Fritz Leiber - I tre tempi del destino

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I tre tempi del destino: краткое содержание, описание и аннотация

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Il presupposto del romanzo è l’esistenza di un dispositivo, la “macchina delle probabilità” in grado di creare universi alternativi in cui qualcosa differisce da quello attuale. Grazie ad altri dispositivi, chiamati talismani, è possibile spostarsi da un universo all’altro.

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Clawly II sembrava una persona dalla reputazione notevole anche dall’altra parte della sala, perché quando annunciò bruscamente: — Alla Sala dei Servitori, con una persona per i Servitori — nessuno dei sei gli pose domande, ed egli poté passare tranquillamente con il suo prigioniero.

Entrarono in un nuovo corridoio, e l’ambiente che li circondava cominciò a mutare con rapidità sconcertante. Pochi passi li condussero a una galleria subtronica. Thorn fu lieto che lo stupore gli avesse fatto compiere un movimento falso, quando la corrente subtronica lo afferrò e lo trasportò in aria, perché un rapido sguardo lanciato a Clawly II gli fece capire che una sua eccessiva dimestichezza nei confronti di questo tipo di trasporto sarebbe risultata assai sospetta.

E in quel momento, per la prima volta dopo il suo arrivo nel Mondo II, la mente di Thorn cominciò a funzionare con chiarezza. Forse si era trattato dell’effetto della familiare corrente subtronica.

Era ovvio che nel Mondo II l’energia subtronica era il segreto più gelosamente conservato da parte di una ristretta minoranza dominante. Dall’altra parte della linea divisoria, nessun segno aveva fatto pensare alla sua esistenza. Inoltre, questo avrebbe spiegato per quale motivo i soldati e gli operai venivano tenuti nell’ignoranza della vera natura di alcuni degli oggetti che costruivano o delle armi che usavano. Questo avrebbe anche spiegato la necessità di una produzione addirittura mastodontica… c’erano due sistemi di vita basati su energie completamente diverse, da mantenere in vita.

Poi, le relazioni tra il Mondo I e il Mondo II. Per quanto potessero essere simili… era immaginabile l’idea che due universi eternamente indipendenti avessero potuto produrre due Croci d’Opale, Gemelli Grigi, Clawly, Thorn, e un numero incalcolabile di doppi, quasi perfettamente uguali tra di loro; se si partiva da questa base, si poteva formulare qualsiasi teoria. No… i due mondi dovevano essere il risultato di una spaccatura nel corso del tempo, dovuta a cause ignote, e in epoca abbastanza recente, perché i due mondi contenevano individui duplicati ed era nuovamente inimmaginabile l’idea che, se la spaccatura era avvenuta, per esempio, cento anni prima, gli stessi individui fossero nati nei due mondi… gli stessi gameti, in circostanze diverse, che si univano sempre per formare gli stessi zigoti.

La spaccatura doveva essere avvenuta… ma certo!… quando l’aumento degli incubi era iniziato sul Mondo I. Circa trent’anni prima.

Ma… la mente di Thorn si ribellava all’idea… era possibile che due mondi diventassero così diversi, in un breve periodo di tempo? Libertà in uno, tirannia nell’altro. Persone normali in uno, mostri emotivi e subordinati inaspriti e miseri nell’altro. Era orribile pensare che la natura umana, specialmente la natura delle persone che si conoscevano e si amavano e si rispettavano, potesse mutare tanto, in circostanze diverse.

Eppure… il mondo moderno era stato un continuo succedersi di mutamenti. Le guerre avrebbero potuto scoppiare, erano scoppiate, ed erano durate lo spazio di una notte. Spaventosi cambiamenti tecnologici si erano verificati nel giro di pochi mesi. E partendo da una differenza iniziale immensa, come quella di tenere l’energia subtronica come un segreto del governo nel Mondo II, e di renderla pubblica proprietà nel Mondo I…

Comunque, c’era un sistema, per controllare. Senza fermarsi a riflettere, Thorn disse: — Ricordi quando eravamo bambini? Giocavamo sempre insieme. Una volta giurammo un patto di eterna amicizia.

Clawly II si voltò, mentre la corrente li spingeva lungo la galleria subtronica, sulla quale si apriva una teoria di sbocchi di corridoi.

— Stai proprio crollando — disse, sorpreso. — Non mi sarei mai aspettato di vederti recitare una scena madre per ottenere comprensione. Sì, certo che lo ricordo.

