Robert Sawyer - I transumani

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Ascoltare messaggi che vengono dalle stelle è un compito che i radioastronomi eseguono da anni nella speranza che possano arrivarci rivelazioni in grado di cambiare la nostra visione dell’universo. Ed è probabile che un giorno queste comunicazioni arrivino davvero, e che oltre a cambiare tutto ciò che sapevamo di là fuori mettano in discussione ciò che noi stessi siamo (o credevamo di essere). Quando questo avverrà, è probabile che non ci sia più posto per le illusioni dell’homo sapiens. E comincerà la lotta per consentire, o stroncare sul nascere, l’evoluzione di una nuova specie di uomini.

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E, in effetti, la prospettiva si era capovolta. La sfera più vicina si presentava adesso sotto di lei. Le venne il sospetto che con uno sforzo di volontà avrebbe potuto farla apparire a destra o a sinistra, oppure davanti o di dietro, oppure…

Oppure katà o anà?

Se il suo cervello era capace di padroneggiare simultaneamente tre sole paia di direzioni, mentre davvero in questo luogo ne esistevano quattro fra cui scegliere, ciò comportava inevitabilmente che lei non fosse in grado di percepire una delle quattro possibilità. Ma certo non s’imponeva una gerarchia predefinita, non v’era motivo perché, per esempio, la lunghezza godesse di maggior diritto a essere la prima dimensione rispetto ad altezza o profondità.

Heather pose di nuovo lo sguardo fuori fuoco e cercò di sgombrare la mente.

Quando rimise a fuoco, tutto era identico a prima.

Tentò ancora, stavolta battendo anche le palpebre, stando attenta però a non chiudere gli occhi abbastanza a lungo da rivisualizzare l’interno della struttura.

E poi lo sfondo sfocato parve mutare…

E i suoi occhi si rimisero a fuoco…

E d’improvviso, incredibilmente, tutto apparve diverso. Heather si sentì mancare il respiro.

In prospettiva diametralmente rovesciata, trasformatisi i globi in due grandi coppe congiunte per i bordi, Heather fluttuava adesso nel ventre di una sfera gigantesca.

La faccia interna della sfera si presentava granulosa, quasi come la superficie di una stella, e nuovamente le venne da pensare che forse stava in qualche modo osservando il sistema del Centauro, malgrado la palpitante sensazione organica che da tutto ciò emanava.

Le sembrava ora, altro mutamento di prospettiva, di essere trascinata all’indietro. Ruotò dunque su se stessa nuotando nel vuoto, così da fronteggiare la direzione del movimento apparente. Nell’avvicinarsi alla superficie constatò che la granulosità consisteva in milioni di esagoni strettamente giustapposti.

Sotto il suo sguardo uno degli esagoni prese ad allontanarsi formando una lunga, profonda galleria. Mentre il canale si allungava, Heather vide le sue pareti farsi lucide, poi iridescenti… e comprese che data la sua nuova prospettiva stava osservando uno dei serpenti dall’interno. A un certo punto la galleria si assottigliò e scomparve, in concomitanza probabilmente col distacco del serpente dalla superficie.

Eccola giunta infine a poche centinaia di metri dall’immensa parete curvilinea.

Si sentiva stordita, disorientata… quasi avesse piroettato più e più volte su se stessa sino a farsi venire il capogiro. Avrebbe avuto una gran voglia di proseguire l’esplorazione, ma… diavolacci, quale improvvida intrusione della realtà! Aveva bisogno di fare pipi. Si augurò che, alla prossima escursione, potesse ritrovarsi là dov’era ora, in quel posto preciso, e non all’inizio dell’intero viaggio. Sarebbe stata una bella scocciatura, progredire nell’esplorazione per poi dover riaccedere a quel luogo portentoso sempre dallo stesso punto.

Chiuse gli occhi, attese che l’immagine della cavità le riapparisse nella mente, toccò il pulsante di arresto e rientrò, vacillando, nello strano mondo spigoloso chiamato casa.

21

Quando lasciò l’ufficio passando in corridoio, Heather rimase scossa nel vedere dalla finestra in fondo all’atrio che fuori era buio pesto. Diede un’occhiata all’orologio.

Dio santo, le undici!

