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Jack Vance: I signori dei draghi

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Jack Vance I signori dei draghi

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Anche pubblicato come “Uomini e draghi”, “I padroni dei draghi”, “Il Signore dei draghi”.

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In un primo momento, Phade lo aveva giudicato freddo, ma poi aveva cambiato idea. Era, aveva pensato invece, un uomo annoiato e solo, dotato di un tranquillo umorismo che qualche volta sembrava un po’ lugubre. Ma la trattava senza scortesia e Phade, che provava con lui tutte le sue cento e una civetterie, non di rado aveva l’impressione di percepire una scintilla di reazione.

Joaz Banbeck smontò dal Ragno, gli ordinò di ritornare nella stalla. Phade gli andò incontro, diffidente, e Joaz le rivolse un’occhiata interrogativa e ironica. — Era necessaria una chiamata tanto urgente? Hai ricordato la diciannovesima posizione?

Phade arrossì, confusa. Ingenuamente, aveva descritto il faticoso rigore del suo addestramento, e adesso Joaz aveva alluso a un particolare d’una classificazione che le era sfuggito di mente.

Gli parlò in fretta, di nuovo agitatissima. — Ho aperto la porta del tuo studio, adagio, senza far rumore. E che cosa ho visto? Un sacerdote nudo, coperto solo dai suoi capelli. Lui non mi ha sentita. Ho chiuso la porta e sono corsa a chiamare Rife. Quando siamo tornati… la stanza era vuota!

Joaz Banbeck contrasse appena le sopracciglia, e guardò la valle. — Strano. — Dopo un momento domandò: — Sei sicura che lui non ti abbia vista?

— No. Credo di no. Eppure, quando sono tornata con quel vecchio stupido di Rife, era scomparso! È vero che conoscono la magia?

— Questo non lo so — rispose Joaz.

Risalirono la Via di Kergan, attraversarono gallerie e corridoi scavati nella pietra, e raggiunsero l’ingresso.

Rife si era di nuovo assopito sulla scrivania. Joaz accennò a Phade di stare indietro e, avvicinandosi senza far rumore, spalancò la porta dello studio. Si guardò intorno, con le narici frementi.

La stanza era vuota.

Salì le scale, andò a controllare la camera da letto e ritornò nello studio. A meno che vi fosse veramente di mezzo la magia, il sacerdote aveva trovato un’entrata segreta. Con questa idea in mente, fece ruotare la libreria, scese nel laboratorio e fiutò di nuovo l’aria, cercando l’odore dolce-acidulo dei sacerdoti. C’era una traccia? Forse.

Joaz esaminò la camera palmo a palmo, sbirciando in tutti gli angoli. Finalmente, lungo il muro, sotto il banco, scoprì una fessura appena percettibile che delineava un rettangolo.

Joaz annuì, con aria di cupa soddisfazione. Si rialzò e ritornò nello studio. Esaminò gli scaffali: cosa c’era lì, che potesse interessare un sacerdote? Libri, in-folio, opuscoli? Conoscevano anche l’arte della lettura? “La prossima volta che incontrerò un sacerdote dovrò informarmi” pensò Joaz vagamente. “Almeno, mi dirà la verità.” Poi, ripensandoci, si rese conto che quella domanda era ridicola; i sacerdoti, nonostante la loro nudità, non erano affatto barbari. Erano stati loro a fornirgli i quattro vetri panoramici… una realizzazione tecnica non da poco.

Esaminò il globo di marmo ingiallito che considerava il suo tesoro più prezioso: era una rappresentazione del mitico Eden. A quanto sembrava, non era stato spostato. Su un altro scaffale stavano in mostra i modelli dei draghi dei Banbeck: il Rissoso rosso-ruggine; l’Assassino dal Lungo Corno e suo cugino, l’Assassino dai Grandi Passi; l’Orrore Azzurro; il Diavolo, basso, immensamente forte, con la coda che terminava in una mazza ferrata; il ponderoso Massacratore, con la calotta cranica levigata, bianca come un guscio d’uovo. Un po’ in disparte stava il progenitore dell’intero gruppo: un essere pallido, madreperlaceo, ritto sulle due zampe posteriori, con due arti versatili centrali, e un paio di branchie multiarticolate al collo.

Per quanto quei modelli fossero splendidamente lavorati in ogni dettaglio, perché mai avrebbero dovuto stuzzicare la curiosità di un sacerdote? Non c’era alcun motivo, dato che quasi tutti gli originali potevano venire osservati ogni giorno senza difficoltà.

