— Non so neanch’io esattamente perché mi trovi qui — esordì. — Ma il fatto è che negli ultimi tempi non dormo bene.
— Capita molto più spesso di quanto non si pensi — commentò la Gurdjieff. Aveva una voce calda e gradevole, con forse un lieve accento del Newfoundland.
— E poi non ho molto appetito — continuò Heather.
La Gurdjieff annuì e prese un digimemo dalla scrivania, iniziando a scriverci con uno stilo. — E secondo lei potrebbe esserci una causa psicologica?
— All’inizio ho pensato che fosse una specie d’influenza, ma ormai va avanti da mesi.
La Gurdjieff vergò un altro appunto sul memo. Calcava troppo lo stilo, che provocava sulla lastra di vetro un rumore simile al raspio di un gessetto sulla lavagna.
— È sposata, vero?
Heather annuì. Portava ancora al dito il suo semplice anello nuziale.
— Figli?
— Due ragazzi — rispose Heather e se ne pentì all’istante. Probabilmente avrebbe fatto meglio a includere almeno una figlia. — Di sedici e diciannove.
— E non sono loro la causa del problema?
— Non credo.
— I suoi genitori sono ancora vivi?
— No — rispose Heather, non vedendo motivo di mentire su questo punto.
— Mi dispiace.
Heather chinò il capo, accettando il commento.
Andarono avanti così per un’altra mezz’ora, con Heather che rispondeva più o meno sinceramente a domande apparentemente innocue.
E alla fine l’analista sentenziò: — Un caso classico, i: effetti.
— Cioè?
— Vittima d’incesto.
— Cosa?
— Be’, come spesso accade, lei non ne conserva un ricordo cosciente. Ma tutto quello che mi ha detto induce a formulare tale diagnosi.
— È ridicolo — obiettò Heather, cercando di mantenere un tono neutro.
— Naturale che voglia negarlo — insisté la Gurdjieff. — Non mi aspetto certo che lei si rassegni subito all’idea.
— Ma io non ho ricevuto alcuna violenza.
— Mi ha detto, se non sbaglio, che suo padre è morto.
— Esatto.
— Ha pianto, al suo funerale?
— No — rispose Heather in un soffio di voce.
— È stato lui, vero?
— Non è stato nessuno.
— Ha avuto per caso un fratello di molti anni più grande? O un nonno che veniva sempre a trovarla? O magari uno zio con cui le capitava spesso di rimanere sola?
— No.
— Allora è assai probabile che sia stato suo padre.
— Non è assolutamente possibile che mio padre abbia fatto una cosa del genere — ribatté Heather, cercando di parlare con voce ferma.
La Gurdjieff sorrise mestamente. — Questo è ciò che pensano tutte, all’inizio. Ma il fatto è che lei soffre di quelli che vengono definiti disturbi da stress post traumatico. — Poi, sfiorandole una mano: — Ascolti, non c’è nulla da vergognarsi, lo tenga bene a mente. Non è avvenuto per sua scelta. Non è stata colpa sua.
Heather non replicò.
Poi, abbassando la voce, la Gurdjieff soggiunse: — È più frequente di quanto si creda. È accaduto anche a me.
— Davvero?
L’analista annuì. — Dai sei anni all’incirca, fino ai quattordici. Non ogni notte, ma spesso.
— Ma è… è terribile… Mi spiace tanto per lei.
La Gurdjieff sollevò la mano sinistra. — Non deve angustiarsi per me e neppure per se stessa. È un’esperienza dalla quale dobbiamo trarre forza.
— Ma lei come ha reagito?
— Peccato davvero che suo padre sia morto. Non potrà affrontarlo. È la cosa migliore, sa? Affrontare chi ha abusato di te. È immensamente gratificante. Non tutti ci riescono, purtroppo. Certe donne, in particolare, hanno paura di farlo, paura di finire diseredate o ripudiate dai familiari. Però quando funziona è straordinario.
— Ma guarda… — commentò Heather. — E… fra i suoi pazienti ce ne sono stati che abbiano adottato questo sistema?
— Molti.
— Qualcuno di recente?… — azzardò Heather, senza ben sapere fin dove potesse spingersi.
