Jack Vance - I signori dei draghi
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- Название:I signori dei draghi
- Автор:
- Издательство:Fanucci
- Жанр:
- Год:1990
- Город:Roma
- ISBN:88-34-70075-9
- Рейтинг книги:5 / 5. Голосов: 1
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I miti occhi azzurri del sacerdote si abbassarono. Segretezza? Stanchezza? Joaz ripeté la domanda.
— Sì — disse il sacerdote. Gli si piegarono le ginocchia, ma le raddrizzò di scatto.
— Che specie di armi?
— Innumerevoli varietà. Proiettili, come le pietre. Armi penetranti, come i fuscelli spezzati. Armi da taglio, come gli utensili da cucina. — La sua voce cominciò ad affievolirsi, come se egli si stesse pian piano allontanando. — Veleni: arsenico, zolfo, triventidum, acido, spore nere. Armi incendiarie, come le torce e le lenti per concentrare i raggi del sole. Armi per soffocare: corde, nodi scorsoi, funi e cappi. Cisterne, per annegare i nemici…
— Siediti. Riposa — lo esortò Joaz. — Il tuo inventario m’interessa, ma gli effetti totali mi sembrano inadeguati. Avete altre armi che potrebbero respingere in modo decisivo i Basici, se dovessero assalirvi?
Per caso o di proposito, la domanda non ebbe risposta. Il sacerdote cadde lentamente in ginocchio, come per pregare. Crollò bocconi, poi si rovesciò sul fianco. Joaz balzò verso di lui, afferrò per i capelli la testa ciondolante, la sollevò. Gli occhi semiaperti mostravano la sclerotica bianca. — Parla! — gracchiò Joaz. — Rispondi alla mia ultima domanda! Avete armi… o un’arma, per respingere un attacco dei Basici?
Le labbra pallide si mossero appena. — Non so.
Joaz aggrottò la fronte, scrutò il volto cereo, e si ritrasse sbigottito. — Quest’uomo è morto — bisbigliò.
VII
Phade, che si era assopita su un divano, alzò la testa, rossa in viso, con i capelli scompigliati. — L’hai ucciso! — esclamò con voce soffocata dall’orrore.
— No. È morto… o ha fatto in modo di morire.
Phade attraversò la stanza, vacillando e sbattendo le palpebre, e si avvicinò a Joaz che la spinse via, distrattamente. La menestrella fece una smorfia, scrollò le spalle e poi, dato che Joaz non le badava, uscì.
Joaz tornò a sedersi, fissando il corpo esanime. — Non si era stancato — mormorò — fino a quando ho affrontato i segreti.
Poi balzò in piedi, andò nel corridoio d’ingresso, e mandò Rife a chiamare un barbiere. Un’ora dopo il cadavere, privato della chioma, giaceva su un pagliericcio coperto da un lenzuolo, e Joaz teneva tra le mani una rozza parrucca confezionata con i lunghi capelli del morto.
Il barbiere se ne andò. I servitori portarono via il cadavere. Joaz rimase solo nel suo studio, teso e stordito. Si spogliò, rimase nudo come il sacerdote. Impacciato, si calcò la parrucca sulla testa e si guardò in uno specchio. Per un occhio distratto, c’era qualche differenza? Mancava qualcosa: il monile. Joaz se lo mise al collo. Scrutò di nuovo la propria immagine, con dubbia soddisfazione.
Entrò nel laboratorio, esitò, rimosse la trappola, e spostò cautamente la lastra di pietra. Accoccolandosi sulle mani e sulle ginocchia, scrutò nella galleria e, poiché era buio, protese davanti a sé una fiala di vetro, piena d’alghe luminescenti. Nella luce fioca, la gallerìa sembrava deserta.
Scacciando irrevocabilmente le sue paure, Joaz passò dal varco. Il cunicolo era stretto e basso. Procedette a tentoni, con i nervi tesi, guardingo. Si soffermò spesso, in ascolto, ma non udì altro che il battito del proprio cuore.
Dopo un centinaio di braccia, il cunicolo sfociò in una caverna naturale, Joaz si fermò indeciso, tendendo l’orecchio nell’oscurità. Le fiasche luminescenti fissate alle pareti a intervalli irregolari davano un po’ di luce, quanto bastava per delineare la direzione della caverna. Sembrava orientata verso il nord, parallelamente alla lunghezza della valle. Joaz si rimise in cammino, fermandosi in ascolto di frequente.
