Ben Bova - Orion e la morte del tempo

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Orion e la morte del tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Orion non è un uomo come tutti gli altri: tanto per cominciare, è immortale. Scelto dai Creatori per essere il loro campione nei frangenti più pericolosi e contro nemici insidiosissimi, è costretto ad andare alla deriva nel tempo per battersi contro i pericoli che si annidano in epoche e secoli nascosti. Insieme ad Anya, una ragazza che condivide la sua sorte, è costretto questa volta a lottare non solo contro le forze ostili ai Creatori, gli enigmatici esseri che reggono le fila del suo destino, ma contro i Creatori stessi per riconquistare la libertà. E la partita si decide in un’era lontanissima, dove la morte del tempo non è più metafora ma realtà.

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Rimasi avvinghiato alla pelle del drago. Per un breve istante la notte cessò di produrre i propri lievi rumori. Ma in breve rane e grilli ripresero a cantare. Un lupo ululò alla luna. Nessuno degli altri draghi sembrava essersi accorto di nulla.

Feci ritorno presso i miei uomini in attesa. Persino nell’oscurità riuscii a scorgere i loro ampi sorrisi. Senza sprecare un solo istante, ci adoperammo a impilare la legna presso l’imboccatura del canyon.

Quando avemmo finito di sistemare l’ultimo fascio di sterpi il cielo cominciava a ingrigire. La barriera che avevamo formato era drammaticamente minuta. Ma era il meglio che potessimo fare.

Attraverso i rami e le sterpaglie vidi i draghi seduti presso la parete di roccia, immobili come immense statue, tanto grandi da poter raggiungere la più bassa delle caverne con il muso. I loro occhi sembravano aperti, ma erano completamente immobili a eccezione del lento, ritmico pulsare dei loro fianchi mentre esalavano il profondo, regolare respiro del sonno.

Passò qualche istante prima che Chron riuscisse a produrre il fuoco da un paio di bastoni. Ma alla fine un sottile sbuffo di fumo si alzò dalle sue mani operose, immediatamente seguito da una fiammella. Avvicinai un rametto alla fiamma mentre Chron appiccava il fuoco a un cespuglio. Quindi balzammo in piedi e ci portammo verso altri punti della barriera dove appiccare nuovi fuochi.

Quando ci riunimmo di nuovo, ognuno di noi aveva acceso un gran numero di fuochi. L’intera barriera era in fiamme; i cespugli secchi crepitavano vivacemente, formando lingue di fiamma che guizzavano nell’aria.

I draghi non accennavano a svegliarsi. Temendo che il fuoco potesse spegnersi prima di diffondersi alla vegetazione del canyon, presi un ramo infuocato e con quella torcia diedi alle fiamme un buon numero di alberi e rovi. Allora anche l’erba cominciò a prendere fuoco. Fiamme e fumo salirono alti, e il vento li spinse all’interno del canyon.

I draghi cominciarono a muoversi. Dapprima uno di loro si scosse come da uno stato di trance, sollevandosi sulle zampe posteriori e dondolando il capo. Poi fu la volta di un secondo drago, che lanciò un sibilo tale da farcelo udire distintamente nonostante il roboante crepitio delle fiamme. Infine, anche gli altri si svegliarono di colpo tutti insieme, tremando e barcollando, storditi sulle zampe, sibilando e sbuffando.

Avevo sperato che nel freddo dell’alba potessero svegliarsi pigri e intorpiditi. Non era così. In breve tutti si posero sul chi vive, camminando nervosamente avanti e indietro lungo la scodella di pietra mentre le fiamme, spinte dal vento, si propagavano in mezzo a loro.

Per alcuni minuti si limitarono a muoversi disordinatamente, ringhiando e sibilando, furenti dalla rabbia e dal terrore. Erano troppo grossi per riuscire ad arrampicarsi lungo la parete di roccia e fuggire come avrebbe potuto fare un uomo. Erano in trappola; gli alberi i cespugli e l’erba intorno a loro si erano trasformati in un mare di fiamme e fumo denso. Il calore mi strinava i peli delle braccia, bruciacchiandomi il volto.

Indietreggiammo. I draghi, come in accordo mentale fra loro, sembrarono raggiungere la stessa decisione nello stesso momento, lanciandosi alla carica attraverso le fiamme.

In fila per due, i rettili si immersero nell’olocausto che avevamo preparato per loro. Soffiando e sibilando come enormi vaporiere guadarono il mare di fuoco a testa alta per mantenerla al di sopra del fuoco e del fumo. I primi calpestarono incautamente i cespugli infuocati, schiacciandoli a terra a vantaggio dei loro compagni. Uno di essi cadde nel fuoco emettendo urla strazianti. Poi un altro. Ma gli altri continuarono la loro avanzata precipitosa, calpestando i corpi dei loro simili.

