Fritz Leiber - Il verde millennio

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Il verde millennio: краткое содержание, описание и аннотация

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Nella solitudine della stanza in cui egli si ritrovava, la sua avventura allucinante gli stava passando davanti agli occhi. Si era sentito un altro, quel mattino, svegliandosi, quando aveva visto sul davanzale quel gatto stranissimo dal mantello di un verde smeraldo. La fuga del gatto, la visita allo psichiatra erano venute dopo; e poi, via via di seguito tutti gli altri fatti strani. Allucinazioni, sì. Ma qualcosa di vero sarebbe rimasto. Lo sdoppiamento del suo io sarebbe arrivato a qualcosa di concreto: una essenza di vita più buona, un mondo migliore in cui avrebbero agito una creatura di un altro mondo e una interminabile teoria di gatti dai mantelli tutti verdi.

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Phil ci pensò un momento. — Io l’ho fatto — disse con orgoglio.

— Sì, lo so — ammise lei — ma lui non ti ha mica preso sul serio.

Phil guardò Sacheverell. — E voi? — chiese. — Voi credete in Lucky.

Cookie gettò a Sacheverell un’occhiata di avvertimento. — Se uno solo di noi procura dei fastidi a Moe Brimstine per quel gatto, ci ritroveremo tutti quanti a respirare plastica fusa!

— Be’… — disse Sacheverell guardandosi intorno in cerca di consiglio. I suoi occhi si fissarono sulla moglie. — Mary, quali passi pensi che dovremmo compiere?

Mary, impegnata con la lingua fra i denti in una difficile opera di rifinitura, scosse le spalle. — Non mi interessa quello che volete fare voi — disse, togliendo una microscopica scaglia di cera. — Io sto lavorando su Moe Brimstine a modo mio — e sollevò, perché potessero vederla, una piccola testa di cera che già cominciava ad assumere l’aspetto di quella del vice capo della Divertimenti SpA. — E quando sarà finita — aggiunse — allora comincerò con gli aghi e gli spilloni!

Juno disse: — Ugh! — Cookie sembrò quasi impressionato. Sacheverell si morsicò pensosamente le labbra, osservando cautamente Jack e Cookie. — Sì — disse — suppongo che dopo tutto questo sia il sistema migliore.

— Va bene — disse Phil, e si avviò verso la porta.

— Dove credi di andare? — disse Cookie.

— A riprendere il gatto — disse Phil.

Vi fu un accorrere generale e tutti in coro cercarono di convincerlo dell’assurdità dell’impresa, ma fu Juno che lo afferrò per le spalle, facendolo voltare.

— Phil — disse — una volta tanto devo ammettere che questi deficienti hanno ragione. Non puoi fare niente per quel… quello stupido gatto. Devi ficcartelo nella zucca una volta per tutte.

Phil si limitò a sorridere.

Lei scosse la testa con aria disgustata. — Non avrei dovuto farti bere il whisky.

— Non è colpa del whisky, ma di quello che ci hai messo dentro — intervenne Cookie. — È completamente sbronzo.

Phil gli sorrise serenamente, come per confermare la sua opinione, e allora, d’improvviso, si ritrassero tutti, e per un attimo lui pensò che avessero riconosciuto la sua ferma determinazione e si fossero inchinati all’inevitabile. Poi si accorse che stavano guardando oltre le sue spalle e sentì un soffio d’aria fredda che proveniva dall’esterno.

Il dottor Romadka appoggiò una valigia nera nell’ingresso, disse sorridendo: — Salve Sacheverell, salve Mary — e fece un cenno di saluto a Jack, a Juno e a Cookie, prima di rivolgere, come per caso, lo sguardo a Phil.

— E bravo Phil — disse allegramente l’analista — mi avete fatto fare una bella corsa. È già tanto che sia riuscito a trovarvi. Avevamo iniziato una conversazione molto interessante e sono ansioso di continuarla. — Lanciò una breve occhiata agli altri. — Spero ci vorrete scusare se parliamo un momento di faccende professionali. Vedi, Phil — continuò con tono persuasivo — immagino che la… ehm, persona che ti ha persuaso, o meglio obbligato a fuggire, abbia cercato di metterti in testa le idee più strane. Ma sono sicuro di poterti dimostrare in pochi minuti quanto siano assurde. Detto per inciso, si tratta della stessa persona che aveva spento le luci e bloccato tutte le porte. Una bella imbrogliona, non ti pare? E pensare che è mia figlia. Adesso saluta i tuoi amici, Phil… Spero che non ce l’avranno con me se ti porto via…

Mentre finiva il suo discorso, il dottor Romadka si era fatto avanti, e la luce fece risaltare chiaramente i quattro graffi sulla guancia. Mary disse malignamente: — Anton, non ho mai creduto a quella paziente pazza furiosa che minaccia sempre cose terribili, ma ora devo ammettere di essermi sbagliata. Qualcuno ti ha dato proprio delle belle unghiate.