A quanto gli risultava, i sacerdoti erano miti e non aggressivi, ma tenevano molto ai loro segreti. Come avrebbero reagito alla presenza d’un intruso? Joaz non lo poteva sapere con certezza, e avanzava con la massima prudenza.
La caverna si innalzò, si abbassò, si allargò, si restrinse. Alla fine, Joaz incontrò tracce di utilizzazione: minuscole stanzette, ricavate nelle pareti, illuminate da candelabri contenenti fiale di sostanze luminose. In due di quelle stanzette, Joaz scorse dei sacerdoti: il primo dormiva su una stuoia di canne, il secondo stava seduto a gambe incrociate, con lo sguardo fisso su una struttura di bacchette metalliche contorte. Nessuno dei due si accorse della presenza di Joaz, che proseguì con passo più sicuro.
La caverna discese, si allargò come una cornucopia, e all’improvviso si aprì in una grotta così enorme che, per un istante, Joaz credette di essere uscito nella notte senza stelle.
La volta si incurvava al di sopra del punto in cui giungevano i guizzi d’una miriade di lampade, di fuochi e di fiale luminose. Più avanti e sulla sinistra erano in funzione crogioli e forge; poi una svolta della grotta nascondeva in parte il resto. Joaz scorse una struttura tubolare a ripiani che sembrava una specie di officina, poiché numerosi sacerdoti erano là, intenti a svolgere lavori complessi. Sulla destra c’era una catasta di balle, una fila di bidoni contenenti merci sconosciute.
Per la prima volta, Joaz vide le donne dei sacerdoti: non erano né le ninfe né le streghe semiumane descritte dalle leggende popolari. Come gli uomini, erano pallide e fragili, e avevano lineamenti taglienti; come gli uomini si muovevano lentamente e con attenzione, e come gli uomini erano coperte soltanto dalle chiome che scendevano loro fino alla vita. C’erano poche conversazioni, e nessuno rideva. C’era invece un’atmosfera di placidità e di concentrazione. La grotta trasudava un senso d’antichità, d’uso, di tradizione. Il fondo di pietra era levigato dal passaggio incessante dei piedi nudi. Le esalazioni di molte generazioni avevano chiazzato le pareti.
Nessuno badò a Joaz.
Avanzò lentamente, tenendosi nell’ombra, e si soffermò sotto il mucchio di balle. Sulla destra, la grotta si restringeva irregolarmente in un immenso imbuto orizzontale, recedendo e piegandosi, perdendo ogni realtà nella luce fioca.
Joaz frugò con lo sguardo l’intera ampiezza della caverna. Dove poteva essere l’armeria, con le armi di cui il sacerdote, con la sua morte, gli aveva confermato l’esistenza? Joaz rivolse di nuovo l’attenzione sulla sinistra, sforzandosi di scorgere i dettagli dello strano laboratorio a ripiani che si innalzava sino all’altezza di quindici braccia dal pavimento di pietra. Una strana costruzione, pensò Joaz, girando il collo: non riusciva a comprenderne interamente la funzione. Ma ogni aspetto di quella grande grotta — così vicina alla Valle dei Banbeck, eppure così remota — era strano e meraviglioso. Le armi? Potevano essere dovunque. Certamente, non osava spingersi più oltre per cercarle.
Non poteva scoprire altro, senza rischiare di farsi sorprendere. Si avviò per ritornare indietro: risalì la galleria buia, passando davanti alle stanzette, dove i due sacerdoti erano ancora nella stessa posizione in cui li aveva trovati nella discesa: uno addormentato, l’altro intento a fissare la struttura di metallo contorto. Joaz proseguì.
Si era spinto davvero tanto lontano? Dov’era il varco che portava al suo appartamento? L’aveva superato senza accorgersene, doveva cercarlo? Il panico gli serrò la gola, ma continuò a procedere, guardingo. Ecco, non si era sbagliato. Il varco si apriva sulla sua destra, e gli appariva quasi caro e familiare. Entrò, camminando a grandi passi, come se avanzasse sott’acqua, tendendo davanti a sé il tubo luminoso.
Un’apparizione si levò davanti a lui, un’alta figura bianca.
Joaz si fermò, rigido. La figura scarna gli si avvicinò. Joaz si appoggiò contro la parete. La figura continuò ad avanzare, e all’improvviso parve rimpicciolire, acquisendo proporzioni umane. Era il giovane sacerdote che Joaz aveva fatto tosare, credendolo morto. Fronteggiò Joaz, i miti occhi azzurri scintillanti di rimprovero e di disprezzo. — Rendimi il mio monile.
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