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Robert Silverberg: Invasori silenziosi

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Robert Silverberg Invasori silenziosi

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Stavano scendendo, adesso. Il tassì si abbassò in cerchi sempre più stretti sulla rampa dello Spaceway Hotel. Il maggiore Harris pagò il conducente, entrò nell’albergo e salì direttamente nella sua stanza, dove accese il comunicatore a raggio stretto: “Carver? Qui Harris.” “Harris! Hai potuto fuggire?” “Non esattamente. Mi hanno lasciato andare.” “E perchè? Come?” “E’ una lunga storia...” “Ma perchè ti hanno lasciato andare?” insistette Carver. “Sono diventato un loro agente” disse Harris in tono cordiale “La mia prima missione è quella di assassinarti.”

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«Sì, ma solo entro certi limiti. Può soltanto ricevere delle impressioni. Non può trasmettere telepaticamente agli altri, come suo figlio.»

«Se sapevate che vi avrei tradito, perché mi avete messo in libertà?»

«Be’, chiamiamolo un esperimento. Io speravo che cambiaste il vostro modo di pensare, se vi avessimo lasciato libero. Avevo una fede cieca in voi. Ma non siete cambiato.»

«No» disse Harris. La sua voce era incolore, senza vita. «Ero venuto qui per uccidervi.»

«L’abbiamo saputo nell’istante stesso in cui avete attraversato questa soglia. Wrynn ha captato le vostre intenzioni e suo figlio ce le ha trasmesse. Ma in voi c’era il seme della ribellione. Speravamo ancora di potervi convincere. Invece non ce l’abbiamo fatta. Non siete riuscito a liberarvi della vostra vecchia personalità darruuese.»

Harris chinò la testa. Il segnale si rifece sentire nel suo corpo. Lui lo ignorò.

Che Carver se ne stia là fuori a sudare pensò. Questa è una realtà grandiosa. Lui nemmeno può sognarsela. Non può capire.

«Ditemi un po’» disse poi, altezzosamente. «Lo sapete che cosa succederà a Medlin, e anche a Darruu, quando ci sarà un numero sufficiente di questi esseri, quando cominceranno a fare sentire il loro peso?»

«Non accadrà niente» rispose Beth, calma. «Nessuna delle cose orribili che immaginate. La credete una razza di creature meschine e avide di potere che si propongono di dominare la galassia?» La ragazza rise, in tono di scherno. «Una mentalità del genere appartiene solo alle specie sorpassate, che non possiedono facoltà telepatiche. A gente come noi: Medlinesi, Darruuesi, vecchi Terrestri. Questi nuovi Terrestri hanno scopi ben diversi.»

«E come fate a esserne tanto sicura?»

«Ci hanno aperto la loro mente» disse Beth. «Non ci sono più dubbi. Il potere non li interessa. Non hanno debolezze che vogliano compensare imponendosi agli altri. Vogliono sfidare l’Universo stesso, non i popoli che lo abitano.»

«E noi saremmo quindi… sorpassati?»

«Del tutto.»

«Ma questi mutanti non sarebbero sopravvissuti se voi di Medlin non li aveste aiutati!» protestò Harris. «Se noi siamo sorpassati, di chi è la colpa? Vostra! Avete aiutato la vostra razza a suicidarsi… e avete coinvolto anche Darruu nel vostro folle suicidio.»

Beth ebbe uno strano sorriso. «Perlomeno noi siamo stati capaci di accettare la nuova razza senza invidia. L’abbiamo aiutata con tutte le nostre forze, perché ci siamo inchinati all’inevitabile. Sapevamo che ciò sarebbe accaduto comunque, con l’andar del tempo. I loro geni erano troppo forti perché andassero perduti e distrutti. Se non li avessimo aiutati noi, ci avrebbero messo un secolo o forse anche un millennio ad affermarsi. Abbiamo preferito dargli una mano, perché guardino a noi con riconoscenza il giorno in cui saranno maturi. La nostra epoca è conclusa, Harris, e anche quella di Darruu. Così come quella dei vecchi Terrestri, degli umani senza facoltà telepatiche.»

«Anche la nostra» disse Wrynn con dolcezza. «Noi siamo gli esseri intermedi, di transizione… l’anello di collegamento tra la vecchia specie e la nuova in corso di evoluzione. Ve l’ho detto: mio figlio sarà molto più progredito di me, come io lo sono rispetto ai miei genitori. Ne avete avuto una dimostrazione pratica pochi minuti fa.»

Harris annuì, cupo. Sentiva i propri nervi rilassarsi, ma non allungò la mano per premere il segnale di allarme, perché sapeva che il mutante non ancora nato avrebbe potuto fermarlo facilmente, reagendo mille volte più in fretta delle sue goffe membra e prevedendo le sue decisioni.

