Robert Bloch - Diretto per l’inferno

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Diretto per l’inferno: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando si destò ebbe un momento di indecisione, ma ormai la strada era tracciata: prima della fine del mese Martin fu assunto da un imprenditore per lavorare a un grosso piano di ricostruzione dalle parti del South Side. Il lavoro non gli andava per niente, ma la paga era buona e presto poté permettersi un appartamentino monolocale sulla Blue Island Avenue, si abituò a mangiare in ristoranti decorosi, si comperò un letto confortevole e passava tutti i sabati sera al bar dell’angolo. Era tutto molto bello, ma…

Il suo datore di lavoro era contento di lui e gli aveva promesso un aumento per il mese seguente: quindi, se avesse aspettato ancora un mese, l’aumento gli avrebbe dato la possibilità di permettersi un’auto di seconda mano. Con un’auto, avrebbe potuto dare appuntamento a qualche ragazza, di quando in quando. Altri suoi colleghi lo facevano e sembravano molto contenti. Così Martin continuò a lavorare, e così giunsero l’aumento, l’automobile e qualche ragazza.

La prima volta che ebbe tutto, fu preso dal desiderio di scaricare l’orologio immediatamente, ma poi gli venne fatto di pensare a quello che qualcuno dei più anziani gli diceva sempre. C’era un tizio che si chiamava Charlie, per esempio, che lavorava con lui sul montacarichi, che gli diceva: — Fin che sei giovane e non conosci il trucco, può darsi che ti lasci impressionare da queste troie con cui trotterelli in giro, ma dopo un po’ impari a volere qualcosa di meglio. Una ragazza tutta per te, ecco il segreto.

Martin pensò che era giusto provare. E se non gli fosse piaciuto di più, sarebbe sempre potuto tornare indietro a quello che aveva.

Passarono quasi sei mesi prima che incontrasse Lillian Gillis. A quei tempi si era guadagnato un altro avanzamento e lavorava dentro, in ufficio. Lo facevano andare alla scuola serale per impratichirsi con la contabilità, ma questo voleva dire altri quindici sacchi in più ogni settimana e poi lavorare al coperto era meglio.

Lillian era splendida. Quando gli disse che accettava di sposarlo, Martin si sentì sicuro che fosse giunto il momento; solo che lei era… insomma, lei era una ragazza in gamba e disse che bisognava aspettare prima di sposarsi. Naturalmente Martin non poteva sposarla fino a che non avesse messo da parte un po’ di soldi e poi un altro scatto in su sarebbe stato proprio benvenuto.

Ci volle un anno. Martin restò paziente, perché sapeva che ne sarebbe valsa la pena. Ogni volta che aveva dubbi tirava fuori il suo orologio e lo guardava. Però non lo fece mai vedere né a Lillian né ad alcun altro. La maggior parte degli altri uomini avevano costosi orologi da polso e il vecchio orologio d’argento da ferroviere aveva proprio l’aria della cosina a buon mercato.

Martin sorrideva guardando il bottone della ricarica. Pochi giri soltanto ed egli avrebbe avuto qualcosa che nessuno degli altri poveri sgobboni avrebbe mai posseduto: la felicità perpetua con una deliziosa mogliettina…

Invece il matrimonio si rivelò soltanto un punto di partenza. Certo, era meraviglioso, ma Lillian gli disse che le cose sarebbero andate molto meglio per loro se avessero potuto cambiare casa e stabilirsi altrove. Martin voleva del mobilio decoroso, un televisore e una bella macchina.

Così cominciò a frequentare dei corsi serali e giunse a una promozione all’ufficio principale. Mentre aspettava un figlio, decise che doveva attendere di vederlo nato. Una volta che il pupo fu arrivato, si rese conto che doveva aspettare che crescesse un po’, che cominciasse a camminare e a parlare, che si facesse una personalità.

A quell’epoca la compagnia lo mandò in giro come ispettore nei vari settori ed egli arrivò a mangiare nei ristoranti di classe, a vivere a un livello superiore, ad avere un conto spese. Più di una volta fu tentato di scaricare la molla dell’orologio: quella sì, che era vita!… Naturalmente sarebbe stato anche meglio se non avesse avuto da lavorare. Prima o poi, se avesse potuto entrare direttamente negli affari della compagnia, avrebbe potuto far fagotto e ritirarsi; allora ogni cosa sarebbe stata ideale.

