L’“ Esperance ” accostò il peschereccio mentre Terry manovrava il suo strumento tenendolo puntato contro la bestia. Davis con il riflettore puntato illuminava l’agonia del mostro.
Il polipo era ferito e debole, e l’oceano non è elemento per creature deboli. Ma presto sarebbero arrivati gli altri.
E arrivarono. Qualcosa di enorme muoveva rapido verso il mostro ferito, spandendo attorno un alone fosforescente. Un sobbalzo, e un urto contro la chiglia dello yacht. Il mostro continuò la sua corsa, ma un tentacolo si protese contro ciò che aveva incontrato un istante prima. Un braccio orrendo spazzò la tolda del panfilo, abbatté un pezzo di parapetto, mandò in frantumi il bompresso che ricadde inerte dalle sartie. L’“ Esperance ” beccheggiò pericolosamente.
Nick fece fuoco con il bazooka, ma fallì il bersaglio. Tenendosi forte Davis tentò con una granata. Anche questa andò a vuoto. E in quel momento Deirdre urlò.
Terry si sentì gelare. Nell’eccitazione del momento non aveva pensato che la ragazza era a bordo. Ormai non c’era niente da fare.
L’ultimo urto aveva scagliato in mare Tony e adesso il giovane nuotava con disperazione per mantenersi a galla. Terry riuscì a inquadrarlo con il riflettore e Davis lanciò una cima che Tony poté afferrare. Lo issarono a bordo, poi l’“ Esperance ” si buttò nuovamente in soccorso de “ La Rubia ”. Da babordo venivano dei tonfi impressionanti. Terry diresse il raggio luminoso in quella direzione. In quel punto si svolgeva una battaglia di ciclopi. Il secondo mostro, passato sotto la chiglia dello yacht, stava lottando con il polipo ferito. Combattevano sul pelo dell’acqua in un caos di tentacoli allacciati strettamente, dilaniandosi a vicenda. I corpi mostruosi apparivano e sparivano fra le onde. Altri polipi arrivarono e si buttarono nella lotta, contendendosi il compagno morente. Intorno il mare risuonava di muggiti spaventosi.
L’“Esperance”, sballottato dal tumulto, andò a urtare contro una fiancata del peschereccio dal cui ponte i marinai, impazziti dal terrore, saltarono sulla tolda dello yacht urlando che li riportassero a terra.
— Presto! Via con i motori. A tutta forza — ordinò Terry, nell’attimo in cui anche il grosso capitano de “ La Rubia ” saltava sul ponte. L’“ Esperance ” si mosse puntando verso la riva che sembrava lontanissima, irraggiungibile.
Dal campo di battaglia si staccò un mostro, forse era quello ferito dagli uomini dello yacht, forse un altro, dilaniato dai compagni. I polipi feriti cercano istintivamente rifugio nelle caverne sottomarine. Il gigante si tuffò e subito gli altri si lanciarono al suo inseguimento.
Ma nella vicina scogliera non c’erano rifugi. Eppure la bestia doveva trovare un riparo se non voleva finire divorata. Forse l’istinto, forse la corrente subacquea, lo trascinò verso lo stretto canale dove anche l’“ Esperance ” doveva passare. E per il polipo fu finita. Il mostro ferito si arenò nell’acqua troppo bassa per lui e gli altri lo raggiunsero.
Dal ponte del panfilo gli uomini assistettero al peggiore degli incubi che ebbe come scenario i due promontori della scogliera. I corpi immensi, coperti di schiuma, avvinghiati strettamente, ostruivano tutto il passaggio.
E arrivavano altri polipi ancora.
Terry gridò un ordine e l’“ Esperance ” virò di bordo.
— Meglio puntare in mare aperto — consigliò Davis. — Non possiamo tornare in laguna!
— Andare in pieno oceano? — ribatté Terry. — E i banchi di schiuma? Si formano dove l’acqua è molto profonda e sono più pericolosi di ogni altra cosa. No, meglio restare vicini alla scogliera finché non arriva la portaerei a bombardare quei mostri, ammesso che arrivi. Oppure il posamine.
Davis ebbe un gesto disperato.
— Scendete in cabina radio e dite all’elicottero che si porti qui sopra per osservare cosa sta succedendo. Poi ci pensino loro a chiamare la portaerei. Può darsi che quelli si dimostrino scettici, ma almeno un apparecchio lo manderanno, voglio sperare! E bisognerà avvertire le navi che tengano sempre in funzione il sonar.
Davis si allontanò. Poco dopo la sagoma nera di Nick si chinò per passare dal boccaporto sémi-distrutto. Davis lo seguiva. Deirdre si avvicinò a Terry.
— Si può sapere perché l’equipaggio dello yacht ci è venuto dietro senza farti prima sbarcare? — sbottò il giovane.
