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Poul Anderson: Il gioco di Saturno

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Poul Anderson Il gioco di Saturno

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Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior romanzo breve in 1982.

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In quel momento, quattro umani stavano osservando quel vuoto cosparso di avvallamenti, e vedevano qualcosa di meraviglioso levarsi oltre il confine di quel mondo: da nord a sud si stendevano bastioni, merli, torri, abissi, picchi e colline, le cui forme e tonalità davano adito ad un’infinità di fantasie. Sulla destra, Saturno proiettava una morbida luce ambrata, che andava però quasi completamente perduta a causa del bagliore proveniente da est, dove il sole, ridotto quasi alle dimensioni di una stella per la distanza, manteneva comunque una luminosità troppo forte per poter essere fissata, appena al di sopra dell’orizzonte. Laggiù, la coltre argentea esplodeva in un bagliore adamantino di luce infranta, in gelidi azzurri e verdi. Feriti fino a lacrimare dalla lucentezza, gli occhi videro quell’immagine tremolare ed ondeggiare, quasi confinasse con la terra dei sogni o con il Mondo del Fiabesco. Tuttavia, nonostante tutta quella delicatezza intricata, sotto sotto rimaneva la sensazione di gelo e di una massa brutale: qui vivevano anche i Giganti di Gelo.

La Broberg fu la prima a sussurrare qualche parola.

— La Città di Ghiaccio.

— Magica — replicò Garcilaso, con voce altrettanto bassa. — Il mio spirito si potrebbe perdere per sempre vagando laggiù, e non sono certo che me ne importerebbe. La mia grotta non è nulla rispetto a questo, nulla…

— Aspettate un momento! — scattò Danzig, allarmato.

— Oh, sì, controllate l’immaginazione, prego. — Per quanto Scobie si affrettasse a pronunciare quelle parole di rinsavimento, esse risuonarono più asciutte del necessario. — Sappiamo in base alle trasmissioni delle sonde che la scoperta è, ecco, simile al Gran Canyon. Certo, è più spettacolare di quanto ci fossimo resi conto, il che suppongo la renda ancora più misteriosa. — Si rivolse alla Broberg. — Non ho mai visto ghiaccio o neve scolpiti in quel modo, e tu, Jean? Hai detto di aver visto un sacco di montagne e di scenari invernali durante la tua infanzia nel Canada.

— No, mai. — L’esperta in fisica scosse il capo. — Non sembra una cosa possibile. Cosa può averla provocata? Qui non esiste clima… oppure sì?

— Forse è responsabile lo stesso fenomeno che ha lasciato nudo l’altro emisfero — suggerì Danzig.

— O che ha coperto un intero emisfero — fece Scobie. — Un oggetto del diametro di millesettecento chilometri non dovrebbe avere gas, gelati o meno, tranne che si tratti di una sfera fatta interamente di tali sostanze, come una cometa, il che sappiamo non è. — Come a voler dimostrare quel dato, Scobie staccò un paio di pinze da una vicina rastrelliera per attrezzi, le lanciò in aria e le riprese mentre scendevano lentamente. Anche i novanta chili del suo corpo qui ne pesavano soltanto sette, e, per causare un fenomeno del genere, il satellite doveva essere essenzialmente roccioso.

— Smettiamo di scambiarci fatti e teorie che conosciamo già — osservò Garcilaso con impazienza, — e cominciamo a cercare le risposte.

— Sì, andiamo fuori. — Un crescente senso di rapimento si stava impadronendo della Broberg. — Laggiù.

— Aspettate! — protestò Danzig, mentre Garcilaso e Scobie annuivano con vigore, — non potete dire sul serio! Ci vuole cautela, un’avanzata graduale…

— No, è troppo bello per far questo. — C’era un brivido nella voce della Broberg.

— Sì, al diavolo il tergiversare — rincarò Garcilaso. — Abbiamo bisogno almeno di un’esplorazione preliminare, subito.

— Intendi dire che vuoi andare anche tu, Luis? — Il cipiglio di Danzig si accentuò. — Ma tu sei il pilota.

— Una volta a terra, sono assistente generale, capo cuoco e lavapiatti per voi scienziati. Vuoi che rimanga seduto senza far niente, quando c’è qualcosa di simile da esplorare? — La voce di Garcilaso si fece più calma. — Inoltre, se mi dovesse succedere qualcosa, uno qualsiasi di voi sarebbe in grado di pilotare, con l’aiuto di qualche consiglio radio dal Chronos ed effettuando l’avvicinamento finale sotto controllo remoto.

— È senz’altro ragionevole, Mark — discusse Scobie. — Contrario alla dottrina, è vero, ma la dottrina è stata creata per noi e non viceversa. È una breve distanza, la gravità è bassa e staremo in guardia contro eventuali rischi. Il punto è che, fino a quando non avremo qualche idea sulla natura di quel ghiaccio non sapremo a cosa diavolo dobbiamo fare attenzione, quando siamo in queste vicinanze. No, compiremo prima un rapido giro; al nostro ritorno elaboreremo un piano.

