Bob Shaw - Antigravitazione per tutti

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Antigravitazione per tutti: краткое содержание, описание и аннотация

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Antigravitazione: recentissima scoperta che consente a chiunque, previo allacciamento di un semplice giubbotto, di vincere l’attrazione terrestre e librarsi in volo. Il sogno dell’umanità si è finalmente realizzato? Abbiamo infranto, per cosi dire, l’ultima barriera? Niente paura, i guai non sono finiti nemmeno lassù, e le vie del cielo possono rivelarsi più micidiali di quelle della terra. Ce lo ricorda questo magistrale romanzo dell’inglese Bob Shaw, un’utopia in nero che turberà per molto tempo i sonni dei nostri lettori con una dose di cinismo e violenza quale può permettersi solo la grande fantascienza.

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— May — disse Werry, e la sua voce era piena d’un orgoglio sconfinato — sono lieto di presentarti mio cugino, Rob Haldane. Ha viaggiato per giorni ed è affamato. Giusto, Rob?

— Giusto — capitolò Hasson, accettando l’idea che non esisteva un modo diplomatico per far capire a Werry che aveva bisogno soprattutto di solitudine e riposo. — Come va?

— Salve, Rob. — May afferrò la mano che lui le tendeva, e nell’istante del contatto gli lanciò un sorriso improvviso, timido ed esplicito al tempo stesso, quasi si fosse verificata un’imprevista reazione chimica d’umanità che l’aveva colta di sorpresa. Il trucco era così scoperto da imbarazzare Hasson, eppure lui si sentì immediatamente lusingato.

Werry sorrideva radioso a tutti e due. — Dovremmo bere qualcosa. Dov’è finita la bottiglia, Rob?

— Eccola. — Hasson scoprì di avere infilato la bottiglia di whisky nella tasca della giacca. Stava per estrarla quando furono raggiunti da una donna sulla sessantina, di lineamenti angolosi e spalle sottili. Era vestita come se dovesse uscire per una festa: gioielli in quantità e capelli tinti in armonia con l’abito scuro.

— E questa è Ginny Carpenter, la madre di May — disse Werry — Ginny, Rob.

— Piacere. — Lei squadrò Hasson ad occhi socchiusi e non fece cenno di volergli stringere la mano. — Sei quello che per poco non si è ucciso in macchina?

Hasson fu preso alla sprovvista. — Infatti.

— Non ci sono buoni ospedali in Inghilterra?

— Andiamo, Ginny — intervenne Werry a placarla. — Rob ha ricevuto tutte le cure ospedaliere necessarie. È qui per riposarsi e rimettersi in forma.

— Ne ha bisogno — disse Ginny, continuando a esaminare Hasson con aria critica. — Vedrete cosa gli faranno un paio di mesi di buona cucina.

Hasson tentò di risponderle per le rime, di dire a quella donna che era abituato da sempre a mangiare bene e che pensava di continuare a farlo anche dopo avere lasciato il Canada, ma quei modi caustici gli avevano mandato in confusione il cervello. La fissò, ammutolito e disperato, cercando le parole adatte.

— Volevi alzare il gomito? — chiese lei, prevenendolo, gettando un’occhiata significativa alla bottiglia che lui teneva in mano. — Se ne hai bisogno, fa’ pure. L’odore non mi disturba.

Le frasi che Hasson tentava disperatamente di mettere assieme si scontrarono con quelle che già gli turbinavano in mente, rendendolo ancor più incapace di parlare. Si girò verso gli altri due. Werry annuiva soddisfatto, quasi si stesse godendo uno scambio di battute fra amici di vecchia data; May continuava a fissarlo a occhi spalancati, con candore ingenuo, proiettando onde di stupefatta tenerezza. Hasson represse l’impulso di scappare via.

— Quella bottiglia è mia, Ginny — disse Werry, dopo quello che parve un intervallo molto lungo. — Rob l’ha presa dalla macchina per me.

— E perché non me l’hai detto? — ribatté Ginny, mentre scompariva nella stanza da cui era emersa. — Vado a mettere le bistecche sulla griglia. Avanti, ragazza! Oggi non mi sembri molto attiva, e c’è un sacco di lavoro extra da fare. — May, obbediente, la seguì, lanciando un ultimo sguardo armonioso ad Hasson mentre chiudeva la porta.

— Quella Ginny è proprio un bel tipo — disse Werry, ridacchiando. — Sempre la stessa. Non ha paura di dire quello che pensa a nessuno. Dovevi vedere la tua faccia quando ti ha chiesto se volevi alzare il gomito!

