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A. Chandler: L'uccisore di giganti

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A. Chandler L'uccisore di giganti

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«Questo è vero», annuì, pensoso, Shrick. «Si è sempre saputo che mentre i piccoli nati vicino alla Barriera erano sempre uguali ai loro genitori, quelli nati nel Lontano Esterno non lo erano mai…»

«Sì. E i giganti hanno sempre saputo che il Popolo si trovava qui dentro, ma non lo temevano. Non conoscevano il nostro numero, e ci consideravano assai inferiori rispetto a loro. Si accontentavano di tener basso il nostro numero con le loro trappole e il cibo-che-uccide. In qualche modo, hanno scoperto che eravamo cambiati. Allora, come i defunti capi del Popolo, anch’essi hanno cominciato a temerci… e allo stesso modo tenteranno di ucciderci tutti prima che noi sterminiamo loro».

«È la Fine?»

«Sì, la Fine». Tacque per qualche istante, i suoi grandi occhi guardavano al di là di Shrick, verso qualcosa d’infinitamente orribile. «Sì», ripeté. «La Fine. Loro la creeranno, e loro riusciranno a evitarla. Perché loro indosseranno una pelle artificiale che coprirà tutto il loro corpo, perfino la loro testa. Poi, loro apriranno delle porte gigantesche nella… pelle della nave, e tutta l’aria uscirà fuori in quello spazio vuoto e terribile all’esterno dell’Esterno. E tutto il Popolo morirà.

«Devo andare», disse Shrick. «Devo uccidere i giganti prima che ciò avvenga».

«No! C’era in tutto una mano di giganti… adesso che hai ucciso Pancia-Grossa ne rimangono sempre quattro. E poiché ora sanno che possono venir uccisi, saranno pronti a riceverti.

«Ricordi quando abbiamo seppellito quella parte del Popolo che aveva la malattia dentro la galleria? È questo che dobbiamo fare con tutto il Popolo. E quando i giganti riempiranno di nuovo il mondo con l’aria che hanno di riserva in qualche magazzino, potremo tornar fuori».

Shrick restò silenzioso per un po’. Fu costretto ad ammettere che lei aveva ragione. Un gigante impreparato era caduto sotto la sua lama — ma quattro giganti, all’erta, rabbiosi e guardinghi, lui non poteva affrontarli. In ogni caso, non c’era modo di sapere quando i giganti avrebbero fatto uscir fuori tutta l’aria dal mondo. Il Popolo andava avvertito — e in fretta.

Shrick e Wesel, fianco a fianco, fronteggiavano il Popolo nel Luogo-d’Incontro. Avevano raccontato la loro storia, ma avevano incontrato una totale incredulità. Era vero che qualcuno, contemplando la grande e magnifica lama scintillante che Shrick aveva portato con sé dall’Interno era incline a crederlo, ma la maggioranza fu pronta ad azzittire chi la pensava così. E quando Shrick cercò di convincerli a seppellirsi dentro a qualche galleria, per scampare alla Fine, incontrò la più fiera opposizione. Il fatto che avesse trattato proprio in quel modo gli infettati dalla malattia faceva sì che la gente trovasse particolarmente repulsiva quell’idea.

Fu Coda-Corta a far precipitare la situazione.

«Vuole il mondo tutto per sé!» urlò. «Ha ucciso Zanna-Grossa e Senza-Coda, ha ucciso tutti i Diversi, e ha trucidato Grosse-Orecchie perché era forte e minacciava la sua posizione di capo. Lui e quella sua brutta compagna sterile vogliono il mondo tutto per loro!»

Shrick tentò di ribattere, ma i seguaci di Grosse-Orecchie lo subissarono di grida. Shrick squittì di rabbia e sollevando con entrambe le mani la lama si precipitò sul ribelle. Coda-Corta scappò via, fuori della sua portata. Shrick si trovò solo, in uno spazio improvvisamente sgombro. Da qualche parte, molto lontano, udì Wesel gridare il suo nome. Stordito, scosse il capo; la nebbia rossa si schiari davanti ai suoi occhi.

Tutt’intorno a lui c’erano i lancieri, pronti a scagliargli addosso le loro armi sottili e micidiali. Lui stesso li aveva addestrati a non mancare il colpo. Era stato lui a creare la loro efficace tattica di guerra. E adesso…

«Shrick!» gli stava dicendo Wesel. «Non combattere! Ti uccideranno, e io rimarrò sola. E cosa m’importerà, allora, avere il mondo tutto per me? Lascia che facciano ciò che vogliono di noi, e noi sopravviveremo alla Fine».

