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Robert Sawyer: L'equazione di Dio

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Robert Sawyer L'equazione di Dio

L'equazione di Dio: краткое содержание, описание и аннотация

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Come si sono estinti i dinosauri? Domanda vecchia, per il lettore di fantascienza. E che ha avuto mille risposte. Nel caso di questo brillante romanzo, tuttavia, l’interrogativo è molto più complesso e andrebbe riformulato così: provata scientificamente l’esistenza di Dio, E soprattutto, perchè ha deciso di estinguere periodicamente le forme di vita superiori su tutti i mondi abitati? E’ l’assillo che tormenta Hollus, un ragno intelligente venuto dallo spazio che un bel giorno entra nel Royal Museum, a Toronto, e chiede di parlare con uno scienziato. Lo portano da Thomas Jericho, paleontologo, e l’aracnide rivela importanti informazioni sulle origini della vita. Non solo, ma propone alle menti migliori della Terra di unirsi in una ricerca che altri pianeti hanno già cominciato per loro conto, e che solo lo sforzo di tutte le intelligenze potrà coronare di successo. La domanda è infatti: che intenzioni ha il Creatore?

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Un compleanno è sempre speciale, ma Susan e Dick (crescendo, Ricky aveva scelto di farsi chiamare Dick) lo avrebbero festeggiato anche una seconda volta, fra un mese. Il compleanno di Dick non aveva mai avuto la giusta risonanza per Susan, dal momento che lei non era presente, quando il bambino era nato. Fra un mese però, in luglio, cadeva il sedicesimo anniversario dell’adozione e quello era un ricordo che Susan aveva assai caro.

Quando Dick tornò a casa da scuola (completava le superiori alla Northview Heights) Susan aveva per lui altri due regali. Primo, una copia del diario paterno, relativo al periodo trascorso con Hollus; secondo, una copia della cassetta registrata da Tom nello studio, che lei aveva convertito da VHS a dvd.

— Magnifico! — disse Dick. Era alto e robusto, l’orgoglio di Susan. — Non sapevo che papà avesse fatto un video.

— Mi ha chiesto di aspettare dieci anni, prima di dartelo — disse Susan. Scrollò le spalle. — Forse voleva che tu fossi abbastanza grande per capire.

Dick soppesò la scatola, come se potesse così indovinarne i segreti. Era chiaramente ansioso. — Possiamo guardarlo subito? — domandò.

Susan sorrise. — Certo!

Andarono nel soggiorno e Dick inserì il disco nel lettore.

E si sedettero insieme sul divano e guardarono Tom, smagrito e devastato dalla malattia, tornare in vita.

Dick aveva visto alcune foto di Tom di quel periodo, in un album dove Susan aveva raccolto i ritagli stampa della visita di Hollus sulla Terra e della seguente partenza di Tom. Ma non aveva mai visto con tale precisione che cosa il cancro avesse fatto a suo padre. Susan lo vide indietreggiare un poco, quando le immagini presero a scorrere.

Ben presto però il viso di Dick rivelò solo attenzione, rapita attenzione, mentre il ragazzo pendeva da ogni parola.

Alla fine tutt’e due si asciugarono le lacrime, lacrime per l’uomo che avrebbero sempre amato.

34

Buio assoluto.

E calore, che mi lambiva da tutti i lati.

L’inferno? Era…

No, naturalmente. Avevo un mal di testa spaventoso, ma cominciavo a ragionare.

Un forte scatto metallico e poi…

E poi il coperchio dell’unità d’ibernazione scivolò da parte. La bara oblunga, fatta per i Wreed, era a filo del pavimento; Hollus, a gambe divaricate, agganciata con i sei piedi a delle staffe per non andare alla deriva, piegò le gambe frontali e abbassò i peduncoli oculari per guardarmi.

— È ora di alzarsi, amico mio — disse.

Sapevo che cosa si pensa che uno debba dire in una situazione come quella: avevo visto Khan Noonien Singh. — Quanto tempo? — domandai.

— Più di quattro secoli — rispose Hollus. — Siamo nell’anno 2432 della Terra.

“Così, semplicemente” pensai. “Quattrocento anni volati via senza che me ne sia reso conto. Così, semplicemente.”

Erano stati saggi a installare le camere d’ibernazione fuori delle centrifughe; non credo che sarei riuscito a reggermi da solo. Hollus mi tese la destra e io allungai la sinistra ad afferrarla e il semplice cerchietto d’oro nell’anulare mi parve immutato, malgrado il freddo e il tempo. Hollus mi aiutò a uscire dalla bara di ceramica nera; poi si staccò dalle staffe e restammo librati.

— La nave ha smesso di decelerare — disse la Forhilnor. — Abbiamo quasi raggiunto ciò che resta di Betelgeuse.