Si guardò le mani… Mani di terrestre, con carne darruuese sotto l’imbottitura rosea.

Tutti i nostri sforzi sono stati inutili pensò. Tutto quello che abbiamo costruito non si regge in piedi.

Una nuova razza, una razza gloriosa, protetta e aiutata dai Medlinesi, era comparsa sulla Terra. L’Universo l’aspettava. Lo Spazio e il Tempo le stavano davanti, ansiosi di vederla arrivare. Semidei.

Lui aveva sempre considerato i Terrestri creature primitive, con poche migliaia d’anni di storia alle spalle, pallidi umanoidi senza importanza nel disegno galattico delle cose.

Ma si era sbagliato.

Quando Darruu sarebbe diventato un mondo morto, nutrito solo di glorie passate, i figli di quei giganteschi Terrestri avrebbero percorso in lungo e in largo le galassie.

Alzò gli occhi e disse, con voce soffocata: «Forse abbiamo fatto un terribile errore, noi di Darruu. Sono stato mandato qui per cercare di attirare i Terrestri dalla nostra parte. Invece è proprio l’opposto, vero? È Darruu che dovrà giurare fedeltà alla Terra, molto presto.»

«Presto no» disse Wrynn. «La vera razza non è ancora uscita dall’infanzia. Dovranno passare altri vent’anni: solo allora la prima generazione sarà matura. E abbiamo dei nemici sulla Terra.»

«I vecchi Terrestri» disse Coburn. «Credete che gli vada di essere sostituiti? Credete che resteranno con le mani in mano, quando si accorgeranno di ciò che sta spuntando in mezzo a loro? Cercheranno di eliminare i mutanti. I nuovi. Non si limiteranno a tirarsi nobilmente indietro e a consegnare loro il futuro. Per questo siamo qui. Per aiutare i mutanti fino a che non sapranno camminare completamente da soli. Voi Darruuesi ci mettete i bastoni tra le ruote, portando antiche rivalità su un pianeta a cui queste non interessano.»

Una volta quelle parole avrebbero fatto infuriare Harris. Invece ora si limitò a stringersi nelle spalle. Capiva che la sua missione era inutile.

Tuttavia restava ancora un dubbio, un ultimo sospetto. Da quando i Medlinesi erano diventati così nobili, così ansiosi di umiliarsi davanti a una razza nuova?

La voce silenziosa del superuomo non ancora nato, ora udibile a tutti i presenti, Harris compreso, disse: Lui non è ancora convinto, nonostante tutto.

«È vero?» chiese Beth.

Harris annuì. «Il bambino ha ragione» mormorò. «Vedo e sento quella voce e le credo… tuttavia il mio condizionamento mi dice che è impossibile che questo accada. Che non può accadere! I Medlinesi sono creature odiose: lo so, intuitivamente. E l’istinto di conservazione della mia razza protesta e si ribella al pensiero di aiutare i mutanti come state facendo voi.»

«Volete una garanzia della nostra buona fede?» chiese Beth.

«Sarebbe a dire?»

«C’è un modo per mostrarvi la verità. Un modo che vi libererà da ogni dubbio.»

«Quale?»

«Collegateci» disse Beth al bambino.

9

Prima che Harris avesse la possibilità di reagire, uno strano splendore lo inondò; gli sembrava di galleggiare molto al di sopra del suo corpo, e un turbine di colori gli danzava pazzamente intorno, in un’esplosione di luce che lo lasciava intontito e abbagliato.

Con un sobbalzo, si accorse dov’era. Stava guardando nella mente della medlinese che si faceva chiamare Beth Baldwin. Vedeva l’essenza di lei, nuda. Poteva scrutare attraverso tutti i suoi ricordi, chiaramente come se fossero propri… anzi di più. Vedeva, attraverso gli occhi di Beth, l’immagine di una casa medlinese, con alberi taglienti come lame di coltello che luccicavano azzurri al sole e bambini che sguazzavano in uno stagno. Strano a dirsi, i Medlinesi non gli sembravano più grotteschi, ora. Gli sembravano… normali.

Poi vennero le cerimonie religiose. Dov’erano i sacrifici umani, i rituali sacrileghi di cui aveva sentito parlare? Vedeva soltanto gesti pacifici, come quello di accendere candele e preghiere a un’Unità Galattica. Le preghiere erano molto simili a quelle che venivano rivolte allo Spirito, e lui si sentiva stranamente «trasferito».

Stava vivendo la vita di Beth, percorreva il corso della sua esistenza con disinvoltura, crescendo con lei, soffrendo per gli sconvolgimenti dell’adolescenza, le tensioni del corpo che matura, le ansie del primo amore. Senza alcun imbarazzo, spiava nelle profondità del suo essere, perché lei voleva così.

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