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Bob Shaw: Il terzo occhio della mente

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Bob Shaw Il terzo occhio della mente

Il terzo occhio della mente: краткое содержание, описание и аннотация

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Fu mentre si versava il caffè della prima colazione che John Redpath s’accorse qualcosa di “strano”, di qualcosa “che non andava”, pur non riuscendo a capire che cosa fosse… Restò un momento a guardarsi intorno, poi tese l’orecchio per sentire se, tra i rumori familiari del mattino presto, nello stabile in cui abitava, ne mancasse qualcuno, ovvero ce ne fossero degli insoliti… Questo tradizionale (e insuperato) modo di cominciare una storia di fs, ben pochi oggi possono permetterselo. Bisogna infatti che un romanzo possa competere con i classici, per non deludere le aspettative suscitate nel lettore da un inizio di questo tipo. Ma per Bob Shaw, autore di “Quando i Neutri emergono dalla Terra”, la difficoltà non esiste: ogni suo nuovo romanzo, comunque cominci, s’impone immediatamente come un classico.

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“Quando entrerò,” pensò, “sulla mia destra ci sarà una scalinata, e in cima alla scalinata ci sarà un lungo pianerottolo che arriva fin sul dietro della casa, con una finestra all’estremità, e su quella finestra ci sarà un altro giglio identico a questo.”

— È un posto molto carino — disse Betty, apparsa al suo fianco. — Carino e tranquillo. Nessuno ti disturberà.

Redpath guardò oltre la sua testa. Vide l’insegna in ferro battuto, vecchia ma non antica, appesa all’ultima casa della fila. L’insegna diceva: “Raby Street”. Il nome non gli diceva niente; eppure la visione dell’interno della casa aveva qualcosa di molto particolare, forse era più intensa del solito, tanto che gli sembrava di riconoscerla, non di vederla o intuirla per la prima volta.

“Eppure, questa non è la mia zona. Non sono mai stato qui. Dev’essere ancora colpa di quella porcheria che Nevison e i suoi scagnozzi mi hanno iniettato…”

Betty lo prese per il braccio, e per un attimo lo sfiorò il calore morbido del suo seno. — Ti faccio vedere la stanza, tesoro. È sul retro, dove c’è più sole.

Redpath si lasciò spingere avanti come un bambino trascinato a scuola il primo giorno. Betty gli aprì la porta interna, e lui si trovò nell’atrio. La scalinata alla sua destra terminava su un lungo pianerottolo, e all’estremità del pianerottolo c’era una finestra con un giglio istoriato sui vetri. I raggi di luce che entravano dalla finestra sottolineavano l’oscurità del resto della casa. Quando gli giunse alle narici il profumo di chiodi di garofano, Redpath rovesciò la testa all’indietro, allarmato. L’aroma intenso svanì in un secondo e lui capì che si era trattato di una sensazione sinestetica, di un’impressione falsa scatenata dal fatto che la finestra fosse esattamente come aveva previsto. Rabbrividì. All’improvviso pensò che quello fosse un avvertimento.

— Di qui, tesoro. — Betty gli fece strada su per le scale. A ogni passo, il suo sedere e le sue cosce ondeggiavano, come animati di vita propria. Lui la seguì, aspettandosi di veder comparire Albert da un momento all’altro, magari con la faccia sorridente affacciata a una porta; ma la casa pareva aver assorbito in sé quello strano individuo. L’unico rumore che si udiva erano i loro passi sulla stuoia sottile che ricopriva la seconda serie di scalini. Sul pianerottolo al piano di sopra si aprivano due porte, tutte e due stranamente dipinte di rosa.

“Forse in un posto come questo sono cresciuti dei bambini. Dio li aiuti.”

Betty aprì la porta più vicina al retro della casa, entrò in una camera da letto quadrata, alquanto grande. Sul pavimento era steso un linoleum rosa, sfigurato da linee marroni, parallele, che seguivano l’andamento delle assi sottostanti. Redpath avanzò nella stanza e vide che conteneva un letto matrimoniale, un armadio, due cassettoni e un comodino, tutti di foggia antiquata, diversi fra loro anche nella qualità del legno. Dal centro del soffitto pendeva un lampadario, storto a causa del filo che lo collegava a una seconda luce sistemata sulla parete a ridosso del letto.

— Non sarà il palazzo reale — commentò Betty — però qui starai comodissimo, John. Il bagno è ai piedi delle scale.

“Vuole affittarmi la stanza sul serio” pensò Redpath, avvicinandosi alla finestra. “E adesso come me la cavo?”

