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Robert Silverberg: Invasori silenziosi

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Robert Silverberg Invasori silenziosi

Invasori silenziosi: краткое содержание, описание и аннотация

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Stavano scendendo, adesso. Il tassì si abbassò in cerchi sempre più stretti sulla rampa dello Spaceway Hotel. Il maggiore Harris pagò il conducente, entrò nell’albergo e salì direttamente nella sua stanza, dove accese il comunicatore a raggio stretto: “Carver? Qui Harris.” “Harris! Hai potuto fuggire?” “Non esattamente. Mi hanno lasciato andare.” “E perchè? Come?” “E’ una lunga storia...” “Ma perchè ti hanno lasciato andare?” insistette Carver. “Sono diventato un loro agente” disse Harris in tono cordiale “La mia prima missione è quella di assassinarti.”

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Beth aveva ceduto ancora più in fretta, cadendo non appena le prime onde l’avevano raggiunta.

Anche gli altri due Medlinesi erano svenuti.

Harris premeva forte il fianco con la mano, e le onde subsoniche continuavano a partire. Con sua grande sorpresa, il maggiore vide che i due giganti erano ancora in piedi e non avevano perso completamente conoscenza, anche se sembravano intontiti. Giravano su se stessi, annaspando, lottando contro l’arma invisibile.

Sarà perché sono tanto grandi pensò. Ci vuole di più per tramortirli. Teniamo duro ancora un poco.

Wrynn non riusciva più a stare eretto, ormai barcollava qua e là, come un enorme animale ferito. Sua moglie barcollò sotto l’impatto delle onde silenziose e scivolò sul pavimento. Un attimo dopo l’uomo la seguì, atterrando con un tonfo sordo accanto a lei.

L’ufficio era silenzioso, ora. Piccole pozze scure macchiavano il tappeto dove i Medlinesi, cadendo, avevano rovesciato il bicchiere. Sei forme giacevano inerti sul pavimento.

Harris si premette di nuovo il torace, segnalando «via libera» ai colleghi che aspettavano nella strada, un isolato più in là.

Trovò l’interruttore che serviva ad aprire la porta e lo abbassò. Il meccanismo invisibile fece sparire lo schermo scorrevole, e lui sbirciò fuori. Altri cinque Medlinesi giacevano a terra, privi di sensi. Un sesto arrivava di corsa all’estremità del lungo corridoio. «Che è successo?» gridò. «Che avete? State male?»

Harris lo fissò e premette di nuovo la mano sul fianco. Il medlinese oltrepassò il limite dei dodici metri, poi indietreggiò, ma senza rendersi conto di quello che stava accadendogli. Fece ancora alcuni passi, barcollando, poi cadde, andando a raggiungere i compagni sul fitto tappeto di velluto. Harris staccò la mano.

Dieci pensò.

Dieci Medlinesi. Anzi, dodici, se all’autopsia i due giganti fossero risultati dei travestiti. Bel colpo. La decima parte delle forze medlinesi dislocate sul pianeta Terra eliminate in una sola volta.

Estrasse l’annientatore.

Lo guardò, sul palmo della mano, piccolo e mortale. Il grilletto non era che una strisciolina di metallo. Bastava togliere la sicura, tirarlo, puntare a casaccio in ogni direzione e guardare le vittime morire col cervello bruciato e le sinapsi ridotte in gelatina.

Ma la sua mano tremava.

Non sparò.

Si morse forte il labbro, digrignò i denti, alzò l’arma e s’impose di usarla. Ma non ci riuscì. S’infuriò con se stesso, imprecò contro la propria vigliaccheria. Un Servo dello Spirito non poteva comportarsi così! Quegli esseri stesi sul pavimento erano Medlinesi, bestie in sembianze umane.

Uccidi! Uccidi! Uccidi!

Ma teneva l’annientatore senza stringerlo, senza agire. Sudando, mosse la mano sinistra e strappò la sicura dall’arma. Il dito si curvò intorno al grilletto. Alzò la pistola, prese di mira Beth, al petto. Chiuse gli occhi, e cercò di vederla mentalmente senza l’illusorio rivestimento di carne sintetica, di estrarne la realtà medlinese, di rivelarla per quello che era: l’odioso mostro ossuto e dalla pelle ruvida che si nascondeva sotto la forma terrestre. Un muscolo tremò sulla sua guancia, mentre lui cercava di tirare il grilletto e distruggere la ragazza.

Poi una voce silenziosa gli mormorò, nel cervello: Non ci si poteva fidare di voi, dopo tutto, no? Eravate un traditore, un imbroglione e un bugiardo. Ma dovevamo lasciare che l’esperimento arrivasse fino a questo punto, per la tranquillità della nostra coscienza.

