Murray Leinster - Primo contatto

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Un simile attacco, tuttavia, non sarebbe avvenuto a tradimento. Il comandante alieno aveva parlato con franchezza. I suoi modi erano quelli d’un individuo che mal giudicava le bugie, ammettendone l’inutilità. A loro volta, la Llanvabon e il suo comandante sostenevano, scandendo ogni parola, le virtù della franchezza. Ognuna delle due parti insisteva — e forse era sincera — di desiderare l’amicizia fra le due razze. Ma nessuna delle due parti poteva fidarsi che l’altra, proprio mentre diceva questo, non stesse invece facendo ogni sforzo per scoprire proprio quell’unica cosa che a tutti i costi bisognava nascondere: l’ubicazione del pianeta d’origine dell’altra nave. E nessuna delle due navi osava credere che l’altra fosse incapace di seguirla per tutto il viaggio di ritorno, e scoprirlo. Poiché ognuna delle due parti sentiva che era suo dovere compiere proprio quest’atto, inaccettabile dall’altra, nessuna delle due poteva rischiare la sopravvivenza della propria gente mostrandosi fiduciosa. Dovevano combattere, poiché non potevano fare nient’altro.

Potevano procrastinare l’inizio della battaglia scambiandosi informazioni. Ma c’era un limite alla quantità e al tipo d’informazioni che si potevano offrire. Né gli uni né gli altri avrebbero dato informazioni sulle armi, sull’entità e la distribuzione della popolazione e delle risorse. Non sarebbe mai stata rivelata neppure la distanza dei propri mondi d’origine dalla Nebulosa del Granchio. Certo, si scambiarono parecchie informazioni, ma sapevano che tutto era destinato a concludersi con una battaglia all’ultimo sangue, e ognuna delle due parti si affannava a dipingere la propria civiltà come dotata d’una straripante potenza, per intimorire l’altra e dissuaderla da ogni prospettiva di conquista; in tal modo i terrestri apparivano sempre più minacciosi agli alieni, e viceversa, e la battaglia finale era resa sempre più inevitabile.

Tuttavia, era curioso come questi cervelli alieni potessero colloquiare, intrecciarsi fra loro, capirsi… Tommy Dort, continuando a sudare tra codificatrice e decodificatore, vide emergere qualcosa d’inconfondibile, di personale, da quella che all’inizio era soltanto un’accozzaglia ampollosa di parole-scheda, Tommy aveva visto gli alieni soltanto alla visipiastra, e anche così in una luce dalla frequenza spostata di un’ottava rispetto alla luce alla quale essi vedevano. E gli alieni, a loro volta, lo vedevano anch’essi in una maniera strana, in una luce spostata di un’ottava rispetto a quello che, per i loro occhi, sarebbe stato il lontano ultravioletto. Ma il cervello umano e quello alieno funzionavano allo stesso modo. In maniera sbalorditivamente uguale. Tommy Dort provava simpatia, anzi, qualcosa di molto simile all’amicizia, per quelle creature della nave spaziale nera, calve, con una loro asciutta ironia, e che respiravano, com’era stato appurato, tramite branchie.

Spinto da quella affinità mentale, preparò — anche senza nessuna speranza — una specie di tabella con tutti gli aspetti del problema che si trovavano ad affrontare. Non era affatto convinto che quegli alieni avessero l’istintivo desiderio di distruggere l’uomo. In effetti, l’analisi approfondita delle comunicazioni che continuavano a giungere dagli alieni aveva finito per creare, sulla Llanvabon , un sentimento di tolleranza non dissimile da quello che aveva quasi sempre finito per crearsi, sulla Terra, fra i soldati nemici durante una tregua. Gli uomini non provavano nessun sentimento d’inimicizia, e con tutta probabilità neppure gli alieni. Ma dovevano uccidere, o essere uccisi, a causa d’una logica implacabile.

La tabella di Tommy era assai dettagliata. Fece una lista degli obbiettivi che gli umani miravano a conseguire, in ordine d’importanza. Il primo era senz’altro quello di portare indietro, sulla Terra, la notizia dell’esistenza della cultura aliena. Il secondo, era l’esatta localizzazione di quella cultura aliena in un preciso pianeta della Galassia. Il terzo era riportare indietro il maggior numero possibile d’informazioni su quella cultura. Sul terzo ci stavano lavorando sopra, ma il secondo era probabilmente impossibile. Il primo sarebbe dipeso dal risultato che doveva aver luogo.