Ci arrivò, ma ci volle del tempo. Il figlio di Martin era già al liceo prima che egli riuscisse a mettersi negli affari. Martin sentì fortemente che era adesso o mai, perché non era proprio più un ragazzo. Ma fu allora che incontrò Sherry Westcott.

Lei non aveva l’aria di considerarlo ormai invecchiato, nonostante cominciasse a perdere capelli e ad aumentare la pancia. Gli disse che un parrucchino avrebbe potuto coprire la macchia della calvizie e che una panciera avrebbe contenuto la ciccia. Gli insegnò effettivamente un mucchio di cose ed egli si divertì talmente a imparare che a un certo punto prese fuori l’orologio e si preparò a scaricarlo.

Sfortunatamente scelse il momento esatto in cui alcuni investigatori privati sfondarono la porta della stanza d’albergo e quindi ci fu un bel periodo di tempo durante il quale Martin fu tanto preso nell’azione di divorzio che onestamente non avrebbe potuto dire di essere contento. Quando firmò l’accordo con Lil, era di nuovo a terra e Sherry non aveva più l’aria di considerarlo tanto giovanile, in fondo. Così si scrollò le spalle e tornò al lavoro.

Riuscì di nuovo a ritirarsi in bellezza, ma questa volta gli ci volle un bel po’ di fatica e non ebbe il tempo di trovare qualcosa di bello per strada. Le signore affascinanti ai sofisticati cocktails non lo attiravano più e nemmeno lo interessava l’alcool; e oltre tutto il medico gli aveva detto di starne lontano.

C’erano altri piaceri che un uomo ricco poteva cercarsi: i viaggi, per esempio; e non le camminate lungo i binari da un villaggio all’altro. Con l’aereo o in crociera di lusso Martin girò il mondo. E giunse l’istante in cui credette che, dopo tutto, era riuscito a ritrovare il suo momento: fu in una notte di luna davanti al Taj Mahal. Martin allora prese il vecchio orologio ammaccato e si preparò a fermare il tempo. Nessuno era là a guardarlo.

Proprio per questo, esitò: sì, era un momento di gioia, ma egli era solo. Lil e il ragazzo se n’erano andati. Sherry se n’era andata e in un modo o nell’altro non aveva avuto tempo di farsi degli amici. Forse, se avesse incontrato qualcuno che gli fosse congeniale, avrebbe raggiunto l’ultima felicità. Qui era la risposta, certo: la felicità non stava nel denaro, nella potenza o nel sesso o nelle belle cose viste; la felicità era nell’amicizia.

Così, durante la crociera di ritorno, Martin cercò di stringere qualche amicizia al bar della nave, ma tutti erano molto più giovani ed egli non aveva niente in comune con loro. Volevano ballare e bere e Martin non era in condizioni di apprezzare quelle cose ormai passate. Ci provò lo stesso e fu forse a causa di questo che ebbe il piccolo incidente il giorno prima che la nave attraccasse a San Francisco. “Piccolo incidente” era la definizione del medico di bordo, però Martin si accorse che lo aveva guardato molto preoccupato quando gli aveva detto di starsene a letto e aveva chiamato un’ambulanza perché venisse sul molo per portare il paziente direttamente all’ospedale.

All’ospedale, nessun dispendioso trattamento, nessun costoso sorriso, nessuna preziosa parola trassero Martin in inganno. Era un vecchio con un cuore in rovina ed erano tutti convinti che stesse per morire.

Ma lui poteva ridersela di tutti, aveva l’orologio: se lo trovò nel soprabito quando si vestì e uscì dall’ospedale. Non doveva morire, poteva eludere la morte solo con un gesto e voleva compierlo da uomo libero, fuori di quelle mura, sotto il grande cielo.

Questo era il segreto della vera felicità, solo ora lo capiva: nemmeno l’amicizia contava quanto la libertà, la cosa migliore fra tutte. Libero da amici, famiglia, desideri.

Martin camminava lentamente lungo la massicciata sotto il cielo notturno; ripensandoci, era giunto di nuovo proprio dove aveva cominciato tanti anni prima, ma il momento era buono, buono abbastanza per essere prolungato per sempre. Era stato un vagabondo, era restato per sempre un vagabondo.

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