, ovvero riproduzione di un essere umano completo di personalità e memoria, una tecnica rivelata attraverso misteriose trasmissioni provenienti dallo spazio, la Linea Calda Ophiucus, appunto. Nessuno sapeva come e perché quelle trasmissioni avvenissero, ma tutti applicavano entusiasticamente la nuova tecnica. Eppure la donazione era anche un pericolo terribile. E quando venne nelle mani di Tweed, ex capo della Luna, il pericolo diventò realtà, e prese la forma di un complotto contro la Terra. Finché un nuovo messaggio giunse da Ophiucus...
John Varley, texano, autore di numerosi racconti di fantascienza, è al primo romanzo.
è stato accolto con grandissimo favore negli Stati Uniti, sollevando tra critici e fans una “scioccante ondata di eccitazione”.

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«San Pietro rimarrà nel limbo per un’ora, figli miei!» gridò. «Non dovete andarvene, ma dovete uscire dalle sale da gioco mentre ripuliamo. Bevande vengono servite nella Biblioteca di Papa Agnese, al piano di sopra. Tornate, e portate dei soldi.» Azionò un interruttore a muro e tutto cambiò. La metà degli avventori svanì, con quasi tutta la cattedrale. C’era un basso soffitto bianco con luci nude. Alcuni inservienti robot cominciarono a pulire i corridoi, suonando rabbiosamente quando incontravano i piedi degli avventori più lenti.

«Che ne dici?» esclamò Lilo. «Non sei stanco di essere imbrogliato?»

Lui rise. «Forse dovrei uscire, almeno per un po’. Mi hai portato fortuna. Sono a tua disposizione.»

«D’accordo. Penso che un bagno farebbe bene a tutti e due. Quant’è che sei qui?»

Lilo sapeva bene che era nel casinò da trentasette ore. Gliel’avevano detto Vaffa e Cathay, che l’avevano tenuto d’occhio. Sapeva anche come si chiamava — Quince — ma non glielo disse. Era un cercatore di buchi neri, e per di più un po’ particolare, il che solleticava il suo interesse.

Erano sei giorni che Lilo lavorava duramente, da quando Vaffa le aveva concesso una certa libertà. Vaffa aveva deciso che sarebbe stata Lilo a tentare da sola; infatti, sebbene in realtà non si fidasse di nessuno dei due, di Cathay si fidava ancora meno. Ma era stata una decisione difficile, che le dava ancora i sudori freddi.

Non era una cosa semplice, neppure senza Vaffa. Finora Quince era sembrato la migliore possibilità. Apparentemente il problema consisteva nel fatto che i cercatori che possedevano una nave non mostravano il minimo interesse per noleggiarla. Un cercatore di buchi neri cerca buchi neri, come le era stato detto molte volte, con grande sdegno. Erano i tassisti a portare in giro i pochi cercatori attivi che si trovavano su Plutone in attesa che le navi venissero revisionate, e non volevano assolutamente fermarsi alla Linea Calda.

Quince era un po’ diverso. L’avevano trovato grazie alle ricerche di Vaffa. Aveva fatto tre viaggi, tutti di una trentina d’anni. La prima volta era stato fortunato ed era rientrato molto ricco. Con quel denaro aveva finanziato il secondo e il terzo viaggio, e nessuna delle due volte aveva trovato un buco nero. Se un cercatore torna a mani vuote, di solito cade nelle grinfie di un tribunale fallimentare che ne divide i beni rimasti. Quince però possedeva ancora la nave. Gli restava anche un po’ di soldi, ma non abbastanza per organizzare un quarto viaggio. Non aveva avuto fortuna nella ricerca di finanziatori; gli speculatori tendono a essere superstiziosi e non sono propensi a sostenere uno che abbia fallito due volte. Così ormai da un anno cercava di vincere al gioco abbastanza per mettersi di nuovo in volo.

San Pietro era al diciottesimo livello del complesso di locali da divertimento sotto lo spazioporto. Presero un ascensore per risalire in superficie e dopo poco trovarono un bagno pubblico. Si spogliarono e si immersero dentro la vasca. Lilo galleggiava sulla schiena e l’ascoltava lamentarsi della sfortuna tremenda che aveva avuto. Di tanto in tanto gli esprimeva la propria solidarietà, e a poco a poco cominciò a parlare di sé. Con lui era più facile intrecciare una conversazione che non con la maggior parte dei cercatori che aveva incontrato. Molto probabilmente perché era a terra da tanto tempo.

Passarono alla sauna e non dissero niente mentre il calore gli cuoceva i corpi. Poi ci fu un rapido tuffo nell’acqua gelata e una seduta più piacevole nella bassa piscina, mentre il vapore li avvolgeva. Lilo introdusse l’argomento del viaggio mentre gli strofinava la schiena.