Ero nudo; per qualche ragione provai imbarazzo a farmi vedere da Hollus in quello stato. Ma i vestiti mi aspettavano; mi vestii in fretta… una camicia blu e un paio di morbidi calzoni color cachi, veterani di molti scavi.

Avevo difficoltà a mettere a fuoco la vista e sentivo la bocca secca. Di sicuro Hollus l’aveva previsto: teneva pronto per me un contenitore trasparente pieno di acqua a temperatura ambiente. I Forhilnor non raffreddavano mai l’acqua, ma in quel momento quella mi andava benissimo… l’ultima cosa di cui avevo bisogno era una bevanda fredda.

— Non dovrei fare un controllo? — domandai, quando terminai di spremermi in bocca l’acqua.

— No — disse Hollus. — È tutto automatico. Sei stato tenuto sotto osservazione continua. Stai… — Si interruppe e sono sicuro che stesse per dire che stavo bene, ma sapevamo tutt’e due che non era vero. — Stai come stavi prima dell’animazione sospesa.

— Mi fa male la testa.

Hollus mosse le membra in un modo bizzarro; dopo un istante capii che le fletteva come avrebbe fatto per ballonzolare, se non ci fossimo trovati in assenza di gravità. — Per un paio di giorni avrai vari dolori. È naturale.

— Chissà com’è la Terra — dissi.

Hollus rivolse una frase melodiosa al più vicino monitor a parete. Dopo alcuni istanti comparve un’immagine ingrandita: un disco giallo, della grandezza di un quarto di dollaro tenuto a braccio teso. — Il tuo sole — disse Hollus, Poi indicò un oggetto più opaco, circa un sesto del diametro del sole. — E quello è Giove, che da qui mostra una faccia gibbosa. A questa distanza, è difficile risolvere la Terra in luce visibile, ma se guardi un’immagine radio, la Terra risplende più del sole, con le sue numerose frequenze.

— Ancora? — dissi. — Trasmettiamo ancora per radio, dopo tutto questo tempo? — Era magnifico: significava che…

Hollus rimase in silenzio per qualche istante, forse sorpresa che non capissi. — Non so — disse poi. — La Terra è a 429 anni luce da noi; la luce che ci giunge adesso mostra come era il tuo sistema solare al tempo della nostra partenza.

Annuii tristemente. Certo. Sentii il cuore battere forte e la vista mi si confuse maggiormente. All’inizio pensai che qualcosa nella rianimazione fosse andato storto, ma non si trattava di quello.

Ero scosso; non avevo pensato a come mi sarei sentito.

Ero ancora vivo.

Socchiusi gli occhi e fissai il piccolo disco giallo, poi abbassai lo sguardo sulla fede d’oro. Sì, ero ancora vivo. La mia amata Susan però non c’era più. Di sicuro.

Mi domandai che vita aveva avuto, dopo la mia partenza. Mi augurai che fosse stata felice.

E Ricky? Mio figlio, il mio fantastico figlio?

Be’, c’era quel medico che avevo sentito alla crv, quello che aveva detto che era già nato il primo essere umano che sarebbe vissuto per sempre. Forse Ricky era ancora vivo… e aveva 438 anni.

Le probabilità però erano scarse, pensai. Era molto più facile che Ricky fosse cresciuto per diventare l’uomo che era destinato a diventare, che avesse lavorato e amato e ora…

E ora non c’era più.

Mio figlio. Quasi certamente ero vissuto più di lui. Un padre in teoria non dovrebbe sopravvivere al figlio.

Sentii le lacrime agli occhi, lacrime che erano congelate nemmeno un’ora fa, lacrime che in assenza di gravità formavano una sorta di pozza vicino ai condotti lacrimali. Le asciugai.

Hollus conosceva il significato delle lacrime per gli uomini, ma non mi domandò perché piangessi. Anche i suoi figli, Pealdon e Kassold, erano di sicuro ormai morti. Rimase pazientemente librata accanto a me.

Mi domandai se Ricky avesse lasciato figli e nipoti e pronipoti; mi sconvolgeva pensare che ormai potevo avere facilmente una quindicina di generazioni di discendenti. Forse il nome Jericho circolava ancora…

E mi domandai se il Royal Ontario Museum esisteva ancora, se avevano riaperto il planetario o se in realtà il volo spaziale a buon mercato per tutti aveva infine, giustamente, reso ridondante quella istituzione.

Mi domandai se esisteva ancora il Canada, quel grande paese che tanto amavo.

Più di tutto, ovviamente, mi domandai se la razza umana esisteva ancora, se l’Uomo aveva scansato il veleno in fondo all’equazione di Drake, se aveva evitato di farsi saltare in aria da solo. Quando ero partito, avevamo armi nucleari da più di cinquant’anni; chissà se in un periodo otto volte superiore avevamo resistito alla tentazione di usarle.

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