Hasson sorrise a sua volta, stupefatto, domandandosi fino a che punto potesse giungere l’insensibilità umana. — Sono un po’ stanco. Se non ti spiace, vorrei fare un salto nella mia camera.

— L’hai appena toccato — notò Werry, dispiaciuto, alzando la bottiglia di whisky verso la luce. — L’ho preso apposta per te.

— Grazie, ma io… La mia stanza è di sopra?

— Seguimi. — Werry raccolse le due valigie più grandi e lo guidò su per la scala stretta. Sistemò Hasson in una bella stanza quadrata, che aveva un letto matrimoniale e fotografie di squadre di hockey su ghiaccio appese ai muri. I mobili erano moderni, a eccezione di una libreria a vetri piena di volumi rilegati in pelle nera. I titoli dei libri, corrosi, si erano ridotti a rade macchioline d’oro o argento. Due finestre lasciavano entrare una luce bianca, riflessa dalla neve all’esterno, che si proiettava verso l’alto, creando un’atmosfera simile a quella della cabina passeggeri dell’idrovolante su cui aveva traversato l’Atlantico. Hasson studiò la stanza, vedendola con una chiarezza sovrannaturale che gli derivava dal sapere che per tre mesi sarebbe diventata la sua fortezza personale. Controllò che la porta avesse una serratura funzionante, e quasi subito individuò l’angolo migliore per sistemare un televisore portatile.

— Il bagno e la toilette sono qui vicino, sul pianerottolo — disse Werry. — Appena ti sei dato una rinfrescata, vieni giù a mangiare. Oggi Theo esce presto da scuola, e anche lui vorrà conoscerti.

— Scendo subito — rispose Hasson, desiderando che l’altro se ne andasse. Appena si ritrovò solo, si sdraiò sul letto, rilassò il corpo fissando la luce che si muoveva sul soffitto. «Dove sono?» pensò. «Dove sono le forze interiori e le risorse che il dottor Colebrook mi ha promesso?» Portò il dorso della mano alla bocca e chiuse gli occhi, per escludere l’impietosa luminosità bianca che lo circondava da ogni lato, come un esercito che lo stringesse d’assedio.

3

Il primo pranzo a casa di Werry fu una vera ordalia. Più terribile di quanto Hasson avesse previsto. Avevano apparecchiato quattro posti al tavolo circolare della cucina. Quello di Hasson si distingueva dagli altri per la presenza di un bicchiere colmo di whisky che gli faceva dolere lo stomaco ogni volta che lo guardava. Si accomodò con Werry e May Carpenter, mentre Ginny, con una sigaretta penzolante fra le labbra, orchestrava il pranzo, in piedi davanti ai fornelli. Riempiva personalmente i piatti col contenuto di diverse pentole, come un cuoco militare, prestando scarsa attenzione alle preferenze espresse dagli altri. Hasson, che amava le bistecche ben cotte, ricevette un pezzo di carne troppo alto, bruciacchiato all’esterno, ma che colava sangue da parecchi lati.

— Per me niente sugo — disse Hasson quando Ginny agguantò un enorme mestolo.

— Il sugo ci vuole — ribatté lei, poi ricoprì la roba nel suo piatto di un sugo denso e glielo mise davanti. Lui guardò Werry, sperando che l’altro avrebbe tenuto fede ai suoi doveri di ospite andandogli in soccorso, ma Werry sorrideva con aria giuliva a May e cercava di strapparle un nastro dai capelli. Indossava ancora l’uniforme, senza berretto, e sembrava un soldato di leva che amoreggiasse con una ragazza nuova. May rispondeva con occhiate arcigne, scuoteva la testa e si lisciava di continuo i capelli con le mani, un gesto che forse intendeva mettere in rilievo la voluttuosità del suo seno. Hasson era affascinato suo malgrado, e si sentì distrutto dalla scoperta che nell’attimo della massima tensione lo sguardo di May, innocente, era posato sul suo viso. Disperato, mentre attendeva che Ginny si mettesse a sedere, si distrasse col whisky, bevendo piccoli sorsi che gli bagnavano appena le labbra. I mesi che lo aspettavano gli parvero d’improvviso insopportabili, un test di resistenza cui non avrebbe resistito a meno di irrobustire immediatamente le proprie difese.

— Al — disse, mantenendo la voce su un tono disinvolto — qui vicino ci sono dei negozi dove potrei comperare o noleggiare un televisore portatile?

Werry inarcò le sopracciglia. — Che idea balorda! Abbiamo uno schermo tridimensionale in salotto. — È lungo due metri. May e Ginny lo guardano sempre, e tu puoi guardarlo con loro quando ti pare. Non è vero, May?

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