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Barry Longyear: Mio caro nemico

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Barry Longyear Mio caro nemico

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Due nemici, naufragati su un pianeta ostile, scopriranno come sia possibile diventare fratelli, anche oltre la morte. Anche pubblicato come “Nemico mio adorato”. Vincitore dei premi Hugo, Nebula e Locus per il miglior romanzo breve in 1980.

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Il Drac alzò le spalle. — Zammis deve fare onore al nome che porta. È il massimo che posso chiedere.

— Zammis sceglierà quello che vorrà?

— Sì.

— Ma c’è qualcosa che ti piacerebbe che facesse?

Jerry annuì. — Sì, c’è.

— E cos’è?

— Che un giorno o l’altro se ne andasse da questo schifoso pianeta.

Annuii. — Amen.

— Amen.

L’inverno non accennava a finire. Io e Jerry cominciammo a chiederci se per caso non eravamo capitati all’inizio di un’era glaciale. Fuori dalla caverna, tutto era coperto da uno spesso strato di ghiaccio; il freddo e il vento ininterrotto rendevano l’avventurarsi fuori una sfida alla morte, per caduta o per congelamento. Tuttavia, per mutuo accordo, uscivano entrambi per fare i nostri bisogni. C’erano parecchie camere isolate nella profondità della caverna, ma avevamo paura di inquinare la nostra riserva d’acqua; per non parlare dell’aria. Il rischio più grave uscendo, era quello di calarsi le braghe mentre soffiava un vento talmente gelido da gelarci il fiato prima che potessimo soffiarlo fuori dalla maschera che c’eravamo fabbricati con la tela delle nostre tute. Imparammo a non perdere tempo.

Una mattina, Jerry era fuori per un bisogno urgente, mentre io preparavo una pasta di radici secche e di acqua per fare delle frittelle. Sentii Jerry chiamarmi dall’entrata. — Davidge!

— Cosa c’è?

— Vieni subito, Davidge!

Una nave! Doveva essere una nave! Appoggiai sulla sabbia la conchiglia che mi serviva da recipiente, mi infilai guanti e cappello, e corsi verso il passaggio. Prima di uscire mi allacciai sulla bocca la maschera. Jerry, bardato come me, era sulla soglia. — Cosa succede?

Jerry si fece da parte. — Guarda!

La luce del sole. Il cielo azzurro e la luce del sole. Lontano, sul mare, si stavano accumulando nuove nuvole, ma sopra di noi il cielo era sereno. Non potevamo guardare direttamente il sole, ma voltammo le facce ai suoi raggi e li sentimmo scaldarci la pelle. La luce si rifletteva abbagliante sulle rocce e sugli alberi coperti di ghiaccio. — È meraviglioso.

— Sì. — Jerry mi prese per la manica. — Davidge, sai cosa vuol dire?

— Cosa?

— Possiamo fare dei segnali di fuoco, la notte. In una notte serena un grosso fuoco potrebbe essere avvistato dallo spazio, ne?

Guardai Jerry, poi ancora il cielo. — Non saprei. Se il fuoco fosse grande abbastanza, e la notte serena, e se qualcuno guardasse da questa Parte… — Crollai la testa. — Sempre supponendo che ci sia qualcuno in orbita. — Cominciai a sentirmi le dita intirizzite. — È meglio che rientriamo.

— Davidge, è una possibilità!

— E cosa useremo per fare il fuoco? — Indicai con il braccio gli alberi attorno e sopra la caverna. — Hanno sopra almeno quindici centimetri di ghiaccio.

— Nella caverna…

— La nostra legna? — scossi la testa. — Che ne sappiamo di quanto durerà ancora questo inverno? Sei sicuro che possiamo sprecare legname?

— È una possibilità, Davidge!

Più che una possibilità, era un rischio. Alzai le spalle. — Perché no?

Passammo le ore seguenti a trasportare fuori un quarto delle nostre preziose riserve. Quando finimmo, e molto prima che arrivasse la notte, sul cielo era tornata a stendersi una cortina di nubi, grigia e uniforme. Ogni notte, da allora, a più riprese, scrutammo il cielo sperando di vedere le stelle. Durante il giorno, dovevamo passare parecchie ore a battere sulla pila di legna per liberarla dal ghiaccio. Ma ci dava speranza. Finché, un giorno, la legna nella caverna finì, e dovemmo cominciare a prelevarla dal mucchio preparato per il segnale.