— Vede, a dire il vero non potrei parlare degli altri pazienti…
— Sì, certo, mi rendo conto. Ma solo in termini generici, giusto per capire meglio. Di solito che succede, in un caso normale?
— Be’, uno dei miei pazienti ha affrontato il suo violentatore proprio la settimana scorsa.
Heather sentì che il cuore cominciava a galopparle in petto. Decise di insistere, ma con molta cautela. — Ed è riuscito a trarne giovamento?
— In effetti si tratta di una donna. Sì, c’è riuscita.
— Ma lei come fa a esserne certa? Voglio dire, in che cosa è consistito il miglioramento?
— Ecco, questa donna… credo di poterle rivelare che aveva un disturbo nel comportamento alimentare. Molto comune, in circostanze del genere. Altro sintomo ricorrente è l’insonnia, come nel suo caso. Adesso è completamente guarita.
— Ma io non credo proprio di aver subito abusi. Anche quella paziente era perplessa come me?
— All’inizio sì. C’è voluto del tempo prima che l’accaduto venisse a galla. Sarà lo stesso anche per lei, vedrà. Scopriremo la verità e l’affronteremo insieme.
— Non so che dirle. Continuo a pensare che a me non sia successo. E poi… dico, stiamo parlando d’incesto, di violenze sessuali… Non è roba da rotocalchi? Insomma, una specie di luogo comune della stampa scandalistica?
— Lei è tremendamente in errore, mi creda — ribatté la Gurdjieff seccamente. — E non solo lei, ma l’intera società. Vede, negli anni Ottanta, quando s’incominciò veramente a parlare di abusi sessuali e d’incesto, tali argomenti godettero di una grande popolarità. E per gente come me, gente che aveva subito violenza, fu come una boccata d’aria fresca. Non eravamo più i panni sporchi da lavare in famiglia; le cose orribili che ci erano state fatte venivano allo scoperto e noi vittime capivamo finalmente che non era stata colpa nostra. Ma si tratta pur sempre di una verità sgradevole e le persone come lei… persone che vedevano i propri vicini e i propri genitori e i propri ecclesiastici in una luce completamente nuova… non ci si trovavano certo a loro agio. Molto meglio, per voi, quando non se ne sapeva nulla, quando il problema veniva tenuto nascosto e non dovevate affrontarlo apertamente. Quindi vorreste relegarlo sullo sfondo, renderlo marginale, escluderlo dal novero delle questioni all’ordine del giorno ed evitare che se ne discuta.
Heather fu costretta a rifletterci. Incesto, pedofilia, violenze sui minori… tutti argomenti che potevano spontaneamente venir fuori durante le lezioni di psicologia. Ma quante volte le era capitato di affrontarli approfonditamente? Qui un accenno passeggero, lì una breve digressione… e poi via, avanti in tutta fretta, prima che la cosa si faccia troppo imbarazzante.
— Forse ha ragione — ammise.
— E forse ha ragione anche lei — replicò la Gurdjieff, apparentemente incline a una piccola concessione se pure Heather si mostrava ben disposta. — Forse nulla di grave è avvenuto nel suo passato… ma perché non stabilirlo con certezza?
— Resta il fatto che non ricordo alcun abuso.
— Le sarà di certo capitato di provare rabbia verso suo padre, no?
— Ovviamente. Ma, ripeto, è impossibile che lui mi abbia fatto qualcosa di male.
— È naturale che lei non ricordi. Quasi nessuno ricorda. Tuttavia il ricordo è là, nascosto sotto la superficie. Rimosso. — Tacque un momento, poi: — Vede, i miei ricordi non erano rimossi… chissà per quale motivo, ma non lo erano. Quelli di mia sorella Dafne… due anni meno di me… invece sì. Cercai di parlargliene una dozzina di volte, e lei, sempre, mi rispose che ero pazza. Poi un giorno, così, all’improvviso… eravamo ormai tutte e due sopra i vent’anni… mia sorella mi telefona. Le era tornata la memoria. I ricordi che aveva rimosso per quindici anni erano finalmente riaffiorati. E affrontammo insieme nostro padre. — Ancora qualche istante di silenzio. — Come ho detto, è un vero peccato che lei non possa affrontare il suo. Ma è un ostacolo che in qualche modo va superato, se si vuole portare tutto il marcio in superficie. Un buon sistema sono gli elogi funebri.
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