— E poi, circa due anni dopo — continuò Thorn. — Quando il nostro idroplano cadde nel lago e io persi i sensi, tu mi portasti a riva.

Clawly II rise, ma l’espressione perplessa dei suoi occhi divenne più profonda.

— Credevi davvero che io ti avessi salvato? Il tuo comportamento nei miei riguardi, dopo, non sembra dimostrarlo. No, come credo tu sappia, nuotai da solo fino a riva. Fu quello il giorno in cui per la prima volta capii che io ero io, e che tutto e tutti, all’infuori di me, erano circostanze.

Thorn rabbrividì, sia per l’errore che gli provocava la presenza di un simile comportamento nell’amico, sia per la soddisfazione di avere scoperto la data della spaccatura temporale. Poi sentì che in lui sorgeva il disgusto, molto più dal corpo che occupava che dalla sua mente.

— Nel mondo non c’è posto nemmeno per due persone che abbiano queste idee — sentì che la sua voce diceva amaramente, con aria di sfida.

— Sì, ma c’è posto per una — disse ridendo Clawly II. Poi aggrottò le sopracciglia e proseguì, come se parlasse sapendo che sarebbe stato meglio tacere: — Senti, perché non provi a fare la stessa cosa? Hai una sola possibilità, con i Servitori, ed è quella di essere utile a loro. Ricorda, anche loro sono qualcosa a cui ci si deve adeguare.

Per un istante sembrò a Thorn che Clawly I stesse lottando per guardare attraverso gli occhi di Clawly II. Mentre cercava di controllare le contrastanti emozioni provocate in lui dalla vista di quella strana espressione, Clawly II lo afferrò per un braccio e lo guidò verso la zona più lenta della corrente, la zona eterna, poi verso una zona d’immobilità che si trovava davanti a un corridoio.

— Non parlare, d’ora in poi — disse Clawly — ma ricorda il mio consiglio.

All’ingresso del corridoio c’erano delle guardie dal volto grifagno, ma bastò nuovamente un semplice — Con una persona per i Servitori — a farli passare.

Una porta bassa e grigia, senza numeri né insegne, si trovava alla fine del corridoio. A pochi metri di distanza si trovava una stretta porta secondaria. Clawly II toccò qualcosa, e la porta secondaria si aprì. Thorn lo seguì all’interno. Dopo qualche passo lungo un corridoio immerso nella penombra e in leggera discesa, arrivarono in una stanza ampia, ma Clawly II si fermò all’ingresso. Toccò nuovamente qualcosa. Una porta uscì silenziosamente dalla parete, alle loro spalle, mutando l’ultima parte del corridoio in una oscura nicchia della stanza che si trovava davanti a loro. Clawly II indicò a Thorn di attendere e osservare, e si appoggiò alla parete con un lieve sorriso.

9

Si trattava di una stanza notevolmente spoglia, più piccola di quanto avesse immaginato, con un soffitto molto basso. Era ammobiliata con ostentata semplicità, e nulla interrompeva la grigia monotonia delle pareti.

Intorno a un grande tavolo sedevano undici uomini. Le loro tuniche grigie, sebbene fossero pulite, sembravano quelle dei mendicanti. Erano tutti vecchi, alcuni calvi, altri con i capelli bianchi o grigi. Sedevano tutti in una posizione eretta.

La prima cosa che colpì Thorn… che lo sorprese… fu che i Servitori del Popolo non avevano un aspetto affatto maligno, né perverso e neppure feroce.

Ma guardandoli una seconda volta, Thorn cominciò a domandarsi se non ci fosse qualcosa di peggio. Un’inflessione puritana che non conosceva umorismo. Una soffocante consapevolezza delle responsabilità, come se tutti i guai del mondo fossero posati sulle loro spalle. Un’indifferenza paterna, come se tutti gli altri fossero bambini irresponsabili. Un altruismo così presuntuoso da diventare egoismo. Un’intollerabile sensazione di importanza personale che gli abiti da mendicante e l’ambiente squallido servivano soltanto a mettere in risalto.

Ma Thorn aveva appena intuito tutto questo, dato che non aveva avuto tempo per osservare con maggiore attenzione i volti, se non per notare che un paio d’essi gli erano vagamente familiari, perché la sua attenzione fu attirata da un uomo che era in piedi al capo opposto del tavolo, e che concentrava su di sé gli sguardi degli altri.

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