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Barry Longyear: Mio caro nemico

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Barry Longyear Mio caro nemico

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Due nemici, naufragati su un pianeta ostile, scopriranno come sia possibile diventare fratelli, anche oltre la morte. Anche pubblicato come “Nemico mio adorato”. Vincitore dei premi Hugo, Nebula e Locus per il miglior romanzo breve in 1980.

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Il Drac mi guardò negli occhi e sorrise. — Buono, Davidge. Buono.

La luce che illuminava la faccia di Jerry tremolò, e sentii odore di fumo. — Fuoco.

Jerry si fece da parte e indicò il centro della stanza, sul pavimento di sabbia. Girai la testa e mi resi conto che giacevo su un letto di foglie morbide. Di fronte al mio letto ce n’era un altro, e in mezzo scoppiettava un bel fuoco. — Noi fuoco abbiamo, Davidge, e legno. — Jerry indicò il soffitto, fatto di pali, coperti di larghe foglie.

Mi guardai intorno, poi lasciai ricadere la testa dolorante e richiusi gli occhi. — Dove siamo?

— Grande isola, Davidge. Ondata portato via noi. Vento e onde portato qui. Ragione avevi.

— Non… non capisco. Ne gavey. Ci saranno voluti dei giorni per arrivare qui.

Jerry annui, e lasciò cadere una specie di spugna in una conchiglia piena d’acqua. — Nove giorni. Io legato te a nasesay , poi qui su spiaggia noi arrivati.

— Nove giorni? Sono restato svenuto per nove giorni?

Jerry scosse la testa. — Diciassette. Noi arrivati otto giorni…

— Fa… otto giorni fa.

Ae.

Diciassette giorni su Fyrine IV equivaleva a più di un mese sulla Terra. Riaprii gli occhi e guardai Jerry. Il Drac pareva eccitatissimo. — Come va tean , il tuo bambino?

Jerry si batté sulla pancia ingrossata. — Bene va, Davidge. Nasesay fatto più male di te.

Resistetti all’impulso di annuire. — Sono felice per te, davvero.

— Chiusi gli occhi e mi girai verso la parete di pali e di foglie. — Jerry?

Ess?

— Mi hai salvato la vita.

Ae.

— Perché?

Per un po’ Jerry non disse niente. — Davidge. Su isola tu parlato. Solitudine ora gavey. — Il Drac mi scosse un braccio. — Ecco, mangia ora.

Mi voltai e guardai una conchiglia piena di liquido fumante. — Cos’è? Brodo di pollo?

Ess?

Ess va? — Indicai la conchiglia, rendendomi conto per la prima volta di quanto fossi debole.

Jerry aggrottò le ciglia. — Come lumacone, ma lungo.

— Un’anguilla?

— Sì, ma su terra, gavey?

— Un serpente.

— Forsemagaripuòdarsi.

Appoggiai le labbra al bordo della conchiglia. Presi un sorso di brodo, lo inghiottii, e sentii il suo calore benefico diffondersi nello stomaco. — Buono.

— Tu custa vuoi?

Ess?

Custa. — Jerry prese da vicino al fuoco un pezzo di pietra quadrangolare. La guardai, la grattai con un’unghia, poi la toccai con la lingua.

— Sale!

Jerry sorrise. — Custa vuoi?

Mi misi a ridere. — Servizio completo. Certo, dammi un po’ di custa.

Jerry prese il pezzo di sale di roccia, ne staccò un angolo con una pietra, e quindi lo macinò contro un’altra pietra. Mi allungò la mano con un mucchietto di granelli bianchi sul palmo. Ne presi due pizzichi, li misi nel brodo di serpente e mescolai col dito. Poi bevvi un lungo sorso. Feci schioccare le labbra. — Favoloso!

— Buono, ne?

— Meglio che buono; favoloso. — Ne bevvi un altro sorso con grandi schiocchi di labbra e roteare di occhi.

— Favoloso, Davidge, ne?

Ae. — Gli feci un cenno con la testa. — Credo che basti. Vorrei dormire.

Ae , Davidge, gavey. — Jerry prese la conchiglia e la mise vicino al fuoco. Si alzò, andò fino alla porta, poi si voltò. I suoi occhi gialli mi studiarono per un istante, poi mi rivolse un cenno con la testa e uscì. Chiusi gli occhi, e lasciai che il calore del fuoco mi cullasse nel sonno.

