Provò a disporre i quarantotto messaggi in gruppi ancora più grandi: otto righe di sei, tre righe di sedici, e così via. Senza però ottenere alcun disegno ulteriore.
Cercò anche di costruire dei cubi. Talvolta il risultato sembrava avere senso: in certe configurazioni, i cerchi presenti sulle facce opposte di un cubo apparivano posizionati in modo perfettamente simmetrico, tanto da simulare l’intersezione ortogonale con un altro solido a sezione circolare.
Il vero significato di tutto ciò, comunque, continuava a sfuggirle.
Finché, dal profondo… I È intelligente, ma non ha molta esperienza. Il suo schema indica pensiero tridimensionale.
Quella frase continuava ad assillarla.
Spock si era riferito a Khan, ovviamente, ma di chi parlava la voce del sogno?
E poi…
Dio mio!
Il termine usato nel film era “bidimensionale”, non tridimensionale. Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Khan si era sconsideratamente limitato a una forma di pensiero bidimensionale, tanto da poter essere sconfitto con un attacco in tre dimensioni.
L’errore di Heather consisteva forse, analogamente, nell’affidarsi al pensiero tridimensionale. Le avrebbe recato giovamento affrontare la questione in modo “quadridimensionale”?
Ma perché gli alieni si sarebbero dovuti avvalere di un modello quadridimensionale?
Be’, e perché no?
No, calma. Doveva esserci un motivo serio, non poteva trattarsi di un semplice capriccio.
Heather si avvalse del terminale web per reperire informazioni sulla quarta dimensione.
Quando poi ebbe finito di sorbirsi tutto il malloppo, si afflosciò sulla sedia, sbigottita.
Dunque c’è davvero una sorgente, pensò. C’è davvero un punto d’incontro fra tutte le specie. Nulla però di così elementare come un gruppo di radiofrequenze. Il terreno comune non ha attinenza con la fisica tradizionale né con la chimica atmosferica né con alcunché di altrettanto ordinario. Eppure si tratta di qualcosa che per molti versi è ancor più basilare, più fondamentale, più insito nella struttura intrinseca dell’esistenza.
Il terreno comune è di natura dimensionale. È la quarta dimensione, per l’esattezza.
A seconda dell’apparato sensoriale, delle facoltà mentali, delle convenzioni stabilite di comune accordo con altri individui della propria specie, e di altri fattori, una forma di vita può percepire l’universo, percepire la sua realtà, in una dimensione, due dimensioni, tre dimensioni, quattro dimensioni, cinque dimensioni e così via, ad infinitum.
Ma di tutte le possibili configurazioni dimensionali, ve n’è una davvero speciale.
Un’interpretazione quadridimensionale della realtà si distingue fra mille altre.
Non tutto il materiale le risultò perfettamente intelligibile: in qualità di psicologa, Heather possedeva ampie nozioni di statistica, ma non se la cavava troppo bene con la matematica superiore. Appariva comunque chiaro, da quanto aveva letto, che alla quarta dimensione dovevano attribuirsi caratteristiche assolutamente uniche.
Sul sito web di “Science News” aveva trovato, e letto con stupore, un articolo di Ivars Peterson risalente al maggio del 1989, che iniziava così:
Quando i matematici - individui abitualmente prudenti e meticolosi - utilizzano aggettivi come “bizzarro”, “strano”, “singolare” e “misterioso” per definire i risultati delle proprie ricerche, ci troviamo di fronte a qualcosa d’insolito. Simili espressioni riflettono l’attuale situazione degli studi sullo spazio quadridimensionale, un territorio situato appena un passo più in là del nostro familiare mondo a tre dimensioni.
Combinando concetti di fisica teorica e nozioni astratte di topologia (lo studio della forma), i matematici stanno scoprendo che lo spazio a quattro dimensioni ha proprietà matematiche completamente diverse da quelle caratterizzanti lo spazio in qualunque altra dimensione.
