Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda

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L’insidia di Andromeda: краткое содержание, описание и аннотация

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Si perché il romanzo «L’insidia di Andromeda» non solo è il seguito del primo «A come Andromeda» ma si inserisce cronologicamente dove quest’ultimo termina, con gli stessi personaggi e l’evoluzione della vicenda…

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«E adesso, un’altra attesa,» disse la Dawnay. Il lieve tremito della sua voce era l’unico sintomo della tensione che provava. «Su, prendiamo un caffè.»

Madeleine non aveva detto a nessuno, fuori del laboratorio, quanto pensasse di essere vicina alla riuscita, temendo, nel caso di un insuccesso, il contraccolpo della delusione. Ma Abu Zeki, attirato dalla luce che veniva dalle finestre del laboratorio, arrivò proprio quando il periodo di attesa stava per finire.

«Entri,» disse Madeleine, «è arrivato in tempo per dividere con noi un successo, oppure aiutarci a trovare i motivi di un fallimento.»

«Funziona?» domandò lui pieno di speranza.

La Dawnay rise incerta. «In teoria, sì. In pratica… be’, lo sapremo fra qualche minuto.»

Andò verso il banco su cui la provetta era stata messa dentro un recipiente sterile. Con mano tremante la prese e la tenne alla luce, mentre gli altri si raggruppavano intorno a lei. Due terzi dell’acqua erano chiari e luminosi. Madeleine continuò a tenerla in alto, fissandola, e anche mentre la guardavano, delle minuscole bolle di gas salirono ondeggiando verso l’alto.

La Dawnay si scosse, ritornando alla realtà. «È stata nella provetta per sessantatré minuti precisi,» mormorò, «adesso faremo la prova nel recipiente grande.»

Non c’era più bisogno di precauzioni e sterilizzazioni, né di misure minuziose. Due provette piene della coltura furono immerse nel recipiente, e tutti si misero in cerchio intorno ad esso per guardare. Una dopo l’altra, cominciarono ad apparire delle piccole pozze di acqua chiara, mentre pigre e grasse bolle venivano alla superficie, scoppiavano, ed erano subito sostituite da altre bolle.

«Quello è l’azoto che viene liberato,» disse la Dawnay. «La pressione dell’aria sta cambiando.»

Era vero. L’ago del barografo saliva lentamente, ma senza scosse.

«C’è quasi riuscita!» esclamò la ragazza di Zurigo.

«Noi ci siamo riusciti,» la corresse Madeleine. «Il resto è un semplice fatto meccanico. Si tratta di produrne in quantità sufficientemente grandi. Bisogna che ci prendiamo un’ora di riposo, poi controlleremo il ritmo della crescita, gli effetti della temperatura e della salinità.» Si volse verso Abu. «Sarebbe bene che cominciassero a programmare la produzione di massa. Vada a parlare alla Gamboul o a Kaufmann. Dica loro che devo incontrarli più presto possibile domani… voglio dire, stamattina.»

Non ebbe bisogno di andare a Baleb, per vedere la Gamboul. Il capo della Intel venne da lei mentre stava inghiottendo frettolosamente la colazione. La Gamboul si limitò a chiedere delle istruzioni, come se fosse una segretaria.

Come risultato, un’ora più tardi, la stazione ad onde corte della Intel stava già trasmettendo una lunga sequela di ordinazioni ai quartier generali della società, a Vienna. Si chiedeva la spedizione per aereo e per nave di imponenti rifornimenti di materiali chimici, fosfati, proteine ed aminoacidi, senza tener conto del costo, né del paese di origine. Si richiedevano tecnici per farli lavorare alle installazioni del petrolio dell’Azaran, dove era necessario vuotare i serbatoi di petrolio ed usarli per contenere le colture. Anche i vecchi oleodotti avevano bisogno di essere riadattati, per pompare l’antibatterio direttamente nel Golfo Persico, mentre se ne preparavano dei nuovi.

Al messaggio fu semplicemente risposto che era stato ricevuto. Non vi furono domande, vaghe promesse o scuse. Quella stessa notte, la prima squadra di trasporti aerei volò verso Baleb con i tecnici ed il carico di materiale chimico. Due di essi precipitarono a causa di una violenta tempesta sul Mediterraneo, ed un terzo saltò in aria quando una piccola tromba d’aria lo colse, proprio al momento dell’atterraggio. Tutti gli altri arrivarono.

