Arthur Clarke - Le Guide del Tramonto

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Per sei giorni le immense astronavi, silenziose e immobili, restarono sospese sulle metropoli della Terra. Poi vennero gli ordini, e ai terrestri non restò che obbedire. Ma per ani e anni nessuno potè vederli, gli Esseri venuti con le astronavi. Nessuno poté sapere chi erano. Per quale misteriosa ragione «Essi» non volevano essere conosciuti? Forse perchè (ma nessuno lo sospettò) non volevano essere «riconosciuti»? Un classico della fantascienza che è anche un classico del suspense.

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«Era una voce d’uomo? E da dove veniva?»

«Era vicinissima a me. E si sarebbe detta quella d’un uomo…»

Esitò per un attimo e George lo sollecitò: «Va’ avanti… cerca d’immaginarti d’essere ancora sulla spiaggia e dicci esattamente com’è andata.»

«Ecco, non era come la voce di un uomo che io avessi già inteso prima. Doveva essere comunque un uomo molto grande.»

«E non ha detto altro?»

«No, fino a quando ho cominciato ad arrampicarmi sulla montagna. Allora è successa un’altra strana cosa. Conosci il sentiero che sale dalla scogliera?»

«Sì.»

«Salivo di corsa su per quel sentiero, perché è la strada più corta. Sapevo ora quello che stava per succedere perché avevo visto la grande ondata venire avanti, e poi faceva un fracasso enorme. A un tratto ho visto che una gran roccia mi sbarrava la strada. Non c’era mai stata… e mi sono accorto che non avevo modo di girarle intorno.»

«La scossa di terremoto deve averla fatta rotolare fin là» disse George.

«Ssst! continua, Jeff.»

«Per un attimo non ho saputo cosa fare, e sentivo l’ondata avvicinarsi sempre di più. Poi la voce ha detto: «Chiudi gli occhi, Jeffrey, e metti le mani davanti alla faccia». Sembrava una cosa buffa da fare proprio in quel momento, però ho ubbidito. E allora c’è stato come un grande lampo… mi pareva quasi di sentirlo tutto intorno e quando ho riaperto gli occhi, la roccia non c’era più.»

«Non c’era più?»

«No! Scomparsa, non c’era più. Così mi sono messo a correre di nuovo ed è stato allora che mi sono quasi bruciato i piedi, tanto il terreno scottava. L’acqua si è messa a friggere quando c’è passata sopra, ma non mi ha potuto raggiungere: ormai ero salito troppo in alto. E questo è tutto. Sono tornato giù quando non c’erano più onde. Allora ho scoperto che la mia bicicletta era sparita e che la strada per tornare a casa era sprofondata.»

«Non prendertela per la bicicletta, caro» disse Jean, abbracciando suo figlio col cuore pieno di gioia. «Te ne regaleremo un’altra. La sola cosa che conti è che sei salvo. Non staremo a preoccuparci su come ti sei salvato.»

Non era vero, naturalmente, perché marito e moglie si consultarono appena usciti dalla stanza del ragazzo. Non giunsero a nessuna conclusione, ma la discussione ebbe due risultati. Il giorno dopo, senza dire niente a George, Jean condusse il figliolo dal neurologo della Colonia. Il medico ascoltò con grande attenzione il racconto che Jeff gli fece, per niente impressionato dal nuovo ambiente; poi, mentre nella stanza accanto il bambino osservava i giocattoli, il medico tranquillizzò Jean.

«Nella scheda di vostro figlio non c’è niente che faccia sospettare una qualche anormalità psichica. Non dovete dimenticare che il ragazzo ha avuto un’esperienza spaventosa, e anzi, devo dire che ne è uscito benissimo. Jeff possiede molta immaginazione e con tutta probabilità è convinto lui stesso della sua storia. Quindi accettatela anche voi per quello che è e non preoccupatevi, a meno che in seguito non notiate altri sintomi.»

Quella sera, lei raccontò al marito la diagnosi del medico, ma George non parve sollevato come lei aveva sperato. «Meglio così» brontolò a mezza voce, e subito si mise a sfogliare l’ultimo numero di «Schermo e Ribalta», come se improvvisamente la cosa non avesse interesse per lui. Jean ne fu vagamente offesa.

Ma tre settimane dopo, il primo giorno in cui la strada sulla striscia di terra fu riaperta, George saltò in bicicletta e si allontanò verso Sparta. La spiaggia era ancora cosparsa di frantumi corallini, e in un punto la stessa scogliera sembrava sfondata.

