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Jack Vance: I signori dei draghi

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Jack Vance I signori dei draghi

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Anche pubblicato come “Uomini e draghi”, “I padroni dei draghi”, “Il Signore dei draghi”.

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Per venti secondi i due uomini si fissarono negli occhi. Poi l’Armiere trasse un profondo respiro. — Mi spiegherò usando le tue parole, in modo che tu comprenda. Esistono certezze… no, non certezze. Esistono i definiti. Sono unità di certezza, quanti di necessità e d’ordine. L’esistenza è la costante successione di tali unità, una dopo l’altra. L’attività dell’universo può venire espressa riferendosi a tali unità. L’irregolarità, l’assurdità… sono come… un mezzo uomo, con mezzo cervello, mezzo cuore, metà di tutti i suoi organi vitali. Né le une né l’altro possono esistere. Il fatto che tu trattenga prigionieri ventitré Riveriti è un’assurdità di questo genere: un oltraggio al flusso razionale dell’universo.

Kergan Banbeck levò le mani e si rivolse di nuovo al sacerdote. — Come posso far cessare questa pazzia? Come posso fargli intendere la ragione?

Il sacerdote rifletté. — Non dice pazzie, ma usa piuttosto un linguaggio che tu non riesci a comprendere. Potrai fargli comprendere il tuo linguaggio cancellando dalla sua mente tutte le nozioni impresse dall’addestramento, e sostituendole con schemi tuoi.

Kergan Banbeck dominò un inquietante senso di frustrazione e di irrealtà. Per ottenere risposte esatte da un sacerdote, era necessaria una domanda esatta: era già straordinario che quel sacerdote rimanesse lì a farsi interrogare. Riflettendo scrupolosamente, chiese: — Come mi consigli di comportarmi con quest’uomo?

— Lascia liberi i ventitré greph. — Il sacerdote toccò le borchie gemelle nella parte anteriore della collana d’oro: era un gesto rituale indicante che, sia pure con riluttanza, aveva compiuto un atto che poteva, concepibilmente, modificare il corso del futuro. Batté di nuovo le dita sul monile e intonò: — Lascia liberi i greph; allora lui se ne andrà.

Kergan Banbeck lanciò un grido di rabbia trattenuta. — Ma tu chi servi? L’uomo o il greph? Sentiamo la verità! Parla!

— Per la mia fede, per il mio credo, per la verità del mio tand , io non servo altri che me stesso. — Il sacerdote girò il volto verso il grande picco di Monte Gethron e si allontanò lentamente. Il vento faceva svolazzare lateralmente i suoi lunghi, finissimi capelli.

Kergan Banbeck lo guardò allontanarsi, e poi, con fredda decisione, si rivolse di nuovo all’Armiere. — La tua discussione delle certezze e delle assurdità è interessante. Ritengo che le abbia confuse. Ecco una certezza, dal mio punto di vista: non lascerò liberi i ventitré greph, a meno che tu accetti le mie condizioni. Se ci attaccherete ancora, li taglierò a metà, per illustrare e realizzare la tua similitudine, e forse ti convincerò che le assurdità sono possibili. Non ho altro da dire.

L’Armiere scosse lentamente la testa in un gesto di commiserazione. — Ascolta, ti spiegherò. Certe condizioni sono impensabili. Sono inquantificabili, non destinate…

— Vattene — tuonò Kergan Banbeck. — Altrimenti andrai a far compagnia ai tuoi ventitré Riveriti, e ti insegnerò quanto può diventare reale l’impensabile!

L’Armiere e i due Battitori, gracchiando e borbottando, si voltarono, si ritirarono dal Labirinto all’Orlo dei Banbeck e discesero nella valle. Il velivolo li sorvolava svolazzando come una foglia cadente.

Osservandoli dal loro rifugio tra i picchi, gli uomini della Valle dei Banbeck assistettero poco dopo a una scena straordinaria. Mezz’ora dopo che l’Armiere era ritornato alla nave, ne uscì di nuovo, saltando, danzando, caprioleggiando. Altri lo seguirono, Armieri, Battitori, Fanti e altri otto greph… e tutti sussultavano, saltavano, correvano avanti e indietro, a passi disperati. Dagli oblò della nave si irradiarono luci di vari colori, e poi si levò un lento suono crescente di meccanismi torturati.

— Sono impazziti! — mormorò Kergan Banbeck. Esitò un istante, poi impartì un ordine. — Radunate tutti gli uomini! Attacchiamoli mentre non sono in grado di difendersi!