Due giorni dopo, provai ad alzarmi, e dopo altri due Jerry mi aiutò a uscire. La capanna era situata sulla cima di un pendio che saliva dolcemente, in mezzo a un bosco di arbusti e di bassi alberi. Ai piedi del pendio, a più di otto chilometri dalla capanna, c’era il mare. Il Drac mi aveva portato a braccia fin lì. La nostra fedele nasesay si era riempita d’acqua ed era stata trasportata via dal mare poco dopo che Jerry mi aveva portato all’asciutto. Con la capsula se ne erano andati i resti delle razioni di emergenza. I Drac sono molto schizzinosi sul mangiare, ma alla fine la fame aveva indotto Jerry a provare la flora e la fauna locali… La fame e quell’impiccio umano che stava spegnendosi per mancanza di cibo. Il Drac aveva scelto come dieta una radice amidacea e insapore, una bacca che, una volta fatta seccare, produceva un infuso accettabile, e carne di serpente, oltre al sale che aveva trovato per caso. Nei giorni che seguirono, quando ebbi ripreso le forze, aggiunsi alla nostra dieta vari tipi di molluschi marini e un frutto che sembrava una via di mezzo fra una pera e una prugna.

Man mano che le giornate si facevano più fredde, io e il Drac fummo costretti ad ammettere che Fyrine IV aveva un inverno. Stabilito questo, dovevamo affrontare la possibilità che l’inverno fosse tanto rigido da impedire la raccolta di cibo e di legna. Le bacche e le radici, seccate vicino al fuoco, si conservavano bene; provammo anche a salare e ad affumicare la carne di serpente. Usando le fibre di certe piante, cucimmo insieme pelli di serpente per farci dei vestiti invernali: usavamo due strati di pelle, con della lanugine vegetale in mezzo, tenuta a posto trapuntando i due strati.

Fummo entrambi d’accordo sul fatto che la capanna non poteva bastare. Ci mettemmo tre giorni a trovare la nostra prima caverna, e altri tre prima di trovarne una adatta. L’imboccatura guardava sul mare eternamente in tempesta, ma era su una scogliera ben al di sopra delle onde. Attorno all’entrata trovammo una grande quantità di legna secca e di pietre. Raccogliemmo la legna da ardere, e con le pietre chiudemmo l’entrata, lasciando solo lo spazio per una porta. Costruimmo dei cardini con pelle di serpente e una porta con dei pali legati assieme per mezzo di fibre vegetali. La prima notte, i venti marini la fecero a pezzi. Decidemmo di tornare al sistema usato sull’isola.

Stabilimmo la nostra residenza in profondità, in una camera spaziosa, con il pavimento di sabbia. Ancora più in profondità, vi erano delle pozze di acqua, ottima da bere ma troppo fredda per farci il bagno. Nella camera con le pozze ci mettemmo le provviste. Lungo le pareti, nella zona residenziale, accatastammo la legna da ardere, e ci facemmo dei nuovi letti con pelli di serpente e lanugine. Al centro della camera costruimmo un focolare di discreta grandezza, con una pietra piatta da mettere sopra le braci per graticola. La prima notte in cui dormimmo nella nostra nuova casa, scoprii che non sentivo più il vento. Era la prima volta da che ero finito su quel dannato pianeta.

Durante le lunghe notti invernali, sedevamo vicino al fuoco facendo oggetti con le pelli di serpenti: guanti, cappelli, zaini. E parlavamo. Per rompere la monotonia, alternavamo il Drac con l’inglese. Quando venne la prima tempesta di neve, ognuno di noi se la cavava bene con la lingua dell’altro.

Parlammo del bambino di Jerry.

— Come lo chiamerai, Jerry?

— Ha già un nome. Vedi, la famiglia Jeriba ha cinque nomi. Io mi chiamo Shigan; prima di me è venuto mio padre, Gothig; prima di Gothig c’era Haesni; prima di Haesni Ty e prima di Ty Zammis. Il bambino si chiama Jeriba Zammis.

— Perché solo cinque nomi? Un bambino umano diventa adulto, può scegliere il nome che gli piace.

Il Drac mi guardò con occhi pieni di pietà. — Davidge, come devi sentirti perso. Come dovete sentirvi persi tutti voi umani.

— Persi?

Jerry annuì. — Da dove vieni, Davidge?

— Vuoi dire chi sono i miei genitori?

— Sì.

Alzai le spalle. — Li ricordo, i miei genitori.

— E i loro genitori?

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