— E tu cosa ne dici, Omero? — chiese allora Kelly al granchio. — Non ti è mai capitato durante i tuoi viaggi di imbatterti in un fenomeno come questo?
— Può darsi, ma non è un argomento che mi interessi. A me interessa soprattutto la poesia, quindi capita ben di rado che mi occupi di argomenti come la composizione atmosferica.
— Magnifico! — esclamò ridendo Finn. — Abbiamo con noi quello che è forse l’essere che ha visitato più pianeti nella Galassia, e tutto quello che gli interessa è la poesia.
— Quando si visitano tanti mondi come faccio io, è meglio specializzarsi — replicò Omero.
Il veicolo procedeva a pochi metri da terra e sotto di loro sfilavano ininterrotte file di navi, rimesse, stazioni di servizio, officine, ma non c’era alcun segno di vita.
Dopo qualche minuto, Finn osservò perplesso: — Strano. Sembra una di quelle enormi basi costruite durante la guerra dalla Flotta, ma non vedo edifici che possano sembrare caserme, mense, uffici.
— Già — convenne Nancy. — Forse quelli che le hanno costruite non ne avevano bisogno.
— Può darsi che fossero robot — aggiunse Kelly.
— E forse questa non è che un’allucinazione! — esclamò Torwald. — Scendiamo per dare un’ occhiata da vicino. — Pilotò l’AC verso una delle navi più alte, una guglia piatta composta da piastre metalliche lisce e posata su sottili sostegni che sembravano troppo fragili per reggere la sua mole. Non si vedevano portelli.
— Perché hanno nascosto gli ingressi, Tor? — chiese Nancy.
— Forse perché non volevano intrusi. Andiamo, proviamo da qualche altra parte.
Trascorsero quasi tutta la giornata esaminando navi e installazioni. Il risultato era sempre lo stesso: edifici e navi erano privi di ingressi. Torwald ordinò finalmente di tornare a bordo. L’indomani avrebbero ricominciato portando attrezzi a laser.
Torwald era su una piattaforma di fortuna che avevano eretto alla base di una delle navi e impugnava un coltello a laser. — Mi dispiace di doverlo fare,comandante. È un sacrilegio rovinare una nave così perfetta.
— Tu limitati a obbedire agli ordini — gli rispose via radio la comandante. — Tanto quella nave non andava da nessuna parte. Torwald praticò un’incisione preliminare. Visto che non succedeva niente, continuò a tagliare in modo da formare il perimetro di un rettangolo. Quando il metallo si fu raffreddato, applicò due morse e sollevò la piastra tagliata. All’interno c’era un labirinto di condotti e di cavi che occupavano tutto lo spazio messo in luce.
— Non vedo nessun ponte. — Kelly inserì nell’apertura una lampada e guardò verso l’alto. — Niente scale né passerelle. Chi poteva vivere su una nave così?
— Forse gente priva di piedi — scherzò Nancy.
— Vuoi provare tu a dare un’occhiata dentro? — propose Torwald a Omero.
— Tu puoi insinuarti più facilmente. Noi non abbiamo spazio sufficiente.
— Subito. — Omero allungò alcuni dei suoi arti prensili e zampettò nell’interno Kelly cercò di centrarlo col raggio della lampada finché non scomparve nei recessi della nave.
— Cos’hai trovato — chiese Torwald quando Omero fu di ritorno dopo qualche minuto.
— Poco o niente Sembra. che non ci sia posto per persone. Il sistema dei comandi è situato al centro: si tratta di una scatola grande pressappoco come la tua testa. Non ci sono sistemi di aerazione ne altro che stia a indicare riciclaggio di viveri o acqua. Non ci sono neanche scritti da cui si capisca cosa sono le varie componenti. Credo proprio che si tratti di una nave robot.
— Chissà se sono cose anche le altre — disse Kelly.
— Proviamo con uno degli edifici — propose Torwald.
