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Robert Silverberg: Invasori silenziosi

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Robert Silverberg Invasori silenziosi

Invasori silenziosi: краткое содержание, описание и аннотация

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Stavano scendendo, adesso. Il tassì si abbassò in cerchi sempre più stretti sulla rampa dello Spaceway Hotel. Il maggiore Harris pagò il conducente, entrò nell’albergo e salì direttamente nella sua stanza, dove accese il comunicatore a raggio stretto: “Carver? Qui Harris.” “Harris! Hai potuto fuggire?” “Non esattamente. Mi hanno lasciato andare.” “E perchè? Come?” “E’ una lunga storia...” “Ma perchè ti hanno lasciato andare?” insistette Carver. “Sono diventato un loro agente” disse Harris in tono cordiale “La mia prima missione è quella di assassinarti.”

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Harris infilò una moneta nella fessura, aspettò, prese il drink. Ne porse uno a Carver, quindi sedettero a un tavolino. Il vuoto e la solitudine del bar avevano qualcosa di arcano. Unico rumore, lo scatto dei relais dietro la facciata delle macchine e il ronfare in sordina dei complicati meccanismi.

Harris mandò giù il liquore tanto in fretta che ne sentì appena il gusto.

«Ho chiesto che vengano aumentate le nostre forze sulla Terra» disse Carver. «Finora non ho ricevuto risposta, ma credo che tra un mese sapremo qualcosa. Mi servono altri cinquanta agenti addestrati, come inizio.»

«Credete che ce li mandino?»

«Sapete com’è. Si chiede cinquanta per ottenere venticinque. Se avessi chiesto venti, avrei ottenuto cinque. Si direbbe che la Terra non sia importante, per loro.» Gli piazzò il bicchiere vuoto davanti e disse: «Vi spiace andare a prendermi un altro drink?»

«Certo.»

Harris si allontanò e raggiunse il mobiletto di controllo. Così venne a trovarsi a oltre un metro da Carver, la distanza giusta per il subsonico. Inspirò profondamente, si voltò e attivò il generatore che aveva nel fianco.

«Cosa…» cominciò a dire Carver. E cadde riverso sul tavolo, mentre il bicchiere vuoto rotolava sul pavimento.

È il momento buono pensò Harris.

Il cuore gli batteva all’impazzata. La sua mano sparì nella tasca, le dita si contrassero sul piccolo calcio freddo dell’annientatore. In quel locale deserto poteva tirare il grilletto e finire Carver in un attimo…

Udì uno scatto alle sue spalle. Uno sportello si aprì verso l’interno e una strana creatura meccanica uscì dalle viscere dell’autobar.

Dalla griglia che stava sopra la sua testa, la voce disse: «Servire bevande alcoliche a chi è già ubriaco è contro le leggi federali. Servire bevande alcoliche a chi è già ubriaco è contro le leggi federali. Servire…»

Il robot si diresse verso la figura inerte di Carver. Era alto oltre un metro, con una testa tonda e lucente, due braccia telescopiche estensibili che sbucavano dai recessi del torace. Attraversò il locale, sempre muovendosi su due ruote, e, mentre Harris lo guardava a bocca aperta, allibito, circondò con le braccia il darruuese privo di conoscenza, lo sollevò senza sforzo e uscì in un vicolo adiacente. Un attimo dopo tornò solo.

Ma certo! pensò Harris. Un automa buttafuori! Tiene d’occhio i clienti, si assicura che chi beve non perda la testa e leva dai piedi chi ha preso una sbronza!

Il piccolo robot scomparve di nuovo dietro lo sportello, che si richiuse immediatamente. La voce dell’altoparlante si spense. Harris mandò giù d’un fiato il suo liquore e si precipitò nel vicolo.

Carver giaceva bocconi sul marciapiede. L’effetto del subsonico cominciava a dileguarsi. L’uomo gemette, si agitò, socchiuse gli occhi.

Questa è l’occasione buona per ucciderlo disse la voce nel cervello di Harris.

La sua mano si contrasse sull’annientatore, per la seconda volta. Lì, in quel vicolo buio, una rapida scarica di energia fulminante e tutto sarebbe finito.

Non ebbe la forza di farlo.

Tutto il suo corpo tremò e si scosse come un albero al vento. Correnti incrociate di desideri contrastanti lo straziarono.

Chiuse gli occhi e vide Darruu splendere nella nebbia purpurea. Vide la processione annuale dei Servi dello Spirito, ciascuno con la sua candela, udì il canto malinconico, la preghiera portata sulle ali della brezza. «Noi siamo una sacra confraternita. E uccidere…»

Non poteva.