— Avrebbero perso del tempo prezioso — rispose Deirdre. — E poi non avrei accettato di sbarcare mentre tu…
— Cercherò un passaggio nella scogliera per portarti a terra — disse Terry, deciso. — Siamo in acque basse, ma non mi fido ugualmente. Nessuna nave è sicura.
— Ma presto sarà giorno, e allora…
— E anche allora non sapremo che cosa si prepara sott’acqua — troncò Terry.
Un rombo di motori dall’isola, e una luce brillò sopra la cima degli alberi. Poi si accese un razzo illuminante subito seguito da un altro. Gli uomini dell’elicottero non credevano ai loro occhi.
— Terry, qualunque cosa accada, sono contenta di averti incontrato — mormorò Deirdre. Davis risalì dalla cabina radio. — La portaerei è a poche miglia e avanza a tutto vapore — informò. — Il posamine la segue. Arriveranno qui all’alba.
Lontanissimo, a est, il cielo incominciava a impallidire, e l’oceano acquistava un tono blu-ardesia. A un tratto, a un quarto di miglio dallo yacht si levò un’ondata altissima. Terry puntò il raggio sonoro la quella direzione. Un polipo si contorse sul pelo dell’acqua e ricadde, scomparendo.
Poi, all’orizzonte, comparve un punto nero. Mentre il sole si affacciava ai confini del mondo il punto ingrossò, divenne color oro. Sopra vagava un pennacchio di fumo. Quasi subito un aereo si levò in volo, seguito da un secondo.
I caccia puntarono sull’isola. Uno s’impennò all’improvviso, come spaventato da ciò che aveva visto, compì un’ampia virata e ritornò sul posto. Dall’aereo partì una raffica di mitragliatrice. Una specie di gigantesco serpente si impennò nell’acqua e poi s’immerse.
Il sole adesso illuminava pienamente il mare, e Terry osservò, sbigottito, dieci, venti polipi immensi galleggiare qua e là a ridosso della scogliera.
— Sono addomesticati — disse Terry. — Sono diventati una specie di cani da guardia per i bolidi inabissatisi nella Fossa di Luzon. Per questo migliaia e migliaia di pesci vengono attirati nelle profondità, per servire da nutrimento ai polipi. I muggiti che sentivamo erano le voci dei polipi in attesa di cibo!
Un tentacolo affiorò poco lontano. Terry azionò il sonar. Tra le onde apparve il mantello della bestia, e il bazooka entrò in azione.
— Perché non cercare di entrare in contatto con quelli che si servono di questi mostri? — disse Davis. — Abbiamo dimostrato di saperci difendere e forse…
— Se noi sbarcassimo su un altro pianeta — interruppe Terry, — o su una parte del pianeta dove gli abitanti non possono vivere, forse questi ultimi cercherebbero di mettersi in contatto con noi, ma di certo non ci permetterebbero di stabilirci sul loro mondo! Neanche nella zona più inabitabile del loro mondo.
Al panfilo arrivò l’eco fortissima di un’esplosione. Un aereo aveva sganciato una bomba su uno dei mostri affioranti. Un altro aereo scese in picchiata, sganciò un ordigno e risalì. Un immenso getto d’acqua si levò dal mare, e poco lontano se ne formò un secondo.
Quella era un’altra sfida alle creature degli abissi.
Per la guerra gli esseri umani si servono di strumenti e di mezzi tecnici: da secoli hanno smesso di usare gli animali in battaglia. Ma gli esseri del mare avevano chiaramente. dimostrato di essere ancora legati agli animali. Avevano mandato in superficie i polipi giganti per combattere gli uomini, come un tempo gli uomini lanciavano gli elefanti contro i nemici. Tuttavia gli strateghi degli abissi non disponevano di un’unica arma. Adesso sapevano che gli uomini erano in grado di tener testa ai polipi. Perciò cambiarono arma. A ottomila metri di profondità qualcosa cominciò a trasformare in gas l’acqua dell’oceano, e in quantità superiori a ogni immaginazione. Un ordigno misterioso produsse miliardi e miliardi di microscopiche bollicine che affiorarono creando una corrente violentissima. In fondo all’oceano le bolle erano soggette a una pressione di tonnellate per centimetro quadrato. Man mano che le bolle salivano la pressione diminuiva… e le bolle s’ingrossavano. Una bolla che sul fondo era come una capocchia di spillo, sarebbe diventata grande a poco a poco come un pallone, poi come una casa, e infine si sarebbe suddivisa in migliaia e migliaia di bolle. E così via. Le bolle salivano, salivano, si gonfiavano, si separavano. A settemila metri dal fondo, a una pressione di poco superiore a quella atmosferica, le bolle formavano una colonna ascendente, e al pelo dell’acqua diventavano una massa di schiuma. Ma sotto quella schiuma ce n’era altra, e sotto, altra ancora, e se una nave vi capitava sopra, sprofondava in quel profondissimo cono di vuoto sul quale niente dì solido poteva sostenersi.
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