«In nessun luogo?» esclamò lui. «Per quale motivo?» Non aveva mancato di notare le pile di moneta lunare che aveva gettato via quando le era seduta gomito a gomito. Lilo era «una ricca turista lunare».

«Nessun motivo. Sarebbe divertente. Potrei raccontare ai miei amici quanto sono andata lontana. Tutti sono stati su Plutone.»

«Quanto pensavi di andar lontano?»

«Oh, non lo so. Deciderei dopo.» Si sedette sul bordo della piscina, mentre lui le insaponava i piedi e le gambe. «Ma non sembra che ti interessi.»

Lui non disse niente, e lei non voleva insistere. Mentre attraversavano un piccolo giardino tropicale dove spruzzi e cascate gli tolsero di dosso il sapone, lui sembrava preoccupato. Si fermarono su un ponticello di legno, appoggiandosi alla spalletta. C’era un’altra coppia che luccicava visibilmente dietro il velo di una cascata. Lilo gli mise un braccio intorno alla vita e lo accarezzò mentre continuavano a guardare, ma lui non rispose. Passarono in un corridoio con getti d’aria calda e di talco. Lilo comprò una spazzola a un distributore e si sedette su un cuscino a pettinarsi i peli delle gambe.

«Quanto saresti disposta a pagare per un viaggio del genere?»

«Ah, non saprei. Quanto pensi che costerebbe?» Ci fu un altro silenzio minaccioso; lei decise di dargli lo spunto. «Immagino… be’, le tue spese, naturalmente. Quello che ci vuole per arrivare lassù. Più un compenso.»

Passarono alle lampade e si stesero su un lungo tavolo sul quale c’era già una dozzina di altre persone allineate come fette bianche e rosa di pancetta su una griglia. Dopo dieci minuti si voltarono.

«Ancora non mi hai detto dove vuoi andare.»

«Che ne dici della Linea Calda?» Poteva sentire gli ingranaggi del suo cervello che calcolavano i costi e il tempo. Sapeva esattamente quali sarebbero state le sue spese, date le dimensioni e l’accelerazione della nave. «Mi piacerebbe davvero andare laggiù ad ascoltare. Pensa, a migliaia di anni luce di distanza, persone che parlano a me

«Diciassette anni luce,» disse meccanicamente Quince. «E non puoi davvero…» Sembrò cambiare parere. «Potrebbe piacerti,» concluse.

Si sciacquarono un’altra volta, poi vennero asciugati e cosparsi di talco. Fecero a meno del massaggio, si rivestirono e tornarono in strada. Quince continuava a meditare sulla decisione da prendere, così Lilo lo lasciò in pace. Lo guidò in un bar e ordinò da bere per tutti e due. Trovarono un angolo isolato con la luce bassa. Lilo guardò nervosamente i numeri che brillavano sul polsino della sua camicia; era tardi. Vaffa l’aveva seguita i primi due giórni che era potuta uscire da sola, lo sapeva. Ora doveva essere puntuale. Fra poco Vaffa avrebbe cominciato a cercarla, e Lilo non sapeva cosa sarebbe successo se l’avesse trovata. Aveva paura che li aggredisse rovinando tutto, perciò decise di dargli un’altra spinta.

«D’accordo, pagherò le spese, più…» disse una cifra superiore del cinquanta per cento a quello di cui Quince avrebbe avuto bisogno per attrezzare e rifornire la nave per un viaggio di ricerca. Con tono pensoso, lui contrappose una cifra più alta. Era sempre la metà di quanto Lilo era stata autorizzata a pagare.

«Va bene.» Gli tese la mano. Lui gliela strinse e Lilo si sentì molto sollevata. Vaffa non poteva certo rimproverarla per aver fatto tardi, visto che doveva concludere l’affare.

«Ti darò il denaro non appena mi arriverà dalla mia banca sulla Luna. Mi chiamerai non appena sei pronto a partire.» Trattenne per un attimo il fiato, poi si buttò. Doveva andar bene. Doveva. «Ah, c’è un’altra cosa. In modo che tu possa calcolare i pesi, le masse, e tutto il resto, verranno anche mio marito e mia moglie.»

«Siete in tre?»

Non era una domanda, ma il modo per dire che non se ne faceva più niente.

« Dove sei stata? »

Vaffa aspettava da mezz’ora vicino al Parco del Centro, cercando di decidere a che punto il ritardo avrebbe significato diserzione. Adesso afferrò il polso di Lilo quasi spezzandoglielo, per tirarla dentro al parco. Presero un ascensore di vimini e salirono al livello dei trecento metri di uno dei grandi alberi. A Lilo avrebbe fatto piacere bere qualcos’altro, ma anziché entrare Vaffa la portò su un ramo. In breve furono fra le foglie e le piante rampicanti che le nascondevano alla vista.

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