Alle sue spalle, qualcuno rise scioccamente tra la folla.

« Loro sopravviveranno alla Fine! Moriranno, così come sono morti Grosse-Orecchie e i suoi amici!»

«Voglio la tua lama», ripeté Coda-Corta.

«Dagliela», gridò Wesel. «La riavrai dopo la Fine!»

Shrick esitò. L’altro fece un segno. Una delle lance affondò nella parte carnosa del suo braccio. Se non fosse stato per la voce di Wesel che continuava a implorarlo, si sarebbe scagliato contro i suoi tormentatori e avrebbe incontrato la sua fine in meno d’un battito di cuore. Con riluttanza lasciò la presa sull’arma. Lentamente — come riluttante a lasciare il suo vero padrone — la lama si allontanò galleggiando da lui. E poi il Popolo gli si accalcò tutt’intorno, quasi schiacciandolo con la pressione di tanti corpi.

La caverna dentro la quale Shrick e Wesel furono costretti a entrare era la loro stessa abitazione. Erano in uno stato pietoso quando la plebaglia si ritirò all’ingresso — le ferite di Wesel si erano riaperte e il braccio di Shrick sanguinava copioso. Qualcuno gli aveva strappato brutalmente dalla carne la lancia, e la punta si era staccata dall’asta.

Là fuori, Coda-Corta stava sferrando colpi tutt’intorno con la lama affilata che aveva preso al suo capo. Sotto i suoi colpi, grandi fette del materiale spugnoso dell’Esterno si staccavano e molte mani volonterose le afferravano, costipandole all’ingresso della caverna.

«Vi lasceremo uscir fuori dopo la Fine!» gridò qualcuno. Vi fu un generale uggiolio di derisione. Poi: «Mi chiedo chi sarà il primo dei due a mangiare l’altro!»

«Non badarci», disse con voce sommessa Wesel a Shrick. «Rideremo noi per ultimi».

«Forse. Ma… il Popolo. Il mio Popolo. E tu sei sterile. I giganti hanno vinto…»

Wesel restò silenziosa. Poi Shrick udì di nuovo la sua voce, piagnucolante nel buio. Intuì i suoi pensieri: tutti i suoi sogni grandiosi di dominio del mondo l’avevano portato a questo… un minuscolo spazio, così angusto che a stento potevano muovere un dito.

Non riuscì più a sentire le voci del Popolo, fuori della loro prigione. Si chiese se i giganti avevano già colpito. Più si rassicurò al ricordo di come le voci di quelli colpiti dalla malattia si fossero sempre più affievolite, per poi cessare del tutto. E si chiese come lui e Wesel avrebbero potuto sapere che la Fine era venuta, che il pericolo era passato e, senza rischio, avrebbero potuto scavare per uscir fuori. Sarebbe stata un’impresa lenta, e lunga, avendo a disposizione soltanto i denti e gli artigli per scavare.

Ma lui aveva un utensile.

Le dita della mano del suo braccio sano andarono alla punta della lancia ancora conficcata nell’altro. Sapeva che il modo di gran lunga migliore per estrarla sarebbe stato un rapido strappo — ma non riuscì a indursi a farlo. Lentamente, e soffrendo, si mise al lavoro sul tagliente frammento di metallo.

«Lascia che faccia io».

«No». La sua voce suonò brusca. «Inoltre, non c’è fretta».

Affrontò, paziente, la ferita… Gemeva un po’, anche se non si accorgeva di farlo. E poi, tutt’a un tratto, Wesel cominciò a urlare. Fu così inaspettato e orrendo in quello spazio ristretto, che Shrick ebbe un sobbalzo. La sua mano si allontanò di scatto dal braccio, strappando via, con sé, la punta della lancia.

Il suo primo pensiero fu che Wesel, con le sue facoltà telepatiche, avesse scelto quel modo per aiutarlo. Ma non provò nessuna gratitudine, solo un ottuso risentimento.

«Perche l’hai fatto?» chiese con rabbia.

Lei non rispose alla sua domanda, dimentica della sua presenza.

«Il Popolo…» bisbigliò. «Il Popolo… Riesco a sentire i loro pensieri… Sto provando quello che provano. E stanno rantolando… non riescono più a respirare. Rantolano e muoiono… Vedo la caverna di Lunga-Pelliccia, il fabbricante di lance… sta morendo, il sangue gli esce dalla bocca, dal naso e dalle orecchie… non può…»

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