Andando avanti, l’articolo di Peterson si faceva sempre più astruso e Heather dovette rinunziare a comprendere dichiarazioni del tipo “solo in quattro dimensioni è possibile avere molteplicità che sono topologicamente ma non uniformemente equivalenti”.
Ma non importava. Il punto essenziale rimaneva quello: dal punto di vista matematico, una configurazione quadridimensionale è assolutamente unica. Indipendentemente da come una qualunque razza percepisca la realtà, i suoi matematici finiranno inesorabilmente per imbattersi nei problemi e nelle peculiarità di una struttura a quattro dimensioni.
Ecco quindi un terreno comune davvero speciale, un punto d’incontro per menti appartenenti a qualunque immaginabile forma di vita.
Cristo.
Anzi, qualcosa di più.
Christus Hypercubus.
Dunque, con le sue pagine Heather poteva comporre semplici cubi tridimensionali. E con quarantotto pagine si potevano costruire otto cubi in totale.
Otto cubi, proprio come nel dipinto di Dalì che Kyle teneva esposto in laboratorio.
Proprio come un ipercubo sviluppato.
Certo, Cita aveva detto che esistono diversi modi per sviluppare un normale, semplice cubo. Ma solo uno degli undici possibili sistemi produce la caratteristica forma a croce.
Figuriamoci se anche un ipercubo non poteva essere sviluppato in svariate maniere…
Però c’erano quei disegni circolari a far da guida!
Probabilmente, esisteva un solo modo per assemblare gli otto cubi in modo da ottenere il contemporaneo allineamento di tutti i cerchi.
Heather aveva già provato a comporre le immagini in forma di cubi, nella speranza di trarne schemi provvisti di senso. Ma ora cercò di risistemarle, spostandole sullo schermo del computer, sino a trovarne la giusta collocazione sui singoli cubi di un tesseratto sviluppato.
L’UDT disponeva di autorizzazioni d’uso multiple per gran parte del software utilizzato nelle varie facoltà; Kyle aveva mostrato a Heather come accedere al programma CAD che era stato adoperato per determinare in qual modo le varie tessere potessero combaciare.
Un poco le ci volle, prima di farlo funzionare a dovere, sebbene per fortuna il programma accettasse comandi vocali. Quando finalmente ebbe ridisposto i quarantotto messaggi a formare otto cubi, ordinò all’elaboratore di sistemare i cubi secondo una struttura che consentisse il corretto allineamento dei riferimenti circolari.
I solidi danzarono per qualche tempo sullo schermo, andando da ultimo a raggrupparsi nell’unica conformazione possibile.
Era un ipercrocifisso, proprio come nel dipinto di Dalí: una colonna verticale di quattro cubi, con altri quattro cubi aggettanti dalle quattro facce esterne del secondo cubo dall’alto.
Nessun dubbio, ormai: il messaggio alieno consisteva nello sviluppo di un ipercubo.
Che cosa si otterrebbe, non poté fare a meno di domandarsi Heather, se quella struttura tridimensionale la si potesse veramente ripiegare anà o katà?…
Era una tipica giornata d’agosto: torrida, afosa, caliginosa. Heather si ritrovò imperlata di sudore per il solo fatto d’essere andata a piedi fino al Laboratorio di Costruzioni Computerizzate, che faceva parte della facoltà d’Ingegneria Meccanica. Lì dentro, in pratica, non conosceva nessuno, quindi preferì arrestarsi garbatamente sulla soglia a osservare i vari automi e meccanismi assortiti sferragliami.
— Posso esserle d’aiuto? — le domandò cortesemente un bell’uomo dai capelli argentei.
— Spero proprio di sì — rispose lei sorridendo. — Sono Heather Davis, dell’istituto di Psicologia.
— È mancata una rotella a qualcuno?
— Come, scusi?
— Una battuta… chiedo venia. Capirà, una strizzacervelli che viene a trovare un ingegnere… Anche noi ci occupiamo d’ingranaggi, dopotutto.
Heather ridacchiò.
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