Robert Bloch - Diretto per l’inferno

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Diretto per l’inferno: краткое содержание, описание и аннотация

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Sorrise a questo pensiero e poi improvvisamente il sorriso gli si torse sul volto teso, mentre un dolore acuto e tagliente gli penetrava il petto. Il mondo cominciò a vorticargli intorno mentre egli piombava giù ai piedi della massicciata. Non riusciva a vedere molto bene, ma era ancora cosciente e capì che cosa era successo: un altro infarto e brutto. Forse questa era la volta buona. Solo che non poteva gingillarsi più a lungo: non poteva più aspettare per vedere cosa c’era dietro l’angolo.

Ora, ora era il momento di usare il suo potere, di salvare la sua vita. Ora! Stava per farlo. Poteva ancora muoversi, niente gli avrebbe impedito di farlo.

Frugò nella tasca, ne trasse il vecchio orologio d’argento, giuoco con le dita sul bottone di carica. Pochi giri, e avrebbe battuto la morte; pochi giri, e nessuno l’avrebbe fatto salire sul Diretto per l’Inferno. Avrebbe potuto restare così per sempre.

Per sempre.

Martin non aveva mai fatto caso alla parola, prima di allora. Continuare per sempre… ma cornei Realmente voleva continuare a essere per sempre un vecchio ammalato, disteso senza aiuto nell’erba?

No, non poteva. Non voleva. E improvvisamente desiderò profondamente il pianto, perché comprendeva che in qualche luogo lungo la sua via egli si era beffato da solo, e adesso era troppo tardi. I suoi occhi si velarono, mentre alle orecchie gli giungeva un frastuono.

Riconobbe il rumore, naturalmente, e non fu per niente sorpreso di vedere il treno sbucare dalla nebbia sferragliando sulla massicciata; e non si stupì quando il treno si arrestò ed egli vide il Macchinista balzarne fuori e venirgli lentamente incontro. Il Macchinista non era cambiato in niente; anche il sorriso era lo stesso.

— Salve, Martin — disse. — Passeggeri in carrozza.

— Lo so — sussurrò Martin. — Ma dovrà caricarmi lei, non posso camminare. Non riesco nemmeno a parlare, vero?

— Ma sì, che stai parlando; ti sento benissimo. E puoi anche camminare. — Si chinò e gli posò una mano sul petto; dopo un attimo di gelida sonnolenza, Martin si sentì di nuovo in grado di camminare. Si alzò e seguì il Macchinista su per la massicciata, verso la fiancata del treno.

— Qui? — domandò.

— No, l’altra carrozza — mormorò il Macchinista. — Credo che tu abbia diritto alla prima classe; sei un uomo di successo, hai avuto il piacere della ricchezza, della posizione, del prestigio; hai conosciuto le gioie del matrimonio e della paternità; hai provato il gusto di mangiare e bere, e anche di fare dei compromessi, e poi hai viaggiato in lungo e in largo; quindi, niente rimpianti all’ultimo momento.

— Bene — sospirò Martin. — Non posso dare la colpa a lei per i miei errori. D’altra parte, lei non può farsi un credito di quanto ho avuto, perché ho lavorato per ogni cosa ottenuta. Ho fatto tutto da solo. Non ho nemmeno avuto bisogno del suo orologio.

— Ah, così? — disse sorridendo il Macchinista. — Ti dispiace restituirmelo, adesso?

— Buono per il prossimo babbeo, eh? — mormorò Martin.

— Forse.

Qualcosa in quel modo di parlare indusse Martin a levare il capo, cercando di scrutare gli occhi del Macchinista, ma la visiera del berretto li teneva in ombra. Così Martin riabbassò lo sguardo sull’orologio.

— Mi dica una cosa — domandò dolcemente. — Se le ridò l’orologio, cosa ne farà?

— Be’, lo butterò nel fosso, ecco cosa farò — gli rispose il Macchinista, allungando la mano.

— E se qualcuno, passando, lo trovasse? e se girasse all’indietro il bottone? se fermasse il Tempo?

— Nessuno lo farà — mormorò il Macchinista. — Nemmeno se sapesse la storia.

— Vuol dire che era tutto un trucco? che questo è soltanto un normale orologio da pochi soldi?

— No — sussurrò il Macchinista — non ho detto questo: ho detto che nessuno girerebbe il bottone all’indietro. Sono tutti come te, Martin: sempre avanti, in cerca della felicità perfetta, in attesa del momento che non arriverà mai. — Il macchinista allungò di nuovo la mano.

Martin sospirò e scosse il capo. — In fondo, lei si è giocato di me.

— Tu stesso ti sei giocato, Martin. Adesso però sali sul Diretto per l’Inferno.

Spinse Martin su per i gradini dentro al vagone. Appena furono entrati, il treno cominciò a muoversi e il fischio lacerò la notte. Martin si trovò nella carrozza traballante cercando negli scompartimenti i volti dei passeggeri. Erano tutti lì seduti e in un certo senso la cosa non sembrava affatto strana.

Eccoli, gli ubriaconi e i peccatori; ecco, i giocatori, gli imbroglioni, i perditempo, i puttanieri e tutta l’allegra brigata. Sapevano dove stavano andando tutti quanti, ma non sembravano preoccuparsene. Le tendine erano tirate sui finestrini, ma dentro c’era luce, e tutti se la stavano spassando; cantavano e facevano girare la bottiglia, ridevano come matti, giocavano ai dadi, raccontavano barzellette e sparavano colossali spacconate, proprio come il padre di Martin cantava nella vecchia canzone.

— Una compagnia proprio in gamba — osservò Martin. — Certo, non ho mai visto un mazzo di gente così simpatica. E pare che si divertano sul serio!

Il Macchinista si strinse nelle spalle: — Ho paura che non saranno più tanto eccitati, quando arriveremo giù in Rimessa.

Per la terza volta, allungò la mano: — Adesso, prima che tu sieda, ridammi l’orologio, per favore. Gli affari sono affari.

Martin sorrise. — Gli affari sono affari — fece eco. — Io avevo accettato di salire sul suo treno se avessi potuto fermare il Tempo quando avessi trovato il giusto momento di felicità: e adesso credo di essere contento come non lo sono mai stato.

Con estrema lentezza, Martin pose le dita sul bottone di ricarica dell’orologio d’argento.

— No! — annaspò il Macchinista. — No! — Ma il bottone ruotò.

— Ti rendi conto di che cosa hai combinato? — gridò isterico il Macchinista. — Adesso non potremo mai più arrivare alla Rimessa! Non faremo che viaggiare, viaggiare… tutti, per sempre!

Martin sorrise e disse: — Lo so. Ma il piacere sta nel viaggio, non nella mèta: me l’ha insegnato lei. Così, forse posso anche rendermi utile: se mi potesse trovare un altro di questi berretti, e mi lascia tenere l’orologio.

E la storia è finita così: con il suo berretto e il vecchio orologio d’argento tutto ammaccato, non c’è e non ci sarà mai nell’universo intero una persona più felice di Martin. Martin, il nuovo Frenatore del Diretto per l’Inferno.

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