Entrò nel bagno del personale femminile e si sedette sulla tazza, apprezzandone la rinfrancante solidità e meditando sull’accaduto. Il suo primo impulso sarebbe stato di rivelare a tutti quanto aveva scoperto, di correre per il campus gridando “Eureka!”

Ma sapeva di dover frenare il proprio entusiasmo. Una conquista del genere le avrebbe fruttato la cattedra non solo all’IDT, ma in qualunque università dell’orbe terracqueo. Doveva quindi rinviare l’annuncio finché non avesse saputo esattamente in che cosa si era imbattuta, non tanto però da consentire a qualcun altro di scipparle il primato. Viveva da abbastanza tempo nell’ambiente del pubblica-o-muori per sapere che scoprire le proprie carte al momento sbagliato può far la differenza fra avere il Nobel e non avere nulla.

Il vero successo sarebbe stato scoprire che cosa fosse quello strano mondo: ecco ciò che la gente avrebbe voluto sapere.

Finito che ebbe in bagno, riguadagnò il corridoio. Accidenti, com’era stanca. Eppure aveva una voglia tremenda di fare un altro viaggio… ammesso che “viaggio” fosse il termine giusto per un percorso che in effetti non portava da nessuna parte.

O invece sì? Avrebbe dovuto piazzare la sua videocamera e registrare tutto il procedimento; l’apparecchio, che apparteneva a entrambi, attualmente ce l’aveva Kyle. Forse l’ipercubo si ripiegava sul serio in una spettacolare sarabanda di effetti speciali… e forse lei davvero arrivava là dove nessuno era mai giunto prima.

Ma…

Heather fece del suo meglio per soffocare uno sbadiglio, cercando di convincersi che non era stanca morta. Ma già la sera prima aveva fatto tardi per mettere insieme la struttura, senza contare la nottata irrequieta.

Rientrando in ufficio, rimase come sempre impressionata per quanta luce e calore da quelle lampade implacabili scaturissero a inondare la stanza, e guardò con immutato stupore la verde fosforescenza infinitamente ramificata sul manufatto alieno.

Le balenò in mente lo strano vocabolo usato da Paul per definire la vernice: piezoelettrica.

Era assolutamente certa di averlo già sentito… ma in che occasione?

La mineralogia non doveva entrarci, visto che non aveva mai seguito corsi su tale materia e non conosceva nessuno che insegnasse a Geologia.

No, qualunque fosse stata la circostanza, doveva esserci di mezzo la psicologia.

Andò alla scrivania, combatté senza troppo successo contro un altro sbadiglio, e cercò il termine “piezo” sulla rete. Tempo qualche secondo, i rimandi traboccarono dal monitor. Relazioni della US Geological Survey, resoconti di svariate ditte minerarie, persino una poesia il cui autore aveva rimato “piezoelettricità” con “governativa falsità”.

C’erano anche diciassette riferimenti ai segnali alieni. Ovviamente Paul Komensky non era stato il primo ad accorgersi che una delle sostanze di cui gli alieni avevano fornito le formule era piezoelettrica. Ecco forse perché. Probabile che le fosse capitato di sentirne parlare diversi anni prima, e poi via nel dimenticatoio, visto che non era il suo campo e che nel frattempo non aveva mai avuto motivo d’interessarsi a quelle due sostanze.

E invece no. Doveva essere stato in un altro, ben preciso contesto. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Continuò a scorrere l’elenco, girovagando nella giungla dei rimandi…

E finalmente la trovò, l’origine di quel mezzo ricordo.

Michael Persinger. Americano renitente alla leva, come tanti altri accademici canadesi negli ultimi decenni del Ventesimo secolo. Verso la metà degli anni Novanta aveva diretto il Laboratorio di Psicofisiologia Ambientale dell’Università Laurenziana nel nord dell’Ontario; Heather c’era stata una volta per un convegno dell’American Psychological Association.

Analogamente al più celebre in assoluto fra i neuroscienziati canadesi, Wilder Penfield, anche Persinger era partito dalla ricerca di elettroterapie per disturbi come l’epilessia, la depressione, i dolori cronici.

Egli costruì nel suo laboratorio una camera insonorizzata entro la quale, nel corso degli anni, passarono più di cinquecento volontari. Faceva loro indossare un casco da motociclista con particolari modifiche, capace di somministrare al cervello dei soggetti impulsi elettrici a bassa intensità.

Ne risultarono effetti difformi da qualunque possibile previsione.

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