Il sorriso del dottor Romadka impallidì un poco. — A volte le illusioni si rivelano reali, Mary — disse scherzosamente — anche se il mio lavoro consiste nel provare il contrario. Vero, Phil? Proprio come non c’è nessuna donna con gli zoccoli e il pelo che si dimentica di oscurare la finestra prima di spogliarsi.

— O nessun gatto verde — aggiunse Phil calmo.

— Già, appunto — fece il dottor Romadka, secco.

— Ma perché non ammettere, caro dottore — continuò freddamente Phil — che anche il gatto verde è una di quelle illusioni che si rivelano molto reali? E che voi lo state cercando? Non cogliereste affatto di sorpresa questi signori: tutti lo hanno visto.

Gli occhi del dottore si fecero improvvisamente sospettosi, e lo restarono anche quando Cookie disse in tono scandalizzato: — Noi non abbiamo visto niente — e Jack confermò: — Dottore, non sappiamo di cosa sta parlando quello lì. Ma di sicuro è matto. È per questo che ve l’avevo mandato.

Phil osservò divertito lo psicoanalista scrutare Juno, Sacheverell e Mary. Poi rise e disse loro misteriosamente: — Per voi potrebbe essere peggio se vado via col dottore invece che mettermi contro Brimstine.

Gli occhi di Romadka si fecero ancora più sospettosi, ma Jack intervenne: — Sentite, dottore, avete intenzione di prendervi cura di questo tipo e di rinchiuderlo da qualche parte, in modo che non possa più dare fastidi?

— Di questo potete starne certi — fece brusco il dottor Romadka, mettendo da parte i sorrisi e le finzioni. — Ficcati bene in testa, Phil, che tu verrai con me, ti piaccia o no. E se per caso ti venisse voglia di scappare ancora, sappi che ho degli amici fuori.

— Allora va bene — disse Jack. — Io sono d’accordo. Saremo felici di sbarazzarcene.

Juno, che da un pezzo aveva la fronte aggrottata, scosse la testa come un toro confuso. — Accidenti, Jack, non lo so mica io. Non mi piace questa storia.

— Juno… — cominciò Jack minacciosamente.

— Non mi piace l’idea di gettare questo poveretto in pasto ai lupi — finì lei con aria di sfida.

— In pasto ai lupi, signora Jones? — disse il dottor Romadka con aria minacciosa — È una cosa necessaria per il bene di tutti Per favore, spiegate…

Proprio in quel momento Sacheverell si fece avanti con grande decisione. Non c’era più alcuna traccia di simpatia nell’occhiata dura che lanciò a Phil. — Penso che Anton e Jack abbiano ragione — disse, afferrando Phil per un braccio e spingendolo verso la porta. — Sono stanco dei vostri inganni, signor Gish. Andate subito con Anton e i suoi amici, senza tante storie.

Phil udì un grugnito di soddisfazione da parte del dottor Romadka. Cercò di liberarsi da Sacheverell, ma questi lo strinse ancora più forte e quando la sua bocca fu vicino all’orecchio di Phil, mormorò. — Sali le scale, due rampe.

Sacheverell diede a Phil una brusca spinta mentre lui stesso finiva addosso al dottor Romadka, che si era chinato per raccogliere la borsa nera, riuscendo contemporaneamente a gettare a terra l’antica lampada da pavimento che illuminava debolmente l’ingresso.

Phil si lanciò su per la scala cigolante nell’improvvisa oscurità, aiutandosi a tentoni con la ringhiera traballante. Alle sue spalle si udivano grida e passi in corsa. Il più vicino era Sacheverell che urlava con quanto fiato aveva in gola: — Eccolo! Inseguiamolo!

Phil raggiunse il pianerottolo, poi la seconda rampa, con Sacheverell sempre alle spalle simile a un pipistrello verde.

Arrivati in cima, afferrò Phil e lo spinse dentro una porta. Per un attimo le loro facce si trovarono vicine.

— Fuori dalla finestra, poi sulla trave — gli sussurrò. — Bisogna osare tutto per Lui!

La porta si richiuse e udì Sacheverell urlare: — È in soffitta. Seguitemi. — Phil si ritrovò nell’oscurità, di fronte a un’alta finestra debolmente illuminata dall’esterno, mentre sul pavimento ai suoi piedi correvano freneticamente i topi che avevano fatto della stanza il loro rifugio.

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