E il laboratorio, allora? Joaz si passò la mano sul lungo mento pallido. Non si faceva illusioni sul valore del suo lavoro. Era un pasticciare ozioso, nient’altro. Joaz accantonò ogni congettura. Molto probabilmente il sacerdote non era venuto a compiere una missione particolare, e la sua visita, forse, faceva parte di un’ispezione continuativa. Ma perché?

Bussarono alla porta: era il pugno irriverente del vecchio Rife. Joaz gli aprì.

— Joaz Banbeck, una comunicazione da parte di Ervis Carcolo della Valle Beata. Desidera conferire con te, e in questo momento attende la tua risposta sull’Orlo dei Banbeck.

— Benissimo — disse Joaz. — Conferirò con Ervis Carcolo.

— Qui? Oppure sull’Orlo dei Banbeck?

— Sull’Orlo, tra mezz’ora.

II

A dieci miglia dalla valle dei Banbeck, tra un panorama desolato di creste, picchi, guglie di pietra, crepacci spaventosi, burroni spogli e campi cosparsi di macigni e sferzati dal vento, si estendeva la Valle Beata. Era ampia quanto la Valle dei Banbeck, ma era lunga e profonda solo la metà: il fondo di terriccio depositato dal vento era meno spesso e perciò meno produttivo.

Il Consigliere Capo della Valle Beata era Ervis Carcolo, un uomo tozzo, dalle gambe corte e dal volto veemente, dalla bocca carnosa, e dall’indole di volta in volta giocosa e furibonda. A differenza di Joaz Banbeck, Carcolo amava soprattutto far visita alle caserme dei draghi, dove trattava tutti, signori dei draghi, stallieri e draghi, a urla e invettive.

Ervis Carcolo era un uomo energico, deciso a rendere alla Valle Beata la preminenza di cui aveva goduto circa dodici generazioni prima. In quei tempi duri, prima dell’avvento dei draghi, erano gli uomini a combattere direttamente le loro battaglie. Gli uomini della Valle Beata erano stati straordinariamente ardimentosi, abili e spietati. La Valle dei Banbeck, la Grande Spaccatura Settentrionale, il Rifugio ad Anello, la Valle di Sadro, il Canalone di Fosforo, tutti riconoscevano l’autorità dei Carcolo.

Poi, dallo spazio, venne una nave dei Basici, o greph, come venivano chiamati a quei tempi. La nave uccise o prese prigionieri tutti gli abitanti di Rifugio ad Anello. Tentò di fare altrettanto nella Grande Spaccatura Settentrionale, ma vi riuscì solo in parte; poi bombardò il resto degli abitati con proiettili esplosivi.

Quando i sopravvissuti fecero ritorno nelle loro valli devastate, il dominio della Valle Beata era diventato ormai una finzione. Una generazione più tardi, durante l’Era del Ferro Bagnato, anche la finzione crollò. In una battaglia decisiva, Goss Carcolo venne catturato da Kergan Banbeck e costretto a evirarsi con il proprio coltello.

C’erano stati cinque anni di pace, e poi erano ritornati i Basici. Dopo aver spopolato la Valle di Sadro, la grande nave nera atterrò nella Valle dei Banbeck, ma gli abitanti, che erano sull’avviso, si erano rifugiati tra le montagne. Verso l’imbrunire, ventitré Basici fecero una sortita, preceduti dai loro guerrieri scrupolosamente addestrati: diversi plotoni di Fanteria Pesante, una squadra di Armieri — questi non si distinguevano quasi dagli uomini di Aerlith — e una squadra di Battitori: questi erano decisamente molto diversi. Sulla valle scoppiò la tempesta del tramonto, rendendo inutili i velivoli usciti dalla nave; e questo permise a Kergan Banbeck di compiere l’impresa straordinaria che lo aveva reso leggendario su tutta Aerlith. Invece di unirsi alla fuga del suo popolo terrorizzato verso i monti, radunò sessanta guerrieri e, provocandoli e insultandoli e svergognandoli, riuscì a instillare in loro il coraggio.

Era un’impresa suicida… in armonia con la situazione.

Balzando fuori dall’imboscata, fecero a pezzi un plotone di Fanteria Pesante, misero in fuga gli altri, e catturarono i ventitré Basici quasi prima ancora che questi si rendessero conto di come stavano le cose. Gli Armieri rimasero indietro, frenetici per la frustrazione, incapaci di usare le loro armi per timore di uccidere i loro padroni. La Fanteria Pesante avanzò all’attacco, e si arrestò solo quando Kergan, a gesti inequivocabili, fece capire che i Basici sarebbero stati i primi a morire.

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