Quella notte, per la prima volta, il Drac sembrò completamente sconfitto. Sedeva di fronte al fuoco, fissando le fiamme. Infilò una mano sotto la giacca di pelle, e tirò fuori un piccolo cubo d’oro appeso al collo con una catena. Strinse il tubo fra le mani, chiuse gli occhi, e cominciò a mormorare sotto voce in drac. Lo osservai dal mio letto finché non ebbe finito. Il Drac sospirò, fece un cenno col capo e si rimise il cubo sotto la giacca.

— Che cos’è?

Jerry mi guardò, aggrottò le ciglia e si toccò il davanti della giacca. — Questo? È il mio Talman… quello che voi chiamate Bibbia.

— La Bibbia è un libro. Con delle pagine, che si leggono.

Jerry tirò fuori il cubo, mormorò una frase in drac, poi aprì una piccola serratura. Dal primo cubo ne uscì un altro, pure d’oro. Il Drac me lo porse. — Trattalo con grande cura, Davidge.

Mi alzai a sedere, presi il cubo e lo esaminai alla luce del fuoco. Tre quadrati di metallo dorato, con delle cerniere, formavano le copertine e la costa di un libro grande due centimetri e mezzo. Aprii il libro. Sulle pagine c’erano due colonne di punti, di linee e di scarabocchi. — È drac?

— Certo.

— Non so leggerlo.

Jerry alzò le sopracciglia. — Parli il drac così bene, che mi ero dimenticato… vuoi che ti insegni?

— A leggere questo?

— E perché no? Hai un appuntamento urgente?

— No. — Appoggiai un dito al bordo e cercai di girare le pagine. Ne sollevai almeno cinquanta insieme. — Non riesco a separare le pagine.

Jerry indicò un piccolo rigonfiamento alla sommità della costa. — Tira fuori l’ago. Serve a girare le pagine.

Tirai fuori un ago, lo appoggiai sulla pagine e questa si sollevò e girò. — Chi ha scritto il Talman , Jerry?

— Molti. Tutti grandi maestri.

— Shizumaat?

Jerry annuì. — Shizumaat è uno.

Chiusi il libro e lo tenni sul palmo della mano. — Jerry, perché l’hai tirato fuori adesso?

— Ne avevo bisogno. — Il Drac spalancò le braccia. — Forse invecchieremo e moriremo in questo posto. Forse non ci troveranno mai. L’ho capito oggi, mentre portavamo dentro la legna. — Jerry si mise una mano sulla pancia. — Zammis nascerà qui. Il Talman mi aiuta ad accettare ciò che non posso mutare.

— Quanto manca?

Jerry sorrise. — Poco.

Guardai il piccolo libro. — Mi piacerebbe che mi insegnassi a leggerlo, Jerry.

Il Drac si levò dal collo la scatola con la catena e me la porse. — Devi tenere il Talman qui dentro.

Presi la scatola d’oro e la guardai per un momento. Poi scossi la testa. — Non posso, Jerry. È troppo importante per te. E se lo perdessi?

— Non lo perderai. Tienilo mentre impari. Lo scolaro deve fare così.

Mi misi la catenella intorno al collo. — Mi fai un grande onore.

— Sempre meno di quello che tu fai a me imparando a memoria l’albero genealogico Jeriba. La tua recitazione è precisa e commovente. — Jerry prese dei carboni dal fuoco e andò a una delle pareti. Quella notte imparai le trentun lettere dell’alfabeto Drac, e altre nove lettere nella scrittura formale.

La legna finì. Jerry era molto grosso, e stava molto male, nei giorni che precedettero l’apparizione di Zammis. Riusciva a stento ad uscire, con il mio aiuto, per i suoi bisogni. Così la raccolta della legna, che consisteva nel prendere a bastonate gli alberi per liberarli dal ghiaccio, ricadde su di me, come pure il far da mangiare.

In una giornata particolarmente tempestosa, mi accorsi che il ghiaccio sugli alberi era più sottile. Da qualche parte, dovevamo aver girato l’angolo dell’inverno, e ci stavamo dirigendo verso la primavera. Durante tutta la bastonatura dell’albero mi sentii meglio, e immaginavo che anche Jerry avrebbe accolto con gioia la notizia. L’inverno lo stava abbattendo molto.

Stavo trasportando una bracciata di legna nella caverna, quando udii un grido. Mi guardai intorno, raggelato. Non vedevo altro che il mare e il ghiaccio intorno a me. Poi ancora il grido. — Davidge! — Era Jerry. Lasciai cadere la legna e corsi lungo il sentiero che scendeva verso la caverna. Jerry urlò ancora; io scivolai e rotolai fino alla cornice su cui si apriva l’ingresso della caverna. Mi precipitai dentro, e raggiunsi la camera. Jerry si contorceva sul letto, con le dita che scavavano nella sabbia.

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