Gli obbiettivi degli alieni sarebbero stati esattamente gli stessi, cosicché gli uomini dovevano impedire, primo, che la notizia dell’esistenza della civiltà della Terra fosse riportata indietro da essi sul loro pianeta natale; secondo, che gli alieni scoprissero la posizione della Terra; e, terzo, l’acquisizione da parte degli alieni d’informazioni che li potessero incoraggiare e aiutare ad attaccare l’umanità. Ma anche in questo caso il terzo punto era in corso, del secondo si stavano con tutta probabilità occupando, e il primo doveva aspettare la battaglia.

Non c’era nessuna possibilità di evitare l’amara necessità di distruggere la nave nera. E anche gli alieni non avrebbero visto nessun’altra soluzione del loro problema se non la distruzione della Llanvabon. Ma Tommy Dort, contemplando mesto la tabella si rese conto che neppure la vittoria completa sarebbe stata la soluzione perfetta. L’ideale sarebbe stato che la Llanvabon portasse con sé la nave nera per poterla studiare. Soltanto in questo modo il terzo obbiettivo sarebbe stato realizzato in pieno. Ma Tommy si rese conto di odiare l’idea d’una vittoria così completa, anche se fosse stata possibile. Odiava l’idea di dover uccidere delle creature, anche se erano non-umane e perfettamente in grado di afferrare il concetto di esseri umani che allestivano una flotta da combattimento per distruggere una cultura aliena in quanto la sua esistenza rappresentava un pericolo. Il puro caso di quell’incontro, sia pure tra gente che avrebbe potuto provar simpatia l’una per l’altra, aveva creato una situazione che poteva sfociare soltanto nella distruzione totale.

Tommy Dort era amareggiato nei confronti del proprio cervello che si mostrava incapace di trovare una risposta in grado di funzionare. Ma doveva esserci una risposta! La posta in gioco era troppo grossa! Era troppo assurdo che due navi spaziali dovessero combattere — e nessuna delle due era stata concepita per farlo — cosicché il sopravvissuto riportasse indietro la notizia che avrebbe indotto la sua razza a compiere frenetici preparativi contro l’altra che non era stata in nessun modo avvertita.

Tuttavia, se entrambe le razze fossero state avvertite, e ciascuna delle due avesse saputo che l’altra non voleva combattere, e se avessero potuto comunicare l’una con l’altra ma non localizzarsi a vicenda finché non fosse stato trovato un terreno per la reciproca fiducia…

Era impossibile. Era una chimera. Era un sogno a occhi aperti. Era una sciocchezza. Ma era una sciocchezza tanto attraente che Tommy Dort, con una punta d’amaro, la trasferì nella codificatrice per comunicarla al suo amico Daino che respirava con le branchie e in quel momento si trovava a qualche centinaio di migliaia di miglia di distanza, in mezzo alla nebbiosa luminosità della nube.

«Certo», rispose Daino, nelle schede-parole che guizzarono al loro posto nel riquadro del decodificatore. «È un bel sogno. Ma anche se mi sei simpatico non posso ancora crederti. Se l’avessi detto io per primo, mi troveresti simpatico ma neppure tu mi crederesti. Io ti dico la verità più di quanto tu creda, e forse tu mi dici la verità più di quanto io ti creda. Ma non c’è nessun modo di esserne certi. Mi spiace».

Tommy Dort fissò con tristezza il messaggio. Avvertiva uno sgradevolissimo, orribile senso di responsabilità. Tutti l’avvertivano sulla Llanvabon. Se avessero fallito in quell’incontro, la razza umana avrebbe avuto un’ottima probabilità d’essere sterminata in un prossimo futuro. Se invece avessero avuto successo, sarebbe stata con ogni probabilità la razza degli alieni che si sarebbe trovata ad affrontare la distruzione. Milioni e milioni di vite dipendevano dalle azioni di pochi uomini.

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