Sotto la finestra c’era il tetto grigio del primo piano, e ancora più in basso un cortile interno con tettoie di mattoni e un’asciugatrice vecchio stile a fianco di due pattumiere. Oltre il muro che cingeva il cortile c’era un’altra fila di case a due piani, però la visibilità non ne risentiva perché, sulla sua sinistra, due delle case erano crollate, forse travolte in tempo di guerra dai bombardamenti. Attraverso quell’apertura Redpath scorgeva le ciminiere, le gru, le torri e gli alberi di Calbridge, vicini come in un quadro, splendidamente normali. Provò il desiderio fortissimo di essere là fuori, di fare cose normali come sedersi al bar o farsi tagliare i capelli o riportare un libro in biblioteca. Udì uno scricchiolio alle sue spalle, si girò. Betty si era seduta sull’orlo del letto.

— Materasso morbido — gli disse, fissando gli occhi nei suoi con espressione solenne. — Mi piacciono i materassi morbidi.

Redpath attraversò la stanza, le si fermò davanti, le mise le mani sulle spalle. Si sentiva febbricitante, malato. Lei cercò di rovesciarsi sul letto e di trascinare Redpath sopra di sé, ma lui strinse le dita sulle sue spalle e fece forza, costringendola a restare seduta.

— Allora è così, eh? — disse Betty, alzando gli occhi sulla cintura di Redpath che era allo stesso livello della sua faccia. Poi mise le mani sulla fibbia della cintura e cominciò a slacciarla.

Redpath restò immobile per un attimo. Il suo corpo era una colonna di sangue pulsante. Poi si liberò dalle mani di Betty e corse fuori dalla stanza, attraversò l’oscurità della casa con le gambe che tremavano, e fuggì come se stesse vivendo un incubo. Rallentò solo quando arrivò all’aperto, nella luminosità arancione della strada. Giunse all’angolo, svoltò nella strada che incrociava Raby Street senza mai guardare indietro, ansioso di interrompere il contatto visivo con la casa. Ma se la sentiva addosso, appiccicosa come una matassa di fili di ragnatela.

2

“Ti serva di lezione.” Redpath camminò per più di un chilometro e mezzo continuando a ripetere fra sé la stessa frase, facendone una specie di canto silenzioso. Più si allontanava dalla casa di Raby Street, più rallentava il passo. “Ti serva di lezione.” Tremante di sollievo, cominciò a guardare le vetrine dei negozi, a trovare interessanti cose di cui non si era mai occupato: i diversi modelli di radio a transistor, i prezzi della tappezzeria, le capacità cubiche dei frigoriferi. “Ti serva di lezione.”

Trascorse una mezz’ora prima che lui riuscisse a mettere a fuoco la morale degli ultimi avvenimenti, ed era una morale che riguardava Leila. Adesso capiva perfettamente che la amava, che l’ammirava e che aveva bisogno di lei; che litigare con Leila era stato un atto di stupidità monumentale; che la cosa più urgente in assoluto era trovare il modo di ristabilire la relazione. Scrutò intensamente la vetrina di una panetteria, quasi a cercare un significato nella disposizione di torte e biscotti, e decise che affrontare Leila nel suo ambiente era una necessità tattica. Aveva già avuto la dimostrazione di quanto fosse inutile cercare di parlarle in ufficio.

“Ha fatto male a ridere di me. Molto male. Forse devo insegnarle la lezione. Insomma, io sono sempre stato favorevole al movimento di liberazione femminile, ma a volte liberarsi significa castrare qualcun altro. C’è di che riflettere…”

Redpath guardò l’orologio. Se andava subito al parco a recuperare la bicicletta, poteva arrivare all’appartamento di Leila a Leicester Road prima di lei. Aveva detto che faceva un salto a casa solo per prendere delle carte; ma lui sarebbe riuscito a convincerla a preparare il caffè, e con un po’ di tempo a disposizione, nella calma assoluta del suo appartamento, avrebbe chiarito le cose. Avrebbe fatto tutto il possibile per convincerla che sarebbe stato lieto di tornare alle vecchie abitudini, che non si sarebbe mai più dimostrato geloso o possessivo.

“Ma è vero, John? È proprio vero? Se tu riesci a rifiutare altre donne, perché lei non deve rifiutare altri uomini? Perché non deve imparare la lezione come l’hai imparata tu?”

Quando Redpath tornò a prendere la bicicletta, la scarsa popolazione del Giardino Churchill era mutata. Le giovani signore con carrozzelle e bambini erano state sostituite dagli operai delle acciaierie e delle fabbriche vicine. Nell’aria c’era il profumo di cibi caldi e d’aceto, e Redpath ricordò di avere fame. Trovò la bicicletta, si chinò a slacciare la catena e s’immobilizzò in quella posizione, fissando il lucchetto. I quattro numeri della combinazione che usava praticamente tutti i giorni, da anni, erano svaniti dalla sua memoria.

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