C’era soltanto un sentiero che si arrampicava sul fianco verticale della montagna e dopo aver ripreso fiato George cominciò a salire. Qualche frammento essiccato di alghe, impigliate tra le rocce, segnava il limite massimo raggiunto dalle acque.

George Greggson rimase per molto tempo su quel sentiero deserto, a fissare la chiarezza di roccia fusa sotto i suoi piedi. Cercò di convincersi che si trattava di qualche anomalia del vulcano estinto, ma in breve abbandonò quegli inutili tentativi d’ingannare se stesso. La sua mente tornò alla notte di dieci anni prima, quando con Jean aveva partecipato alla sciocco esperimento di Rupert. Nessuno aveva mai compreso bene che cosa fosse acca-duto in quell’occasione, ma ora George capì che in qualche modo, e per motivi insondabili, quei due bizzarri eventi erano connessi. La prima volta, era stata sua moglie, ora suo figlio. George non sapeva se esserne lieto o angosciato e in cuor suo elevò una muta preghiera: «Grazie, Karellen, per quanto la tua gente ha fatto per Jeff. Ma vorrei sapere perché l’ha fatto». Ridiscese lentamente verso la spiaggia, e i grandi gabbiani candidi gli volteggiarono intorno, visibilmente seccati perché non aveva portato cibo da gettare per loro.

16

Sebbene avessero dovuto aspettarsela in qualunque momento a partire dal giorno in cui la Colonia era stata fondata, la richiesta di Karellen scoppiò come una bomba. Rappresentò una crisi nella storia di Nuova Atene, e nessuno poté capire se i risultati sarebbero stati buoni o cattivi. Fino a quel momento la Colonia aveva proseguito per la sua strada senza interferenze da parte dei Superni. Essi l’avevano lasciata del tutto tranquilla, come facevano con molte attività umane che non turbavano l’ordine e non offendevano i loro codici. Che gli scopi di Nuova Atene potessero definirsi sovversivi non era del tutto dimostrato. Non erano scopi politici, ma certo sollecitavano lo spirito di indipendenza per artisti e intellettuali. E da questo, chi sapeva cosa poteva derivare? I Superni forse erano in grado di prevedere il futuro di Nuova Atene meglio dei suoi fondatori, e poteva darsi che quel futuro non gli piacesse per nulla.

Naturalmente, se Karellen desiderava inviare un osservatore, ispettore, o comunque lo si volesse chiamare, nessuno poteva farci niente. Venti anni prima i Superni avevano annunciato di avere sospeso ogni uso dei loro congegni di sorveglianza, così che l’umanità non doveva più considerarsi spiata continuamente. Tuttavia il fatto che quei congegni continuassero a esistere voleva dire che niente poteva avvenire all’insaputa dei Superni qualora essi avessero voluto veramente sapere.

Ma c’era qualcuno nell’isola che era lieto di quella visita, perché offriva qualche probabilità di risolvere uno dei problemi minori della psicologia Superna: l’atteggiamento di quelle strane creature verso l’arte. La consideravano forse un’aberrazione infantile della razza umana? O avevano essi pure qualche forma d’arte? In questo caso, lo scopo della visita era semplicemente estetico? Oppure Karellen aveva scopi meno candidi?

Tutti argomenti di cui si discusse all’infinito mentre fervevano intensi i preparativi per quella visita.

Del Superno che avrebbe visitato la Colonia non si sapeva niente, ma si dava per scontato che potesse imparare qualsiasi cosa in quantità illimitate. Avrebbero perciò tentato l’esperimento, e un gruppo di uomini fra i più qualificati avrebbe osservato con interesse le reazioni della loro cavia. L’attuale presidente del consiglio era il filosofo Charles Yan Sen, uomo ironico, bonario, non ancora sessantenne e pertanto nel pieno vigore d’una giovanile maturità. Platone lo avrebbe approvato come l’esempio del filosofo-statista, anche se Yan Sen non approvava del tutto Platone, che lui accusava di aver grossolanamente falsato il pensiero di Socrate. Yan Sen era uno degli isolani che contavano di trarre il massimo profitto da quella visita se non altro per mostrare ai Superni che gli uomini avevano ancora spirito d’iniziativa, e non erano, per usare la sua espressione, «del tutto addomesticati». Nella Colonia ogni iniziativa faceva capo a un comitato, ultimo sopravvissuto baluardo del sistema democratico. Una volta qualcuno aveva definito Nuova Atene una catena di comitati, comunque, il sistema funzionava grazie al paziente lavoro degli psicologi che erano stati i veri fondatori della Colonia. Trattandosi di una comunità ristretta, ogni suo membro poteva partecipare alla sua amministrazione ed essere così un cittadino nel vero senso della parola.

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