Sei dinosauri morirono tra le fiamme, sacrificando le proprie vite per liberare l’accesso agli altri. Rimasi attonito, sbigottito di fronte a quella dimostrazione d’intelligenza e spirito di sacrificio. Un semplice dinosauro non poteva sviluppare un simile grado d’intelligenza: le dimensioni del suo cervello erano troppo ridotte; il suo cranio era composto per lo più d’osso.

Dovevano essere controllati da qualche altro intelletto. Ma non era quello il momento più adatto per tentare di sciogliere quell’enigma; i cinque mostri superstiti erano riusciti a oltrepassare la barriera infuocata.

E caricavano verso di noi.

Potevo vedere brandelli di carne nuda e fumante sulle zampe e sui fianchi bruciati dal fuoco. Ci avevano individuati, appiattiti contro la parete di roccia, armati soltanto delle nostre lance dalla punta di rame.

— Scappiamo! — gridò qualcuno.

— No — risposi. — Affrontiamoli…

Ma era troppo tardi. I miei compagni fuggirono a gambe levate di fronte a quei terribili mostri sibilanti. Tutti tranne il giovane Chron, che rimase al mio fianco mentre tre di quei giganti si avventavano su di noi e gli altri due cambiavano traiettoria per inseguire gli uomini in fuga.

Mi maledissi per non aver preparato un piano di ritirata. Eravamo intrappolati contro la roccia.

I draghi avevano subito bruciature terribili, e strillavano in preda al furore. Afferrammo le lance con entrambe le mani.

Il mondo sembrò rallentare mentre i miei sensi entravano in ipervelocità. Vidi il primo rettile dirigersi contro di me, le fauci spalancate e le zampe anteriori distese. I suoi artigli avrebbero potuto ridurre in pezzi un rinoceronte.

Mi raggomitolai e conficcai la lancia nel ventre dell’animale. La bestia gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, scartò di lato e cadde a terra. Mi voltai e vidi Chron, la base della lancia appoggiata contro la roccia, cercare disperatamente di tenere lontano il drago che cercava di ghermirlo.

Estrassi la lancia insanguinata dalle viscere dell’animale, e arrampicatomi sul suo corpo esangue immersi la punta metallica della mia arma nella coscia dell’altro rettile. Il mostro, barcollando, si voltò verso di me. Di nuovo conficcai la lancia nel ventre della bestia mentre Chron colpiva più in alto, vicino al cuore.

Prima ancora che il mostro toccasse terra, il terzo drago si scagliò contro di me. La mia lancia era ancora conficcata fra le carni del rettile che avevo colpito. Mentre cercavo di liberarla, fra le urla dell’animale agonizzante, il suo compagno calò gli artigli contro di me. Li vidi scendere a velocità rallentata e cercai di sgattaiolare via, ma scivolai nel denso lago di sangue che copriva il terreno e caddi su un lato.

Sentii gli artigli del drago affondarmi nel fianco e nel braccio sinistro. Prima che il dolore raggiungesse la mia mente serrai i vasi sanguigni e inibii i nervi preposti a comunicare segnali del dolore al mio cervello.

Sollevato il capo vidi Chron trafiggere la gola del drago. La bestia arretrò con un ruggito tremendo, strappando l’arma dalle mani dell’adolescente. Mi misi in ginocchio e afferrai col braccio sano la lancia ancora immersa fra le viscere del secondo drago.

Chron si era appiattito contro la parete di roccia, gli occhi spalancati per il terrore, rannicchiandosi su se stesso mentre il mostro ferito calava gli artigli contro di lui, con furia cieca ispirata dal dolore. Nel frenetico desiderio di uccidere il suo torturatore, non si curava della lancia che gli sporgeva dalla gola. I suoi artigli incisero profonde scanalature nella pietra. Abbassò il muso per azzannare Chron e anch’io avvertii il suo respiro, caldo e fetido dell’odore di carne maldigerita.

Afferrai la lancia e riuscii a estrarla dalla carcassa morente, mentre Chron scansava disperatamente i colpi furiosi del drago. Il ragazzo era più veloce del rettile, ma non di molto. Tutto sarebbe dipeso da chi si fosse stancato per primo.

Mi portai in piedi e con tutta la forza che mi era rimasta in corpo affondai la lancia nel fianco del drago, avvertendo la sua punta di rame raschiare contro una costola per penetrare più profondamente, fin dentro ai polmoni.

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