Ben Bova - I condannati di Messina

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I condannati di Messina: краткое содержание, описание и аннотация

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Farà piacere ai nostri lettori siciliani sapere che in un futuro più o meno lontano Messina è destinata a diventare sede del supergoverno mondiale. La città, certo, non sarà più la stessa. Torri e palazzi fantascientifici domineranno, lo stretto; uomini dotati d’immenso potere e carichi d’immense responsabilità guarderanno pensosi verso la Calabria; e celebri scienziati di tutto il mondo si ritroveranno, sbigottiti, a Messina, trasportati qui con le buone e con le cattive insieme alle loro famiglie. Una gravissima decisione è stata presa al più alto livello: ancora una volta la scienza sta per mettere in pericolo mortale non solo la società ma l’umanità stessa. E la scienza deve essere messa in condizioni di non nuocere. L’ordine spietato (o pietoso?), necessario (o criminale?) partirà da Messina.

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— E allora, che cosa possiamo fare? — chiese Kaufman.

— Niente. — Sutherland si strinse nelle spalle. — Aspettiamo di vedere che cosa succede. Non ci resta altro da fare.

Il dottor Richardson chiese d’un tratto: — Avete notizie del Grande George? Come…

— L’ho visto stamane… anzi, ieri — rispose Lou. — Era spaventato, ma penso che qualcuno si sarà preso cura di lui. Spero…

— Non possono rinchiuderlo in uno zoo — disse Greg. — Morirebbe di nostalgia.

— O di paura.

— Se chiedessimo…

La porta dell’atrio si aprì. Lou, voltandosi, vide sulla soglia la signora Kaufman, con la figura imponente avvolta in una vestaglia.

— Finalmente i bambini si sono addormentati — disse al marito. — Tarderai ancora molto?

Con un sospiro, il dottor Kaufman disse: — Ancora pochi minuti, cara.

Lei annuì e richiuse la porta. Lou era rimasto in piedi vicino al tavolo, a bocca aperta.

Greg disse: — Non lo sapevi? Hanno portato qui anche le mogli e i bambini di ogni membro sposato del gruppo. Una faccenda di famiglia, insomma.

IX

Greg disse a Lou di andare a dormire in camera sua, una stanza da letto spaziosa, all’ultimo piano della villa. I due staccarono l’aria condizionata, lasciando le porte del balcone spalancate, e si addormentarono al mormorio della risacca.

Il mattino seguente il cielo era luminoso, senza nuvole. Lou scoprì nell’armadio della stanza alcuni capi di vestiario che gli andavano bene: una camicia a colori vistosi e un paio di calzoni corti. Faceva abbastanza caldo per andare scalzi.

— Nella villa c’è personale siciliano che ti procurerà altri abiti. Basta chiederli — disse Greg, mentre scendevano le scale. — E sapessi come cucinano! Non sappiamo perché siamo qui, ma bisogna dire che ci trattano bene…

La mattinata passò nello scambio di ipotesi. Erano stati sequestrati dal governo mondiale in vista di un progetto ultrasegreto. No, si minacciava una guerra tra Stati Uniti e Cina, e il governo mondiale aveva messo al sicuro i maggiori scienziati delle due parti, onde evitare che venissero eliminati. Sciocchezze, una guerra era impossibile, dato che tutte le nazioni erano disarmate; il governo mondiale non avrebbe mai permesso che scoppiasse una guerra… La verità è che sulla base di Marte è scoppiata un’epidemia di origine ignota e perciò ci manderanno lassù per cercare una cura, prima che la malattia spazzi via tutti da Marte… Ma no! Io ho un cognato su Marte e ho appena ricevuto da lui un lasergramma, la settimana scorsa…

Le voci e le ipotesi si facevano sempre più serrate e inverosimili via via che il sole saliva nel cielo del mattino. Nessuno, comunque, affrontò la spiegazione più semplice di tutte: e cioè che il governo mondiale aveva deciso di impedire che si completassero le ricerche di ingegneria genetica in corso. Era una spiegazione troppo semplice, troppo probabile e troppo penosa per essere prospettata.

Poco prima di pranzo, Lou gironzolava per il patio che dava sul mare. Alcuni degli scienziati più anziani, in compagnia delle mogli, stavano prendendo il sole. Lou, invece, non riusciva a stare fermo e tranquillo. Ci doveva pure essere qualcosa da fare.

Greg arrivò di corsa dalla scaletta di pietra che scendeva dal patio alla spiaggia, in basso.

— Ah, eccoti! — disse a Lou. — Senti, sono andato a dare un’occhiata laggiù, ai piedi di questo strapiombo pittoresco. Le mogli più giovani e le figlie più grandi hanno scovato dei costumi molto simpatici, e stanno divertendosi sulla spiaggia. Spettacolo magnifico. Compresa la figlia maggiore del capo. Che ne dici?

