— Siamo un po’ come sciacalli, no? — osservò Phil trasognato.
Carstairs gli torse i risvolti della giacca. — Chi sono!
Phil non disse niente, ma si voltò di scatto udendo la voce metallica di Moe Brimstine. — Che cosa vuoi, bello?
Llewellyn aveva dato uno strattone al moncone di braccio che sporgeva dalla parete.
— Lascia stare — ordinò Carstairs, abbandonando Phil.
— Prenditela calma, Carstie, vecchio mio — disse Llewellyn facendo lampeggiare i denti in un sorriso. — C’è una cosa piuttosto strana. Vedete quel buco nel muro, fatto dal raggio che ha tagliato il braccio robot? Bene, adesso guardate dalla parte opposta, in linea retta.
Seguendo come gli altri l’indicazione di Llewellyn Phil vide un profondo buco nel pavimento, un paio di metri circa alle loro spalle.
— Non capisco — disse Buck. — Vuoi dire che qualcuno ha sparato quel raggio dal piano di sotto?
— Non credo proprio — replicò Llewellyn. — Evidentemente si tratta di un fucile che spara contemporaneamente in direzioni opposte. Penso che se ci fossimo guardati alle spalle, in cima alle scale avremmo visto dei tagli esattamente opposti a quelli della rete.
Guardò Carstairs socchiudendo gli occhi. — Comincio a pensare che questi ortho siano delle armi piuttosto strane, Carstie. — Poi rivolse lo sguardo verso Phil. — Avete detto che sono blu e sfrigolano, signor Gish. Sparano anche all’indietro?
— Ehi, guardate qui questo microfono — li interruppe Buck, che era andato a curiosare lungo il muro alle spalle della guardia. — C’è un bottone, con uno strano aggeggio attaccato che l’ha schiacciato due volte mentre lo guardavo.
— Non toccarlo — disse Carstairs. — Probabilmente è un bottone che il nostro Testamozza doveva schiacciare ogni tanto per far sapere che era di guardia. Chiunque ci ha preceduti, sapeva il fatto suo. Te lo chiedo ancora una volta, pagliaccio: chi sono?
— Già, sputa fuori — disse Buck affiancandosi a Carstairs. — È colpa tua se il mio Otie è stato ucciso.
— Sì, parla — incalzò Llewellyn, lasciando andare il moncone di braccio, che si ritirò contro la parete finché non sembrò una cicatrice raggrinzita, nello stesso istante, come se le ferite interne cominciassero a farsi sentire, una versione metallica della voce di Moe Brimstine gracchiò: — Così va bene, bello. Vai via e non tornare più.
In quel momento, mentre l’inquietante ammonimento aveva immobilizzato tutti, Phil si incamminò con la tranquilla superiorità prodotta dalla droga, passando oltre Llewellyn e l’arco.
— Signori — disse — penso che vogliate visitare la stanza del tesoro.
La stanza non aveva un soffitto molto alto, ma era tanto grande che la sola parete chiaramente visibile era quella alle loro spalle. Non era molto illuminata, ma dava lo stesso l’impressione di esserlo per via degli oggetti lucidi, ordinatamente allineati, su cui si rifletteva la luce. A sinistra c’erano file e file di robot venditori, luccicanti, dalla forma di grosse tartarughe, con una cupoletta in cima: gli stessi efficienti venditori metallici che dalla mattina alla sera vagavano per le strade, individuando i clienti per mezzo di radar ipersonici e di analizzatori visuali. Soltanto che ora le loro affascinanti vetrinette erano chiuse, le loro braccia per raccogliere il denaro e offrire la merce accuratamente ripiegate, le instancabili ruote sotto il loro guscio di metallo immobili, le loro voci soavi, ricche di misurato sex appeal robotico (voci maschili per le donne, femminili per gli uomini, allegre e sagge per i bambini), erano egualmente silenziose.