Il ponte aereo continuò senza sosta anche il giorno seguente, mentre la prima nave da carico, noleggiata in tutta fretta a Capetown, comunicava per radio l’ora approssimativa dell’arrivo.

Una settimana dopo la prova della coltura, i primi grandi quantitativi di antibatteri furono versati nel mare, lungo la costa dell’Azaran, in dieci punti accuratamente scelti, dopo uno studio delle correnti marine. Gli effetti cominciarono ad essere visibili dopo dodici ore.

Fleming, che era stato autorizzato ad andare sulla costa con la Dawnay, si fermò vicino all’acqua, dove il deserto scendeva con largo pendio a formare la spiaggia dorata, fissando affascinato le grandi bolle di azoto che scoppiavano, salendo alla superficie delle onde. Nemmeno il movimento tempestoso del mare riusciva a nasconderle, ed egli sentì nei polmoni la freschezza inebriante dell’aria rigenerata.

Insieme alla Dawnay, tornò al campo il terzo giorno. «Adesso dovremo tentare di farne uscire una parte con Neilson,» disse lei. «Tutto questo va benissimo, ma è soltanto un fatto locale e, come hai potuto vedere, il clima non è stato affatto influenzato da una quantità così minima.»

«Non c’è proprio speranza che la Intel ne mandi agli altri?» Fleming guardò dal finestrino, reso opaco da un improvviso rovescio di pioggia tempestosa e sabbia.

«Nessuna,» disse la Dawnay, «non ne daranno ad alcuno, se non alle loro condizioni. E quali siano le loro condizioni, non l’hanno ancora detto. Ma posso immaginarlo.» Le sue parole furono coperte dall’urlo di una ventata che fece tremare la macchina. «Il tempo peggiora,» disse Madeleine, con una nota di allarme nella voce. «Mi domando se, dopotutto, abbiamo fatto bene. Ti accorgi di quello che sta succedendo, John?»

Fleming fece cenno di sì con il capo, sporgendosi per cercare di vedere la strada nascosta dalla foschia. «Stiamo lavorando sul mare qui intorno e in nessun altro luogo. Intanto vengono liberati milioni di metri cubi di azoto. Il che crea un cono di alta pressione in una zona localizzata; in tutti gli altri posti la pressione è dannatamente vicina allo zero, ed il primo batterio starà succhiando l’azoto rapidamente quanto noi lo immettiamo. In questo modo non ce la faremo mai; anzi, riusciremo solo a creare degli uragani.»

«Dio mio, come tutto questo mi fa sentire inutile ed impotente!» mormorò la Dawnay.

Per un’ora buona, Fleming guidò in silenzio, concentrandosi nello sforzo di avanzare con la macchina su di un terreno che altro non era, ormai, se non un caleidoscopio di fango, pioggia e sabbia.

A quindici chilometri circa da Baleb il vento cadde, malgrado continuasse a piovere. L’aria era stranamente limpida e faceva apparire gli oggetti molto più vicini di quanto non fossero in realtà.

«Guarda laggiù!» Fleming accennò con la testa verso le montagne sulla linea dell’orizzonte.

Nitide e aguzze, esse si profilavano più chiare di colore delle nuvole nere e violette che lambivano gonfie le loro creste. Proprio al di sopra, un’immensa nube grigia spiraliforme, con la parte più alta simile ad un fungo, continuava a cambiare di forma.

«Il centro del tornado,» disse la Dawnay, «noi siamo nella zona tranquilla che c’è sempre intorno. Preghiamo Iddio che non si muova in questa direzione.»

«Credo che la tromba sia proprio sul villaggio di Abu,» mormorò Fleming, «la sua famiglia la prenderà in pieno, se non hanno notato in tempo le nuvole che si radunavano e non si sono rifugiati nella grotta dove sta Neilson.»

Ma soltanto Lemka aveva raggiunto la grotta, quando il tornado si abbatté. Si era arrampicata per la collina portando il solito cestino di cibo per Neilson. Il professore, notando la calma anormale e le nuvole che si radunavano verso sud, le impedì di tornare indietro.

Sulle prime, Lemka protestò; sua madre ed il bambino sarebbero stati terrorizzati dalla tempesta. Oltre tutto, Yusel aveva promesso di venire per portare qualche notizia sulle possibilità di fare uscire Neilson con gli antibatteri di contrabbando. Ma quanto tutta la furia del tornado li spinse a rifugiarsi nel più profondo recesso della grotta, si acquietò e mantenne un silenzio spaventato.

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