Il ricordo di Bonnie si affacciò alla mente di Lou. — No… grazie. Non ne ho voglia.

Greg si strinse nelle spalle. — Va bene, fa’ come vuoi. Io scendo a correre dietro… alle onde. Caso mai qualcuno mi cercasse.

— Sta’ tranquillo. — Lou si voltò e riprese a camminare avanti e indietro lungo il patio, sforzandosi di pensare a qualcosa di utile da fare. Ma non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di Bonnie in lacrime, sgomenta e disperata, spaventata soprattutto per la sua reazione: Lou lo capiva, adesso.

Dovrei cercare di mettermi in contatto con lei, per dirle che va tutto bene, che non ce l’ho con lei.

Si alzò e rientrò nella villa, cercando un domestico. Invece s’imbatté in Kaufman e Sutherland.

— Hai visto Greg Belsen? — chiese Kaufman. — Proprio in questo momento siamo stati convocati per una riunione dove ci spiegheranno di che si tratta, e possiamo portare tre persone. Dov’è?

Lou stava per rispondere, quando si ricordò che sulla spiaggia c’era la figlia di Kaufman. — Greg? Sì, era qui un momento fa. Ma adesso non so dove sia.

Sutherland assunse un’aria scontenta. — La macchina aspetta fuori, ci vogliono subito.

— Vengo io — disse Lou, quasi involontariamente.

— Voi?

— Verrò al posto di Greg.

— Ma…

— A meno che non preferiate cercarvi qualcun altro.

Kaufman diede un’occhiata imbarazzata a Sutherland, che guardava la camicia vistosa e i pantaloni corti di Lou. Anche loro erano in abiti sportivi, ma portavano colori scuri e tradizionali.

— Vado e mi cambio in due minuti — propose Lou.

— Non c’è tempo per cambiarsi — disse Kaufman. — La macchina è fuori che aspetta. Andiamo. — Lou, con un leggero sorriso di soddisfazione, li seguì verso l’auto. Sui sedili anteriori c’erano due uomini che indossavano una divisa scura, senza nessun segno distintivo. Entrambi erano bruni, olivastri. Non dissero una parola.

Sutherland aggrottò la fronte, quando la macchina si avviò, lasciando la villa. — Che cosa pensi di tutta questa faccenda?

Il dottor Kaufman scosse la testa. — Qualunque sia la spiegazione, sarà sicuramente più fantastica di tutte le voci che sono corse finora.

Filarono per quasi un’ora, lungo una strada tortuosa e polverosa. Per quasi tutto il percorso, la rotabile s’inoltrava in mezzo alle colline, e non c’era niente da vedere tranne il fogliame verde, che frusciava al passaggio dell’auto. Ogni tanto, però, raggiungevano la sommità di un colle, che aveva da un lato, a perdita d’occhio, il mare scintillante sotto il sole e dall’altro i campi ricchi di ulivi e di agrumeti.

Nel frattempo, nuvoloni scuri si erano addensati in cielo, e quando superarono il cancello di un’altra villa antica con le solite sentinelle in divisa che salutavano sull’attenti, le nuvole incombevano minacciose, tra il brontolio di tuoni e il balenare dei lampi. Era scuro come se fosse sera, sebbene fossero appena le prime ore del pomeriggio.

Decine di macchine erano ferme davanti all’ingresso principale della villa. All’interno, l’antico edificio era gremito di uomini e donne che si aggiravano per le sale.

Appena varcata la soglia, Lou, Kaufman e Sutherland si fermarono sbalorditi davanti a quella folla.

— Ma è Margolin, dell’Accademia di Parigi — disse il dottor Kaufman. — Che cosa viene a fare qui?

— Liu, di Tokio — aggiunse Sutherland.

— Guarda! Rosenzweig… e anche Yossarian!

— Dio mio, ci sono tutti i pezzi grossi nel nostro campo!

Lou riconobbe alcuni dei genetisti e biochimici più famosi del mondo. Non vide, però, altri tecnici di elaboratori.

— Adrian! — disse un ometto fragile, con un ciuffo di capelli bianchi. — Lo sapevo che avrebbero preso anche te.

Kaufman si voltò e riconobbe subito il vecchio. Commosso, e insieme contento, gli andò incontro, tendendogli le mani: — Max… anche tu qui.

In quel momento Lou lo riconobbe: era il professor DeVreis, il decano dei genetisti viventi, l’uomo che era stato il maestro dei maggiori scienziati del ramo: di Kaufman, per esempio, quando era sui banchi dell’università.

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