A destra, allineati con la stessa precisione, c’erano le schiere dei robot manichini, abbigliati nelle fogge più varie: dai vestiti da sera con collo di zibellino ai gioielli da bagno. I loro capelli brillavano in centinaia di sfumature, la loro carnagione di plastica emanava una vellutata seduzione, avevano le pose di principesse, ma, come i robot venditori, erano immobili. Non camminavano con passo armonioso, non facevano gesti eleganti, individualizzati, e neppure sorrisi misteriosi e altezzosi; le loro labbra non si aprivano per descrivere qualità e prezzi degli abiti che indossavano. Fissavano tutte davanti a sé come mummie egiziane non ancora avvolte nelle bende, e in effetti una di esse, coronata e vestita di una guaina aderente, sembrava la copia esatta di Nefertiti.
Parve a Phil che quelle file di venditori e indossatrici robot fossero in realtà allineate per una parata militare, che avesse in quel momento di fronte agli occhi l’armata (l’armata del denaro e della moda) della Divertimenti SpA.
Llewellyn fu il primo a rompere il silenzio. Si buttò sul primo robot ed eseguì alcune rapide operazioni. Si udì un clic e fra le sue mani apparve una manciata di biglietti e di monete, mentre il bianco degli occhi brillava gioiosamente sul suo viso nero.
— Hanno ancora l’incasso della giornata! — chiamò sottovoce.
Buck guardò dall’armata del denaro a quella della moda con famelica indecisione. Quando Carstairs grugnì sprezzante, si affrettò a raggiungere Llewellyn, messosi metodicamente al lavoro sulla prima fila di robot.
Malgrado il suo apparente autocontrollo, era evidente che anche a Carstairs prudevano le mani. Guardò Phil incerto. Poi comandò seccamente: — Sveglia, Mitzie! — Lei gli si rivolse obbediente, con un viso stranamente apatico. — Mitz, voglio che tu faccia la guardia al pagliaccio. Se cerca di tagliare la corda o di schiacciare qualche bottone, usa il coltello. — Lei annuì.
— Ehi! — chiamò Buck con un sussurro eccitato. — Qui c’è un gruppo di robot giocatori!
Carstairs non si mosse subito, anche se per l’impazienza di mettersi all’opera continuava a far schioccare senza rumore le dita. Studiò rabbiosamente Mitzie. — Mi sono spiegato, Mitzie? Non voglio passi falsi. Ne hai già fatto uno oggi. Non che pensi che tu abbia un debole per quel pagliaccio, ma hai fatto un po’ la scema con lui. Adesso basta, chiaro?
Questa volta il suo cenno di assenso, benché muto come il primo, sembrò soddisfarlo, e Carstairs si affrettò a raggiungere Llewellyn e Buck.
Nello stesso momento, Phil si voltò e si infilò in una porta ad arco a fianco di quella per cui erano entrati. Non aveva fatto dieci passi lungo il corridoio curvo che Mitzie l’aveva raggiunto e si era messa di fronte a lui.
— Torna indietro — sussurrò. La sua mano teneva il coltello puntato contro il petto di Phil, senza tremare, neppure di quel tanto da far balenare sulla lama le luci pallide che si riflettevano dal soffitto.
Phil le sorrise. — Mitzie — disse gentilmente — i tuoi amici hanno trovato quello che cercavano, ma io no. Perciò lasciami passare.
Lei negò sprezzantemente, e gli appoggiò la punta del coltello alla camicia.
Phil non indietreggiò. — Devi lasciarmi passare — ripeté con dolcezza — perché non sei più tanto sicura che la crudeltà e l’astuzia, e se necessario anche l’uccidere a sangue freddo, siano i modi migliori per affrontare la vita. Non sei più sicura che l’approvazione della banda sia la sola cosa che conta. Ed è un’approvazione piuttosto forzata, Mitzie, e per ottenerla devi mostrarti obbediente, e fare giochi di equilibrismo, come quel povero cane sciocco, e il loro cameratismo non è affatto così romantico, fino alla morte, tutti per uno e uno per tutti, come vorresti far credere. Ma ora non ho tempo di dirti altro, perché devo andare.
— Torna indietro — ringhiò lei. Tuttavia Phil, benché il coltello gli sfiorasse la carne, sapeva che non era più un comando, ma una preghiera.
— Ora vado avanti, Mitzie — mormorò, e s’incamminò dritto, contro il coltello. Per qualche decina di centimetri la punta della lama arretrò esattamente alla sua stessa velocità, poi scivolò improvvisamente di lato, e mentre passava a fianco della ragazza, Phil udì l’inizio soffocato di un singhiozzo.
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