Impossibile.

Esitò, tremò, si tese tutto. Lottò contro se stesso per costringersi a puntare l’arma, a tirare il grilletto, a bruciare la vita nell’uomo in stato d’incoscienza che giaceva ai suoi piedi.

Carver gemette.

Una volta ancora Harris vide i mostri contorcersi nella mente dell’altro. Tentacoli sottili spuntavano dal limo ribollente.

Lacrime roventi sgorgarono dagli occhi di Harris. Cercò un’ultima volta di puntare l’annientatore e fallì. Carver si mosse di nuovo.

Harris si voltò e fuggì.

11

Mormorii di scherno lo inseguirono mentre correva lungo il vicolo. Codardo, traditore, sciocco, debole… era tutto questo e qualcosa di più. Ma no. Si disse che non era stato pronto, che non era ancora arrivato al punto da poter troncare l’esistenza di un Servo dello Spirito. Forse se avesse mandato giù un altro whisky…

Ma che razza di coraggio è mai questo? si chiese, mentre sboccava in una strada affollata e bene illuminata. Terrorizzato, continuò a correre per qualche metro, poi si fermò, accorgendosi di attrarre l’attenzione.

TRE GRANDI SOLDATI TRE! Annunciava un’insegna luminosa. C’era una coda di gente davanti al teatro. Lui si mise in fila. Sbirciò all’indietro, temendo di scorgere Carver furibondo che usciva dal vicolo, ma Carver non comparve. La fila si mosse lentamente verso lo sportello dei biglietti. C’erano solo quattro persone davanti a lui, ora. Tre, due, una…

Dietro lo sportello non c’era nessun impiegato. Una macchina lucente lo fissò di rimando e una voce uscì dalla griglia dell’altoparlante: «Quanti biglietti? Mezza unità l’uno. Quanti biglietti?»

Harris guardò, a bocca aperta. Le parole non avevano significato, per lui.

«Non capisco» mormorò. E si accorse di avere parlato in darruuese. Qualcuno in fondo alla coda protestò, impaziente. Una voce appena dietro a lui disse: «Che cosa c’è, maggiore?»

«Io… Sono stato lontano dalla Terra per tanti anni…» ansimò Harris.

«Basta che diate alla macchina il denaro. Mezza unità per biglietto, è tutto.»

Harris si cercò in tasca la banconota e la diede al robot, che lo ricambiò con un biglietto. Lui l’afferrò e si affrettò a sparire nel buio nel teatro.

«Il vostro resto, maggiore!» gridò qualcuno alle sue spalle.

Ma lui non si fermò.

Cercò una poltroncina. Era morbida, calda, abbracciava tutto il corpo. Si sentiva come se fosse tornato nuovamente nel grembo materno. Alzò gli occhi e vide lo schermo illuminato riempire un arco enorme davanti e sopra la sua testa. Vide figure muoversi, sentì pronunciare molte parole.

Ma non capiva.

Se ne stava lì, irrigidito dal terrore, guardando le immagini tridimensionali senza senso agitarsi sulla scena. Poco a poco quella paura cieca si calmò. Le parole ricominciarono ad avere un senso. Era una trama assurda, piena di violenze e di assassinii, che lo interessava ben poco, ma gradualmente cominciò a immedesimarsi nella storia, fino a che la seguì con tutta l’attenzione.

Il corpo si rilassò. I veleni prodotti dalla tensione nervosa abbandonarono il suo organismo, col passare delle ore. Il primo spettacolo finì, e dallo schienale della poltroncina di fronte una voce lo avvertì che poteva procurarsi qualcosa da bere senza muoversi dal suo posto, infilando monete in varie fessure. Ma lui non aveva sete.

Dopo un po’, cominciò il secondo spettacolo. Era anche più stupido del primo, ma Harris lo guardò con interesse, affascinato dalla splendente vitalità delle immagini vivide, che sembravano tanto vere da poterle toccare. Infine ritrovò completamente la calma, e la parte razionale della sua mente riprese il sopravvento.

Gli hai fatto un bel servizio disse a se stesso, con disprezzo. Ora Carver saprà che hai tentato di ucciderlo e ti inseguirà. O ti tenderà un’imboscata quando meno te l’aspetti. Hai sprecato l’occasione buona.

Si aspettava qualche rimprovero del mutante telepate. Ma ci fu solo silenzio. Non lo aveva più sentito da quando, nel vicolo, era stato avvertito che quello era il momento di agire. Poi… più niente, come se non valesse la pena di mantenersi in contatto con lui.

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