Fecero diversi tentativi praticando un’apertura col laser, perché non c’erano porte né finestre visibili in nessuna costruzione. All’interno trovarono strumenti, motori, carburante, reattori, officine di riparazione per le navi, ma nessun indizio che quella base fosse stata abitata. Tutto funzionava automaticamente.
— Non capisco, Torwald. Abbiamo trovato nello spazio quelle due navi senza equipaggio — osservo Kelly — ma erano state abbandonate in seguito a un incidente. Qui invece pare che abbiano costruito questa enorme base dotandola di tutto il necessario per poi dimenticarsene.
— Lo so, Kelly, ma — Torwald fu interrotto da un rombo lontano Si precipitarono fuori per raggiungere gli altri. K’Stin e B’Shant sfoderarono le armi.
— Viene dall’alto — disse K’Stin. — Novantacinque gradi nord. — Tutti scrutarono il cielo in quella direzione. — Vedo agli infrarossi una luce brillante che scende — precisò K’Stin.
Poco dopo anche gli altri scorsero un punto luminoso accompagnato da un rombo sempre più forte via via che scendeva.
— A bordo, in fretta, e puntiamo a velocità ridotta verso nord — ordino Torwald salendo per primo sul veicolo.
— É una nave che sta per atterrare, Tor? — chiese dall’altoparlante la voce della comandante — Pare di sì. Scommetto che fa parte di una delle formazioni in orbita.
— É probabile. Spero che non si siano accorti della nostra presenza.
— Non credo. Con tutti gli armamenti che ci sono qui, non avevano bisogno di fare scendere una nave. Penso piuttosto che si tratti di una normale operazione di controllo. Se le cose stanno così, quella nave deve ricevere ordini da qualcuno. Vedete se riuscite a captare qualche trasmissione. Potrebbe risparmiarci anni di ricerche su questo pianeta.
— Buona idea. Provo subito.
— Intanto noi andiamo a dare un’occhiata alla nave in arrivo. Passo e chiudo.
— Poi Torwald chiese a Finn: — Quanto dista?
— Venti chilometri, direzione nord. Ci saremo in pochi minuti.
Si diressero a velocità più sostenuta verso il posto dove avevano perduto di vista il punto luminoso, e trovarono un’enorme cavità piena di macchinari. La nave era già atterrata. Era piccola e rotonda, ma non fu questo ad attirare la loro attenzione. La nave posava su un’area di stanziamento di metallo ed era circondata da macchine che si muovevano su ruote, inserendo cavi e tubi nelle fessure dello scafo. Erano macchine veloci, precise, che funzionavano senza produrre il minimo rumore.
— Questo silenzio fa uno strano effetto — mormorò Kelly.
— Devono essere macchine automatiche addette alla manutenzione e alle riparazioni. Probabilmente sono autosufficienti, e hanno la facoltà di rigenerarsi e auto-ripararsi all’infinito. Forse, chi le ha create è morto da secoli.
— Mi pare impossibile che queste macchine possano essere così longeve — osservò con una punta d’invidia K’Stin.
Dopo un po’ di tempo, le macchine si allontanarono dalla nave e sprofondarono in un pozzo. Quando tutte furono scomparse,una lastra di metallo coprì l’apertura del pozzo.
— Manutenzione automatica — disse Torwald, e in quella la voce della comandante ordinò: — Tornate subito a bordo. Ho individuato il centro operativo. Si trova sull’altra faccia del pianeta.
Appena rientrati sulla Space Angel la comandante li mise al corrente: — Questo pianeta è pieno di miniere abbandonate. — Girò un interruttore e sullo schermo principale della plancia comparve l’immagine di una miniera all’aperto.
— Questo è un particolare di una foto presa in orbita. Non ci sono punti di riferimento per valutare esattamente le dimensioni da qui, ma il pozzo dovrebbe avere un’ampiezza di sei chilometri. Non ci sono tracce di attrezzature minerarie e non si tratta di scavi recenti. Osservate le erosioni intorno al bordo. Sergei dice che, stando ai suoi calcoli approssimativi, il pozzo fu scavato almeno ventimila anni fa. E ce ne sono moltissimi altri. Qual è il tuo parere, Omero?
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