«Chi ha parlato?» ansò Harris, guardandosi intorno freneticamente da ogni parte.

Io.

Era come se molte piume gli sfiorassero il cervello. «Dove siete?» chiese, terrorizzato. «Dove vi nascondete?»

Sono in questa stanza venne la risposta, tranquilla. Harris avrebbe voluto spaccarsi il cranio a metà per scoprire la fonte di quella voce.

Gettate via la pistola, Harris-Khiilom.

Lui esitò. Le sue mani si mossero impercettibilmente verso il segnale di pericolo sepolto nel suo corpo. Ma anche quel movimento fu intercettato e interpretato.

No, non cercate di avvisare i vostri amici. Lasciate cadere la pistola e basta.

La pistola sgusciò via di tra le dita, come se gli fosse stata strappata di mano. Rimbalzò qualche centimetro più in là sul tappeto e rimase immobile.

Adesso spegnete il subsonico ordinò la voce tranquilla. Lo trovo spiacevole.

Ubbidiente, Harris staccò il dispositivo. La sua mente era ferma in una strana stasi; non aveva più il controllo della propria volontà. Il suo corpo pulsava, frustrato. Come potevano fargli questo? Lo avevano imprigionato nella sua stessa mente.

Le labbra faticarono a formare le parole.

«Chi siete, voi? Ditemi chi siete!»

Un membro di quella super-razza di cui voi trovate così difficile accettare l’esistenza.

Sgomento, Harris guardò Wrynn e sua moglie, stesi a terra. Tutti e due i giganti erano privi di sensi, immobili, e respiravano lentamente, con regolarità.

«Wrynn?» chiese con voce rauca. «Come può funzionare la vostra mente se siete in stato d’incoscienza?»

Io non sono Wrynn fu la risposta.

«Non… Wrynn?»

No. Non sono Wrynn disse la voce, calma ma il figlio non ancora nato di Wrynn.

Harris si sentì cadere piano verso il pavimento. Era proprio come se una mano invisibile gli avesse fatto piegare le ginocchia e poi lo avesse afferrato e seguito nella caduta.

Giacque lì, a terra, gli occhi aperti, cosciente, ma senza la capacità né la volontà di muoversi. Non poteva neppure azionare il segnale di pericolo. Chissà come, perfino il desiderio di chiamare aiuto gli era stato tolto. Soltanto nei recessi più profondi del suo io ribollivano ancora paura e ribellione.

Col passare dei minuti le vittime del subsonico ripresero i sensi. Lentamente.

Per prima si svegliò Beth. Si sedette, si stirò e si stropicciò gli occhi con le mani. Poi si voltò verso la forma inerte della moglie di Wrynn, e solo allora Harris vide che il ventre della gigantessa era delicatamente arrotondato.

«Avete corso un bel rischio, per dimostrare quello che volevate dimostrare!» disse Beth guardando la donna, priva di conoscenza.

Voi non correvate alcun pericolo fu la risposta.

Anche gli altri si svegliarono, mettendosi a sedere e stropicciandosi gli occhi. Harris li fissava, immobile. La testa gli martellava come se fosse stato colpito dal subsonico lui pure.

«E se aveste perso conoscenza anche voi?» chiese Beth, rivolta alla vita nascosta dentro la donna gigantesca. «Lui ci avrebbe ucciso. Era venuto per questo.»

Il subsonico non poteva farmi niente. Io sono al di fuori della sua portata.

Harris ritrovò finalmente la voce. «Quel… quel feto può pensare e agire?» chiese, rauco.

Beth annuì. «La prossima generazione. Raggiunge la facoltà d’intendere e di volere mentre si trova ancora nell’utero. Al momento della nascita è completamente consapevole e in grado di difendersi: il corpo cerca di mettersi alla pari con la mente.»

«E io che credevo fosse tutta una menzogna!» esclamò Harris, confuso. «Tutta quella faccenda della super-razza. Una specie di trovata propagandistica.»

Si sentiva stordito. Tutti i valori in cui aveva creduto gli si erano sgretolati sotto gli occhi in un solo istante e non sarebbe stato facile sostituirli con la stessa rapidità.

«No» disse Beth. «Non era una storia. E neanche una trovata della… propaganda medlinese. E noi sapevamo che ci avreste tradito, quando vi abbiamo lasciato andare. Perlomeno così diceva Wrynn. Solo sono stata così ingenua da dubitarne.»

«Anche Wrynn ha facoltà telepatiche?»

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