— Posso ricordarti che se qualcosa andasse male, gli eventuali aiuti sono ad almeno cento ore di distanza? — chiese Danzig, irrigidendosi. — Un velivolo ausiliario come questo non può andare troppo veloce se poi deve tornare indietro, e ci vorrebbe ancora più tempo per richiamare le grosse navi da Titano e Saturno.

— E posso ricordarti a mia volta — ribatté Scobie, arrossendo per il sottinteso insulto, — che, una volta atterrati, il capitano sono io? Io dico che un’esplorazione immediata è sicura e raccomandabile. Tu rimani pure qui, se lo desideri… In effetti, sì, tu devi rimanere: la dottrina è giusta quando asserisce che un’imbarcazione non deve mai essere abbandonata.

Danzig l’osservò per parecchi secondi prima di mormorare:

— Però Luis viene, vero?

— Sì! — gridò Garcilaso, tanto forte da far risuonare la cabina.

— È tutto a posto, Mark — disse gentilmente la Broberg, battendo un colpetto sulla mano inerte del vecchio. — Ti porteremo un po’ di campioni da analizzare, dopodiché non sarei sorpresa di scoprire che le tue saranno le migliori idee sulla procedura da seguire.

Danzig scosse il capo, ed improvvisamente parve molto stanco.

— No — replicò, con voce monotona. — Vedi, io sono solo un vecchio chimico industriale ficcanaso che ha visto in questa spedizione l’occasione per svolgere ricerche interessanti. Durante tutto il viaggio nello spazio mi sono dato da fare con attività normali, comprese, lo ricorderai, un paio d’invenzioni che desideravo avere il tempo di completare. Voi tre siete più giovani, più romantici…

— Oh, smettila, Mark. — Scobie tentò di ridere. — Magari Jean e Luis lo sono, un poco, ma quanto a me, lo sono quanto un piatto di guazzetto di frattaglie.

— Hai giocato a quel gioco, un anno dopo l’altro, fino a quando il gioco non ha cominciato ad avere la meglio su di te. Questo è quanto sta succedendo in questo momento, non importa se tu tenti di spiegare razionalmente le tue motivazioni. — Lo sguardo che Danzig teneva fisso sul suo amico geologo perse la sua luce di sfida e si fece malinconico. — Potresti provare a ricordarti di Delia Ames.

— E lei cosa c’entra? — Scobie era risentito. — La questione riguardava solo lei e me, e nessun altro.

— Salvo che per il fatto che, dopo, lei è andata a piangere sulla spalla di Rachel e che Rachel non ha segreti per me. Non ti preoccupare, non ho intenzione di fare chiacchierare in merito, ed in ogni caso Delia ha superato la cosa. Comunque, se i tuoi ricordi sono obiettivi, dovresti riuscire a vedere cosa ti era successo già tre anni fa.

Scobie serrò la mascella, e Danzig accennò un sorriso con l’angolo della bocca, aggiungendo:

— No, suppongo che non lo veda. Ammetto che io stesso non avevo idea di quanto la cosa fosse avanzata, fino ad ora. Almeno, mantieni le tue fantasie sullo sfondo, mentre sei là fuori, vuoi? Ci riuscirai?

* * *

Nel corso di cinque anni di viaggio, l’appartamento di Scobie era diventato idiosincraticamente suo… forse in misura maggiore di quanto fosse normale, perché lui era rimasto uno scapolo che raramente godeva della compagnia di una donna per più di pochi turni di guardia per volta. Buona parte del mobilio l’aveva costruita lo stesso Scobie, dato che la sezione agricola della Chronos produceva anche legno, oltre che cibo ed aria fresca. Il mobilio da lui fabbricato tendeva ad essere massiccio, e le decorazioni intagliate in esso arcaiche. Scobie attingeva dalla banca dei dati la maggior parte di ciò che desiderava leggere, naturalmente, ma su uno scaffale conservava qualche vecchio libro… le ballate di frontiera di Childe, una Bibbia di famiglia del diciottesimo secolo (nonostante fosse un agnostico), una copia del Macchinario della Libertà , che era ormai quasi disintegrato ma in cui si distinguevano ancora la firma dell’autore e svariati altri elementi di valore. Al di sopra di essi, c’era il modellino di una barca a vela con cui Scobie aveva navigato nelle acque dell’Europa Settentrionale ed un trofeo che aveva vinto giocando a palla a mano a bordo dell’astronave. Alle paratie erano appese alcune sciabole da scherma e parecchie fotografie… dei genitori e dei fratelli, di zone selvagge della Terra che aveva visitato, di castelli, montagne e brughiere della Scozia che aveva anche visitato spesso, del suo gruppo geologico sulla Luna, di Thomas Jefferson e, perfino, di Robert the Bruce.

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