Dal Labirinto Alto si avventarono gli uomini della Valle dei Banbeck. Mentre scendevano dagli strapiombi, alcuni uomini e donne della Valle di Sadro, che erano stati catturati, uscirono timidamente dalla nave, e poiché non incontrarono resistenza fuggirono verso la libertà, attraverso la Valle dei Banbeck. Altri li seguirono… e poi i guerrieri di Banbeck raggiunsero il fondovalle.

Accanto all’astronave, la follia si era acquietata. Gli esseri venuti da un altro mondo stavano ammassati in silenzio accanto allo scafo. Poi vi fu un’esplosione improvvisa, sconvolgente, un vuoto di fuoco bianco e giallo. La nave si disintegrò. Un grande cratere deturpava adesso il fondovalle: frammenti di metallo cominciarono a piovere sui Guerrieri di Banbeck lanciati all’assalto.

Kergan Banbeck fissava a occhi sbarrati quella scena di distruzione.

Lentamente, abbassando le spalle, chiamò la sua gente e la condusse verso la loro valle devastata. Alla retroguardia, legati insieme da funi, venivano i ventitré greph, con gli occhi spenti, docili, già lontani dalla loro precedente esistenza.

La struttura del Destino era inevitabile. Le circostanze attuali non potevano essere valide per ventitré Riveriti. Perciò il meccanismo doveva adattarsi, per assicurare la serena progressione degli eventi. I ventitré, quindi, erano qualcosa di diverso dai Riveriti: appartenevano a un ordine d’esseri completamente diversi.

Se questo era vero, che cos’erano? Rivolgendosi l’un l’altro questa domanda in sommessi, tristi toni gracchianti, scesero dagli strapiombi verso la Valle dei Banbeck.

III

Nei lunghi anni di Aerlith, le fortune della Valle Beata e della Valle dei Banbeck fluttuarono secondo le capacità dei Carcolo e dei Banbeck. Golden Banbeck, il nonno di Joaz, fu costretto a liberare la Valle Beata dal protettorato quando Uttern Carcolo, perfetto allevatore di draghi, produsse i suoi primi Diavoli. Golden Banbeck, a sua volta, sviluppò i Massacratori, ma lasciò che continuasse quella tregua irrequieta.

Trascorsero altri anni, Ilden Banbeck, figlio di Golden, un uomo fragile e inefficiente, morì cadendo da un Ragno imbizzarrito. Mentre Joaz era ancora un bambino malaticcio, Grode Carcolo decise di tentare la sorte contro la Valle dei Banbeck. Non aveva fatto i conti con Hendel Banbeck, prozio di Joaz e Capo dei Signori dei draghi.

Le forze della Valle Beata furono sconfitte nel Burrone della Stella Spezzata. Grode Carcolo fu ucciso e il giovane Ervis venne ferito gravemente da un Assassino. Per varie ragioni, che includevano la tarda età di Hendel e l’estrema giovinezza di Joaz, l’esercito dei Banbeck non seppe approfittare del vantaggio decisivo. Ervis Carcolo, sebbene sfinito per il sangue perduto e la sofferenza, riuscì a ritirarsi con una parvenza d’ordine, e per altri anni tra le valli vicine perdurò una tregua sospettosa.

Joaz maturò, divenne un giovane malinconico che, sebbene non suscitasse affetto entusiastico nel suo popolo, almeno non destava violente antipatie. Joaz ed Ervis Carcolo erano uniti da un reciproco disprezzo. Quando sentiva parlare dello studio di Joaz, con i libri, i rotoli, i modelli e le mappe, il complicato sistema ottico che permetteva di vedere attraverso la Valle dei Banbeck (e si diceva che i vetri fossero stati forniti dai sacerdoti), Carcolo levava le braccia al cielo in un gesto di disgusto. — Cultura? Puah! A che serve rotolarsi così nel vomito del passato? Dove porta? Doveva nascere sacerdote! Anche lui è un debole con la lingua acida e la mente ottenebrata!

Un itinerante che si chiamava Dàe Alvonso, e che esercitava i mestieri di menestrello, compratore di bambini, psichiatra e chiropratico, riferì lo sproloquio di Carcolo a Joaz, il quale scrollò le spalle. — Ervis Carcolo dovrebbe accoppiarsi con uno dei suoi Massacratori — disse. — In questo modo produrrebbe un essere invincibile, dotato della corazza dei Massacratori e dell’incrollabile stupidità di Carcolo.

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